EROS

Sono e non sono, perché sono forza

quanto più mi ritagliano figura,

primordiale energia che non si smorza,

virtù feconda che infiamma e perdura.

Generato per primo, non esisto,

ed esistevo nella Notte scura

che spinsi, e per la quale io consisto.

Ragione dell’effetto eppure frutto

della ragione, agente ed atto misto.

E poiché non essendo induco tutto

e da tutto discendo, di Afrodite

pensano l’alvo in cui trovai costrutto…

ma non avrei progetto e non ambite

intenzioni, forziere del capriccio,

faretra per le frecce e le ferite,

tessitore del nodo e dell’impiccio!

Strana Potenza che non ha la mente

e non ha cuore, preda del viticcio.

Sono e non sono perché sono niente,

ma non c’è vita che da me non nasca,

forza che prende forma in accidente,

che non soccombe e pare che rinasca.

Dal poema epico-drammatico Mythos, Marsilio Editori, Venezia, 2006


Il Nullista o… il professionista del nulla

Nemmeno l’opinione ha più la lingua,

almeno come modo di pensare

che dal tuo verso un altro ne distingua,

perché per tutti c’è chi sa guardare

e di saggezza e chiacchiere rimpingua

schermo ed astanti e tasche da colmare.

Silenzio, udite! C’è l’opinionista

nell’apprezzato ruolo del Nullista.

Il Nullista conosce bene il nulla,

di niente sa, di tutto sempre dice,

con l’umana stoltezza si trastulla

che converte la lisca nell’alice,

e le dà la maiuscola e si culla

nei rifiuti che spurga la narice.

Non c’è gallina conscia d’esser pollo

né che il grano la tira per il collo.

Come il jukebox ad ogni lira canta,

al soldo il logorroico incompetente

sciorina mille ciarle, e non s’incanta,

che se poi stringi non raccogli niente,

ma intanto conta quello che millanta

e che seduce la stordita gente.

Se di parlare è libera la gola

è un giogo non negarle la parola.

Non importa conoscer la questione:

basta che inneschi la perenne fonte,

il ciarlatano non ha più regione

che gli neghi l’ingresso, e porge fronte

alla vergogna di apparir cialtrone

dovunque spunti il sole all’orizzonte.

Essere strano, non riprender fiato,

sembrare dotto ed essere acclamato.

L’ottava si è conclusa recitando

la formula segreta del successo,

ch’è poi quella segreta del comando

per cui la società dipende spesso

non dal migliore, ma dal più esecrando,

che per qualche ragione abbia l’accesso

all’uomo cagionevole e digiuno

che trova grande chi non è nessuno.

Da L’infinito piatto, poema polemico- satirico in ottave (inedito).


Se la tua bocca fosse di ossidiana

Se la tua bocca fosse di ossidiana

mi daresti le labbra per baciarla?

– Ma quale il senso? –

Dirti che ti amo e che l’amore

è libero..

La notte ride

– c’è silenzio –

e ride.

Mi diresti: come?!

Ride….

Di treni, di sonnambuli, di cani.

E se piangesse?

Forse di stelle, o del tuo viso

che mi manca.

La notte è stanca:

è sempre stata notte.

Se un mercante le offrisse

magari mille dollari

di sole,

li comprerebbe per cambiare

vita.

La notte è stanca.

E me lo fa sentire

di unghie dentro l’anima!

Da quanto tempo è notte…

da quanto tempo

io non ti vedo.

Quando ti bevo

– e la tua coppa è aspra

e la tua coppa è dolce –

sei vino che mi toglie la ragione,

o mi dà lucida demenza,

o l’abbandono.

Mi resti dentro, vino fino all’alba

– E all’alba, amore mio? –

All’alba ancora vino

alle tue labbra.

Dalla silloge inedita Il vetro di Narciso.

Amato Maria Bernabei