La mia terra.

Scaverò con le mani questa terra

perché non possa fuggirmi il ricordo

dei suoi fiori selvatici

dei muschi antichi

che abbracciavano i muri

delle  vecchie case del borgo,

dell’erba, dei suoi orti

accarezzati dal fiume

che mi vide bambina,

del tempo e delle storie

che come fiabe

cullarono i miei sonni.

Scaverò fino a sentir male

per non sentir  più

il dolore di questa nostalgia.


 

Il nostro amore.

Il nostro amore

è come acqua di sorgente

che si rallegra nel nascere

zampilla e spumeggia

per distendersi infine

in mille fili d’argento…

Il nostro amore

è luminoso come l’alba

che scaccia sollecita il buio

per accendere un nuovo giorno…

Il nostro amore

è chiassoso come un luna park

sospeso in un turbinoso scintillio…

Il nostro amore

è capriccioso come il cielo di marzo

che tra nuvole irrequiete

ed improvvisi arcobaleni

rincorre la primavera…

Il nostro amore è una promessa mantenuta

è il presente

perchè testardo e paziente

ha superato le insidie del mondo

le offese del tempo

e fedele compagno

ancora allieta

il viaggio della nostra vita.


I tuoi occhi.

Distendi amor mio

come velo la malinconia

che hai negli occhi

che io possa dissetarmi

come fosse rugiada

e berne fino a saziarmi.


 

Romanza

 

Sei tempesta

amor mio,

vento che irrompe

in ogni parte

di me

scoglio solitario

sommerso da onde

che schiumando

nel glauco mare

biancheggiano

come irrequiete fiere

vanno e vengono

percuotendo

il cuore

che mai sazio

si abbandona a te.


 

Attimo

 

Soli ad aspettare

l’attimo

quando le nostre

anime

come solitari passanti

solcheranno

sentieri di stelle,

invocheranno sospiri

nelle lunghe notti

di complici oscurità

soffocate

da baci affamati,

saranno ampolle

d’amore

che pioveranno nettare

sui nostri corpi

che come fiori

reclinando il capo

al volere

delle dorate api

soggiacciono.


 

A mio padre

 

Come vestale

nel doloroso tempio

giungo a curar

la fredda culla

del tuo terren cammino…

intreccio dei ricordi

le ghirlande

così torno al paterno lido

dove tu del sicuro approdo

avevi le chiavi,

si strugge l’anima mia

per la tua assenza

e come lama ferisce

i miei pensieri la malinconia.

Tutto piange in ciò

che perduto appare,

eppur nitido è il tuo ricordo

in questo cielo

pietoso manto

che avvolge ogni tempo,

sei qui nel mio tormento

che implacabile scava

e poi pian piano

sembra svanir nel nulla…

una sommessa voce

mi accoglie

tra tenere carezze

si scioglie il mio pianto

e di calde lacrime m’inonda.


 

Un incontro inatteso.

 

Fuori era buio, le stanze dell’ufficio si erano svuotate,Petra aveva svogliatamente udito i saluti dei colleghi e forse non aveva neanche risposto, assorta com’era nei suoi pensieri che come il forte bruciore agli occhi non sembravano lasciarla in pace,neanche quei calcoli e quelle incombenze di ufficio erano riusciti a cancellarli. Chi era al telefono ogni mattina che la chiamava e restando in silenzio,riattaccava dopo aver sentito la sua voce?

Erano mesi che succedeva  tutte le mattine al suo risveglio,come se qualcuno l’avesse vista alzarsi dal letto,infilarsi la vestaglia e andare verso la cucina per una frettolosa colazione. Petra non era più una ragazza,aveva oltrepassato da un lustro i quaranta,le prime rughe le solcavano leggere gli angoli degli occhi, quegli occhi che brillavano ancora di quella bellezza giovanile ed avevano il colore delle brughiere autunnali punteggiate di quel giallo particolare che solo l’autunno sa dipingere. Petra spense il computer, si diresse verso la porta,sganciò  l’impermeabile nero dall’attaccapanni , lo infilò e raccolse i capelli indietro, con una mano riassestò la frangetta bionda che le cadeva sugli occhi,spense le luci e si avviò all’uscita.

