Barbagli di luce

Un brusio di fogge spente e stantie
ottenebrava i miei sentieri e
li adombrava dilagante una macchia
di amarezza.
Dentro un “carpe diem”
di attimi turgidi ed ansimanti mi
hanno scosso le loro emozioni.

Antri reconditi, gli occulti travagli,
si infittiscono logori nei dedali
della coscienza. Ivi si annidano
mesti e si avviano temerari verso
zampillanti barbagli di tersa luce.
É lì che indugia la mia anima,
dentro le annose catene
spezzate a metà.

Vibreranno forte le sue pulsazioni,
scandite dal silente rumore
dell’incertezza, quando, ravvolto
in un etereo e diafano
zefiro, busserà celeste,
il suo mistero.


GENERAZIONI

Sussurra la voce delle nuvole,
quando si perde nel
ticchettio della pioggia battente.

Motteggiano gli eterni tasselli
dei mosaici genici,
avanzano, resistendo
all’onta dell’indifferenza,
all’abisso dell’ignoranza e del vuoto
che soffoca e uccide.

Bussano, toccheggiano,
discreta e ferma presenza,
e invocando l’inno del ricordo,
mantengono intatta l’essenza del tempo
che sbiadisce, vacilla, ma non si dissipa;
calpestata, langue,
ma rinasce mortale.

Sussurra la voce delle nuvole,
quando si perde nel
ticchettio della pioggia battente.


L’ABETE BIANCO

Victor si trovava ai piedi di un grande abete bianco e abbassando lo sguardo vide sul terreno, accanto all’albero, un piccolo seme che sembrava chiamarlo. Immediatamente lo assalì l’ impulso di ingoiarlo, così, con la tipica leggerezza infantile, si chinò per afferrarlo e se lo mise in bocca, dopo alcuni istanti venne pervaso da un’ insolita sensazione di benessere che la sua fantasia attribuì indubbiamente a una misteriosa proprietà del chicco. Raggiunse poi la sua mamma dalla quale si era allontanato mentre passeggiava in un parco diverso da quello in cui erano soliti recarsi. “ Ti senti male, Victor?”aveva esclamato la donna nel vederlo. “Sei pallido, cosa hai fatto?!”. “Niente mamma” rispose, non comprendendo affatto la ragione dell’apprensione trapelata dalle parole della madre. Il bambino infatti non poteva sentirsi meglio; tuttavia non aveva voluto fare alcun riferimento al semino. Senza che il figlio dicesse altro, la donna lo aveva trascinato dal medico di famiglia per una visita. Mentre era sdraiato sul lettino del dott. Renzi, Victor venne sfiorato dall’idea che forse avrebbe dovuto cambiare umore poiché il medico disse alla madre che era necessario sottoporlo ad una serie di esami di accertamento e per questo era necessario ricoverarlo. Questa notizia non fu comunque sufficiente a togliere al bambino la sensazione di benessere donatagli dal magico semino. Rimase in ospedale due giorni prima di essere dimesso in attesa dei risultati degli esami. Una settimana dopo, al ritorno da scuola, Victor che aveva solo sette anni e frequentava la seconda elementare aveva trovato la madre al telefono con il dott. Renzi e mentre parlava l’aveva sentita piangere e pronunciare una parola difficile: leucemia. Abbassata la cornetta del telefono, la donna gli aveva detto che per un po’ di tempo non sarebbe andato a scuola e che avrebbero dovuto trasferirsi in un’ altra città. Giunto nella nuova città, Victor apprese subito che a ospitarlo non sarebbe stata una casa, bensì il reparto pediatrico di un ospedale. Dopo pochi giorni trascorsi nel grigiore dell’ambiente ospedaliero, il bambino manifestò alla madre la volontà di dipingere di verde le pareti della sua stanza e di disegnare su una di esse un grande abete bianco. La mamma gli aveva ovviamente subito segnalato la necessità di chiedere il permesso al direttore dell’ospedale. Tuttavia, l’indomani, la donna si presentò al figlio munita di vernice e di pennelli dicendo che in fondo non era indispensabile chiedere il permesso. E’ superfluo infatti spiegare che la madre avrebbe fatto di tutto per non fare pesare al figlio la sua degenza; ma Victor di fare la parte del malato non ne voleva sapere: per lui la permanenza in ospedale restò sempre una vacanza; il tempo gli sembrava passare così in fretta a tal punto da fargli perdere il conto dei giorni trascorsi. Aveva fatto molte conoscenze e tutte le infermiere ormai adoravano quel bimbo allegro che amava inventarsi le fiabe. La sua preferita era quella che narrava la storia di un piccolo seme magico. Un giorno Victor si accorse di aver perso uno dei suoi peluche preferiti, uno scoiattolo dalla coda a strisce bianche e color noce. Guardò subito sotto il suo letto per vedere se era finito lì, ma al suo posto, con grande sorpresa trovò un piccolo seme identico a quello trovato quel lontano giorno nel parco; anche stavolta gli venne la voglia di metterlo in bocca, ma non appena lo ebbe tra le dita si svegliò dal coma. Erano trascorsi ben sette anni da quel tragico incidente. Victor guardò il suo corpo: non era più quello di un bimbo di sette anni, ma quello di un ragazzino di quattordici. Rivolse lo sguardo intorno e si vide circondato dalle pareti grigie di un anonima stanza d’ospedale. Poi guardò fuori dalla finestra della stanza e vide dinanzi a sé il fusto di un grande abete bianco.