Ecate

Dov’era la Luna?
Lo giuro, lo giuro:
sembrava vederla
splendente, di perla
mostrarsi tra i rami
del gelso e del melo
nascosta dal vetro
là alta nel cielo.
Mi alzo nel buio
-due passi un po’ incerti-,
mi appoggio alle imposte,
mi metto a cercarla,
ma pare scomparsa.
Eppure sembrava
che quasi mi entrasse
fin dentro alla stanza.
L’ho detto davvero:
«Sembrava, sembrava…»
Che bella sorpresa!
Di un faro la luce
mi ha fatto pensare
che fosse la Luna.
E invece era in vero
soltanto finzione.


Bacio astrale

Sembra di stare in una
di quelle cartoline
che vendono al bookshop
in fondo alla strada.
Il sole scompare
-ormai ne rimane soltanto
qualche riflesso sull’acqua ondulatae
le nuvole fluttuano leggere.
La luna è splendida, guarda!
Dicono sia in congiunzione
con Venere e Giove.
È vero: si vedono bene.
Ma ora le nuvole gonfie
nascondono tutto: non resta
che qualche bagliore sfocato.
Tristezza inquieta.
Tu la conosci la vita?
Credi forse sia un mare piatto,
un cielo sempre sereno?
Non t’illudere: le nuvole esistono, e nere.