Scesa sulla strada si sentì come soffocare dal freddo,la nebbia l’avvolgeva, non riusciva a vedere più in là del suo naso,strinse il foulard di seta sul collo e incominciò a camminare verso casa,in fondo il suo piccolo appartamento non era lontano dall’ufficio dove lavorava e da anni ci viveva da sola,da quando Ilaria, la sua più cara amica, si era trasferita  a Roma, non sopportando più gli inverni della Brianza nebbiosi e freddi.

Udiva solo il rumore dei suoi passi,la strada era stranamente silenziosa,forse aveva esagerato con il lavoro,si era attardata troppo, si guardò il polso per controllare l’ora ma si accorse di  non portare l’orologio,eppure era convinta di averlo messo ,infatti tutte le mattine lo prendeva dal comodino vicino al letto,d’altronde non ne avrebbe mai fatto a meno, era un accessorio così indispensabile alla sua vita scandita da orari rigidi e da giorni sempre uguali. No,non lo aveva, un brivido le attraversò la schiena, che ora era? Cercò il cellulare nella borsa,rovistando tra le cose che la riempivano come una valigia,eccolo pensò ma come lo passò tra le mani si accorse che era scarico,accidenti esclamò!

Non ebbe finito di imprecare,che una mano leggera le si posò su una spalla,sentì una voce maschile chiamarla quasi sottovoce,Petra!

Si voltò di scatto,il cuore come un tamburo le sobbalzava in petto,Oscar, gridò! Un uomo avvolto dalla nebbia,di cui non riusciva a vedere bene le sembianze,le si stagliava davanti,eppure lo aveva chiamato Oscar, perchè? Petra se lo stava chiedendo mentre un tremolio si impossessava di tutte le sue membra.

-Mi hai riconosciuto?  Quanti anni Petra,troppi ne sono passati da quella sera!- Sospirò l’uomo.

-Come hai fatto a trovarmi? Credevo fossi a Boston, era lì che lavoravi vero?-Domandò Petra

-Sì, ci lavoro ancora,ma avevo voglia di rivederti, ti sembra strano vero? L’America non è poi così vicina,ma tutto si può fare se si vuole!  Posso offrirti qualcosa di caldo? Vedo che stai tremando!-

-Oscar,quanto tempo! Sospirò Petra, ma andiamo a casa, è poco distante da qui.-

S’incamminarono insieme silenziosi,le luci dei lampioni rendevano la nebbia meno fitta e a tratti il viso di Oscar era più visibile,Petra poteva scorgerne i lineamenti delicati,gli occhi malinconici,scuri,profondi,di una bellezza che quasi non ricordava più, forse perchè  nella realtà erano ancora più belli del ricordo che ne aveva. Anche quegli occhi però erano stati segnati dal tempo,sottili rughe ne evidenziavano i contorni rendendoli però,ancora più espressivi,Oscar si accorse del suo sguardo e accennò un sorriso, così era ancora più bello.

Ma come aveva potuto dimenticarlo? O forse non lo aveva mai dimenticato tanto che lo aveva subito riconosciuto chiamandolo per nome ,senza vedere chiaramente chi fosse.

Giunsero sul portone di casa, Petra si affrettò ad aprire perché il freddo si era fatto insopportabile e forse anche l’attesa,Oscar entrando si schiarì la voce come se fino a quel momento un nodo in gola gli avesse impedito di parlare. –Petra, non immagini da quanto tempo ho desiderato questo momento,tu non puoi sapere come sono stati vuoti i miei anni, lontano dal mio paese,lontano da te, il mio successo nel lavoro non è servito a farmi dimenticare il nostro amore.-

Mentre parlava la fissava negli occhi e a lei quegli occhi parvero penetrare come spilli  nei suoi, tanto da sentirsi mancare,così estranea al suo corpo come bloccata da una forza oscura, immobilizzata e infreddolita, avrebbe voluto scappare ,non essere con quell’uomo che ora le faceva quasi paura. Eppure Oscar era stato l’amore della sua vita, il primo amore della sua gioventù,lei  lo aveva lasciato andare per paura, una sorta di vigliaccheria che le aveva impedito di seguirlo in America.

Lui le si avvicinò e le accarezzò i capelli,Petra ,le  domandò, invece tu sei felice?

