Alle luci del tramonto

Immaginate una sconfinata distesa di sabbia dorata, un cielo color zaffiro con innumerevoli nuvole bianche e soffici , infine l’oceano: l’immenso oceano blu, puro e cristallino, così vasto, così solo.

Su uno scoglio isolato riposava un gabbiano: gli piaceva stare solo e guardare l’orizzonte anche se desiderava da sempre qualcuno che gli facesse compagnia, ma il suo carattere scontroso non giocava a suo favore.

Non poteva immaginare che quel giorno la sua richiesta sarebbe stata esaudita.

Qualche metro sotto la superficie dell’acqua nuotava un giovane squalo, allontanato dai suoi compagni perché più debole e con una pinna deformatagli dalla fiocina di un subacqueo. Non l’aveva attaccato, si era limitato a nuotare nelle vicinanze, incuriosito, ma l’umano era stato preso dal panico e aveva cercato di abbatterlo. Da quel momento lo squalo cercò di tenersi il più lontano possibile da quelle strane creature così aggressive.

Escluso da tutti, lo squalo decise di risalire in superficie, per guardare il tramonto: di solito così si calmava e fu per questo che vide a poca distanza un gabbiano, che riposava su uno scoglio isolato.

I due si studiarono a vicenda, incuriositi, e stranamente fu il gabbiano a iniziare il discorso: ‘’Cosa fai tu qui? Voi pesci non dovreste starvene nell’acqua? Mi stavo godendo il tramonto, io.’’ In realtà era felice di condividere quella vista con qualcuno e aveva notato i movimenti lenti dello squalo, perciò non poteva costituire una minaccia. Lo squalo, abituato a quel genere di approccio, rispose senza scomporsi: ‘’E’ un tramonto meraviglioso vero?’’.

Da quel momento tutte le sere i due improbabili amici si incontrarono presso quello stesso scoglio, a guardare il cielo diventare arancione e le nuvolette rosa. Finirono per affezionarsi l’uno all’altro e non si sentirono più soli; era davvero una buffa coppia: un gabbiano scorbutico e uno squalo dalla pinna deformata.

Un giorno il gabbiano decise di fare una sorpresa al suo amico: regalargli un grosso pesce. Vide una grossa nave di pescatori che navigava al largo, si appollaiò sopra a una pila di grandi scatole di legno e attese che tirassero su la rete colma di pesci. Quando gli sembrò giunto il momento opportuno volò in picchiata verso la rete, prese un grosso pesce e volò via. Dall’alto sentì i marinai imprecare.

Lo squalo fu contento del regalo inaspettato, cacciare gli costava fatica, ma pregò il suo amico di non farlo più: gli esseri umani sono pericolosi. Il gabbiano, molto orgoglioso, decise di mostrargli quanto fosse veloce e astuto, perciò volle riprovarci il giorno dopo. Ebbe fortuna di nuovo e volle tentare un’altra volta. ‘’E’ più comodo rubare i pesci che pescarli’’ pensava, ma in realtà lo faceva per il suo amico: era la prima volta che ne aveva uno e non voleva assolutamente perderlo.

Non poteva però immaginare l’avidità degli umani, non importa quanti pesci pescassero ogni giorno, anche il più piccolo pesciolino era prezioso e lui ne stava rubando troppi. Gli umani avevano preso provvedimenti in modo che la prossima volta sarebbe stata l’ultima. E così fu: appena lo videro calarono dall’albero maestro una grossa rete che lo intrappolò; venne afferrato, le ali legate così strette da spezzargliele e fu deciso di calarlo sulla superficie dell’acqua con una corda. ‘’Ben ti sta, schifoso uccellaccio, così impari a prenderti gioco di noi. Penzola lì a testa in giù e diventa cibo per squali! Vorrei giusto prenderne uno bello grosso e venderlo’’.

Il povero gabbiano piangeva, non tanto per il dolore ma per non aver dato ascolto al suo caro amico, che non avrebbe mai più rivisto. Il sole volgeva al tramonto. Lo squalo salì in superficie prima del solito, era agitato, percepiva un lieve odore di sangue. Guidato dall’istinto ne seguì la scia e vide il suo amico, sanguinante, legato e appeso a testa in giù a una barca. Il suo primo impulso fu quello di scappare: è troppo rischioso avvicinarsi a una nave piena di umani. Rivide però come un flash tutti i tramonti visti con il suo amico gabbiano e la sua premura nel portargli dei pesci, sprezzante del pericolo. Da tempo aveva imparato a vedere il grande cuore che si celava dietro quell’aspetto burbero. Chi sarebbe arrivato a tanto per aiutare qualcuno? E per giunta non della propria specie?

Nuotò più veloce che poté e raggiunse la nave, il gabbiano semicosciente gli gridò: ‘’Sciocco! Scappa! Va via! Ti uccideranno!’’, ma lo squalo, perfettamente consapevole dei rischi , cercò di spezzare la corda coi denti, purtroppo il gran fracasso del suo pesante corpo che saltava e ricadeva in acqua attirò i marinai, che subito con un arpione gli ferirono un fianco e l’acqua iniziò a tingersi di rosso. Il gabbiano disperato lo pregava di andarsene ma era troppo tardi: l’arpione si era conficcato nella carne e con una rete lo tirarono su.

‘’Caspita! Guarda che squalo deforme e debole! Non ci frutterà un bel niente! Accidenti! Allora, ragazzi, tagliamogli le pinne almeno! Certa gente le usa per fare gli scherzi, è tutto ciò che possiamo ricavare da questo qui’’; lo squalo provava un dolore atroce a stare fuori dall’acqua, non riusciva a respirare, quando gli tagliarono le tre pinne (anche quella deforme, tanto per non lasciargliene solo una, le cose vanno fatte bene) sentì delle fitte terribili ma non poteva sapere da dove provenissero, tanta era l’agonia in generale. Finito di mutilarlo lo ributtarono in mare.

Il gabbiano avrebbe voluto morire. Vide buttare in mare il suo amico, sanguinante, moribondo, e il suo cuore sembrò spezzarsi. Tutto per colpa sua. Iniziò a gridare così forte che un marinaio, stizzito, tagliò la corda e lo lasciò cadere in mare.

Nelle profondità dell’oceano si potevano vedere fluttuare due ombre, prossime alla morte, non erano più un gabbiano e uno squalo, ma due anime dal colore cristallino, perfettamente uguali. Una lacrima scese dal volto di quello che era il gentile gabbiano: ‘’Scusa. E’ colpa mia. Sono stato stupido, volevo aiutarti e invece sei morto per colpa mia. Dovevi lasciarmi morire e scappare. Sei uno stupido.’’ L’altra anima invece sorrise: ‘’Grazie. In tutta la mia vita nessuno hai mai fatto tanto per me, grazie a te non sono più solo. Sono contento di essere morto cercando di aiutarti. Tutti dobbiamo morire e io preferisco morire per il mio unico amico.’’ Il gabbiano non poté trattenersi dal versare un’altra lacrima, calda di un affetto che per la prima volta si rese conto di poter provare.

Questa è la loro storia, che mi trasportarono le candide onde, la storia di due cuori che superarono la barriera della specie e divennero amici alle luci del tramonto. E insieme morirono in un tramonto rosso fuoco, che non poterono ammirare.