Lettera a Demetra

Cara Demetra,
camminavamo distratti, distanti nelle strade del nostro viaggio; passi nei passi, voci con altre che si
perdono nel grigio della notte. Sorrisi dimenticati nel vento che già se ne va. Profumi di donna e
odori di uomini forti che si mescolano come le acque di un fiume indiano. Suoni domestici che si
conoscono a naso; rumori indistinti di risa e piacere. Orgasmi di luce e di buio nel giorno del
dolore. Seducente il profumo della violenza d’amore. Camminavamo così, come stupide trottole
destinate soltanto a girare. Chi ci può fermare? Chi lo vuole? Chi deve farlo? Grandioso vortice di
vita che ci avvolge e ci strappa dalle paure. E poi, cosa temere? Forse di vivere? E perché poi?
Il profumo dei capelli appena lavati, aroma di balsamo dolce. Il chimico sapore del mascara.
Camminavamo insieme senza saperlo. Cosa ci ha uniti? Lo strepitare della notte? O forse il silenzio
del giorno. I profumi ebbri dei corpi? O forse il piacere del dolore. Ho affidato il tuo nome alle
stelle.
Camminavamo, e le tue mani poi così, che scivolano imbarazzate nelle mani più esperte di un uomo
più grande, di un uomo che certo si sente già vecchio. Secchiate di tempera colorata su pareti
troppo bianche e luminose. Troppo bianche per essere vere. La vita non è diafana: lo sanno anche i
muri; lo sanno gli innumerevoli occhi curiosi che ci spiano appartati. Rossa, nera, blu, viola,
gialla. Cristo lo sa: inaccettabile un arcobaleno logico. Non esistono serie di luci cromatiche. Mille
sfumature diverse sovrapposte come foglie autunnali.
Il caldo rumore del tuo respiro affannato di piacere segreto. Camminavamo con passo sempre più
veloce, in un crescendo ripido di emozioni soffocate. Una corsa folle verso l’unica verità che ci
spaventa. Non riesco a fermare gli istanti: come acque impazzite scendono a dirotto tra pendii
scoscesi nelle valli della vita.
Camminavamo guardandoci appena, Demetra, lanciandoci timide occhiate tra i vetri appannati di
un bar parigino fatto di specchi luminosi. Lungo le navate deserte di una cattedrale gotica
stracolma di segreti nascosti. Nei prati verdi e marroni, ricchi di profumi inebrianti. Come le foglie
del tè. Come le distese interminabili dei campi di grano dorato.
Cosa ci ha spinti a sfidare la vita? Cosa ci ha fatto credere di essere immortali? Forse il tuo sorriso
rubato a una dea; forse le stelle – che raccolgono i nostri desideri. O l’odore acre del sesso. O,
forse, lo sguardo di un bambino impaurito che cerca il seno della madre, affamato. E cerca il suo
riso, riconoscendolo tra mille.
La perfezione di una dissonanza impreparata, forse, mi ha legato al tuo imperfetto sorriso già
degno d’amore. Abbiamo disperso nel tempo parole vuote e improbabili. Abbiamo sognato, distinti,
castelli misteriosi aperti alla grandezza incredibile della libertà. Il tuo genio di donna e la mia
passione di uomo ci hanno colti impreparati per le difficoltà della vita.
Il bicchiere di vino sempre troppo mezzo pieno per potercene accorgere; sempre troppo mezzo vuoto
per poter sopportare il dolore della catastrofe. L’asprezza di un bacio rubato, troppo coinvolgente
per poterne fare a meno. Gradini dopo gradini, discese e interminabili salite; ciottoli e duro
cemento armato ci hanno fatto sognare l’amore e la morte.
Camminavamo così: disinvoltamente complici per poterci accorgere della corda intorno ai nostri
colli come un cappio. Abbiamo saputo godere, apprezzandola, la caducità dell’esistenza fragile.
Abbiamo dimenticato gli antidoti per la futilità del nulla? Cosa ci aveva promesso la vita? Forse
qualcosa? Abbiamo volato su tappeti magici accompagnati dal delizioso profumo dell’oriente e
dall’essenza della mirra preziosa. Ci siamo cosparsi l’un l’altra i corpi di unguenti e voluttuosi
aromi.
Ci siamo fatti attrarre dalla caotica e sorprendente chiassosità cittadina; dalla magnanimità di un
ospite. Immensa tracotanza ci ha colti, inesperti. Abbiamo voluto superare invalicabili ostacoli con
voli folli. Non abbiamo saputo apprezzare la dolcezza di un Argo, non la promessa allettante di
un’Itaca.
Ignoranti i pesci rossi: beati! Ah, quale gioia nel vivere ogni attimo come fosse il primo.
Dimenticare continuamente il dolore, il triste destino. Mi torna alla mente, di continuo, il delicato
profilo dei tuoi fianchi sinuosi, il tuo morbido pendio segreto. La grandezza della forma di donna,
contenitore di vita. La dolcezza di fare l’amore con una forma che possa completare la tua.
Complici. Incastro perfetto, come due tasselli di uno stesso mosaico. Emozioni. E i segreti del tuo
passato, il nostro presente; il futuro di entrambi.
Ascoltavamo dure note di rock e delicati, strazianti canti di violini di vetro; o la dolcezza di un
clarinetto guidato da un respiro appassionato, modulato da mani esperte. Quante volte la passione
ha guidato le mie ruvide mani nelle tue nudità, nella tua inconfessabile armonia. E, insieme,
eravamo soliti inebriarci del nettare liquoroso del vino rosso invecchiato. Abbiamo pesato parole
iraconde, abbiamo voluto, con forza, addentrarci in perniciose espressioni di odioso amore.
Abbiamo avuto la pretesa di ottenere tutto e subito, senza godere il piacere dell’attesa. Ad maiora!
Quale dionisiaco spirito guidava i nostri movimenti? Quale ferina follia? Avvolti nel fumo corposo
di una sigaretta dimenticata tra le dita, ci siamo scordati del passaggio obbligato; siamo stati
dimentichi della resa dei conti. Perché? Camminavamo spiandoci, desiderosi di non farci
accorgere? Perché mai? Era evidente il desiderio implacabile dell’uno per l’altra. Dell’una per
l’altro. Eppure abbiamo spostato montagne e abbiamo ucciso i mostri della nostra vita prima di
conoscerci davvero. Camminavamo, da soli, straniti e spaventati dal futuro misterioso. Non si
poteva trovare il coraggio di essere coraggiosi, da soli.
Siamo stati capaci, insieme, di scoprire il profumo dell’erba appena tagliata, il gusto delle spezie
d’oriente in un mercato affollato, il suono familiare di una terza minore, il piacere del proibito,
l’abbagliante colore di una stoffa pregiata. Certo: esiste davvero il mostro sotto al letto.
Camminavamo, e abbiamo incontrato l’amore.

Per sempre tuo, Giulio.