Cos’era la felicità? Pensò Petra,forse una realtà palpabile,una sicurezza,un progetto di vita visibile con tutte le sue coordinate a posto? Ecco solo ora si rese conto che non aveva vissuto,che la sua vita si era fermata quella sera quando decise che non avrebbe seguito Oscar,che l’avrebbe lasciato solo.

Il loro amore era stato vinto dalle  sue paure e forse anche dal suo orgoglio ma ora, solo ora, con lui di fronte,capiva che non aveva buttato via solo la sua vita ma anche quella di Oscar. Così,quasi sottovoce rispose,no,non lo sono.

Lui la strinse a sé dolcemente,Petra appoggiò la testa sul suo petto,sentì il cuore di lui battere forte,no forse era il suo,un calore salirle dal grembo e le gambe molli come burro. Si ritrovò in terra a rotolare con lui ,le loro gambe si intrecciavano, le loro labbra si cercavano dolcemente poi sempre più avide, finchè i loro corpi si unirono in un disperato amplesso,dolcezza che a tratti diventava fame vorace,desiderio insopprimibile di raggiungere insieme l’estasi.

La notte fuori era buia,la nebbia un fitto velo,li avvolgeva il silenzio rotto dai loro gemiti di piacere.

La mattina Petra fu svegliata dalla luce che proveniva dalla veranda dove si affacciava la stanza,volse lo sguardo intorno, non trovò Oscar,si alzò dal pavimento, si diresse nella piccola ma graziosa cucina pensando stesse lì preparando il caffè,ma niente,non c’era nessuno, era sola, e la porta d’ingresso era chiusa dall’interno. Petra pensò di essere impazzita o di essere vittima di qualche strano maleficio,era nuda ed i suoi vestiti sparsi nel pavimento. Corse in bagno si mise sotto la doccia azionando il rubinetto per un getto freddo che la svegliasse da quell’incubo,sentì i brividi di freddo attraversarle la testa come delle scosse elettriche,è vero sto impazzendo!

Si avvolse nell’accappatoio,mentre si asciugava raggiunse il computer nella sua camera da letto,lo accese,le notizie su google riportavano vari avvenimenti,su un rettangolo giallo la foto di un uomo, “Stanotte è morto Oscar Liti, il famoso top manager è stato vittima di un tragico incidente stradale”.

Petra rimase a fissare quella notizia, le dita sembravano incollate sulla tastiera, immobile come una statua sentì i suoi occhi riempirsi di lacrime che incominciarono a scenderle sul viso, sempre più copiose,le sue labbra pronunciavano in continuazione il nome di lui,Oscar….

Sì, avrebbe voluto sciogliersi nel pianto, dileguarsi in quel dolore che le trafiggeva  ogni parte del corpo, ora era drammaticamente consapevole di ciò che l’amore di lui era riuscito a fare,Oscar l’aveva raggiunta con la forza del suo sentimento prima di lasciarla per sempre.

 

Anita Festuccia


 

L’inutile attesa

 

Carmine passeggiava su e giù sul marciapiede che costeggiava la fermata del tram,sembrava un’anima in pena, i passeggeri che ogni tanto scendevano o aspettavano che arrivasse la corsa successiva, lo guardavano incuriositi, qualcuno sorrideva  lasciandosi andare a commenti poco gradevoli nei suoi confronti.

In effetti il suo aspetto non passava inosservato,i capelli rasati ai lati delle orecchie lasciavano sul capo una specie di criniera che si ergeva rigida per il gel che aveva spalmato abbondantemente e tinta di un azzurro intenso, svettava come una bandiera sulla sua testa.I pantaloni strappati su quasi tutta la loro superficie ricoprivano le gambe esageratamente lunghe e magre,decisamente sproporzionate rispetto al resto del corpo, sul viso bianchissimo un naso piccolo e sottile lasciava il posto a degli occhi molto grandi ,di un celeste così pallido,da apparire quasi bianchi, dalle labbra sottili si intravedevano gli incisivi superiori che sporgevano dandogli un aspetto buffo, conigliesco. Carmine era nervoso si  sentiva addosso gli sguardi di quella gente,inquisitori ed ostili,era lì da un’ora ad aspettare lei, Sonia,la sua amica d’infanzia, la compagna di scorribande,la ragazza a cui voleva bene,forse l’unica persona a cui si sentiva legato da un sincero affetto,la sua vita infatti,fino ad allora, era stata priva di veri affetti.

Ma Sonia non arrivava ed era ormai evidente che non sarebbe andata all’appuntamento, così Carmine si avviò verso il viale che correva parallelo alla strada, un viale alberato dove si fermavano artisti a dipingere gli scorci pittoreschi sul fiume che si potevano ammirare dall’alto del viale fino in lontananza.  Era quasi sera, il cielo si stava colorando di rosso e linee più scure si profilavano sull’orizzonte sotto il sole che sembrava scendere sui tetti delle case.Com’era bella la sua città, lui che non l’aveva mai osservata attentamente,adesso si accorgeva della sua bellezza, in quell’ora del giorno che le donava un fascino particolare .

Camminando sentiva crescere un certo nervosismo ed anche l’amarezza per quella buca che gli aveva rifilato Sonia. Si fermò ad un chioschetto per comprarsi qualcosa da mettere sotto i denti e bere una lattina di Coca,tanto a casa non avrebbe trovato nessuno e tantomeno una cena degna di quel nome,così si sistemò a cavalcioni su di un  muretto che costeggiava l’argine del fiume masticando distrattamente la sua cena,si mise ad osservare le coppiette che passeggiavano lungo gli argini. Il fiume sembrava d’argento e in qualche punto l’acqua assumeva riflessi vermigli, Carmine la fissava scorrere veloce e la mutevolezza dei suoi colori che rispecchiavano il cielo al tramonto, sembrava assomigliare ai pensieri che si susseguivano nella sua testa. Perchè non si era mai sentito amato? Era lui un problema?Il suo aspetto fisico poco piacevole ed il suo carattere irrequieto? No,nessuno lo accettava,neanche i suoi genitori!

In fondo sua madre durante un furioso litigio,glielo aveva anche confessato, non lo avrebbe mai voluto,era il dannato sbaglio di gioventù che le aveva rovinato la vita. Quei ragazzi che si baciavano là sotto, gli procuravano una strana sensazione,lui si sentiva diverso ma nello stesso tempo non avrebbe voluto fare niente per non esserlo. Qualcosa lo feriva nel profondo, qualcosa che lo faceva sentire fragile in balia di un pianto irrefrenabile che a stento ora riusciva a trattenere, si passò la mano sugli occhi per arginare quel calore di lacrime. E poi Sonia, anche lei lo aveva abbandonato,forse si vergognava di farsi vedere con lui, non era più una ragazzina ,era cresciuta Sonia,forse troppo in fretta e qualcosa in lei era cambiato,lui la chiamava la “ragazza in fiore” e lei rideva. Com’era bella Sonia quando rideva!

Aprì il barattolo della Coca,la bevve tutta d’un fiato,sentì nello stomaco una stilettata, un dolore penetrante, sapeva di farsi del male con quelle abitudini sbagliate, le cene con panini comprati qua e là, pasti saltati,i digiuni e le abbuffate,le sigarette che alcuni giorni fumava in continuazione, lui era la sregolatezza in persona! Ma sì,in fondo voleva farsi del male!

Saltò dal muretto e si incamminò di nuovo verso la fermata del tram,ormai la sera era scura,il sole era scomparso dietro ai tetti. Il tram arrivò subito ,per fortuna non dovette attenderlo,salì con un balzo,c’erano poche persone sicuramente tornavano dal lavoro, avevano tutte  le facce stanche,neanche un sorriso, una signora piccola, secca come un limone spremuto lo guardò con aria disgustata, anche alle rinsecchite faccio schifo,pensò Carmine. Prese posto su un sedile posteriore,si sistemò le cuffie e si sparò nei timpani la musica a tutto volume.

Ora sì, poteva anche partire!

 

Anita Festuccia

 


 

E ti vengo a cercare

ci sarà un luogo dove ti troverò?

Non esistono strade sicure

non esistono vie tracciate,

sentirò dentro di me un richiamo

folle, disperato,

il cammino sarà insidioso

cadrò ma saprò rialzarmi

mi ferirò ma saprò curarmi

ma infine lo giuro,ti troverò.

 

Anita Festuccia

 

Aprile 2018