Zucchero amaro

Andrea si sveglia, il letto mezzo vuoto: Giulia si è già alzata. Si lava, si veste, dà uno sguardo in cucina per vedere se lei sta facendo colazione, ma trova solo una tazzina ancora tiepida di caffè mezzo macchiato e un biglietto. Mi dispiace, ieri avevo ragione: non riesco più a stare così. Devo andarmene, devo tornare a casa mia. Andrea lo legge prima di sfuggita, come se fosse un appunto lasciato lì per caso, ma quell’imperativo che contiene, quel bisogno di lasciarlo, lo spiazza. Lo riguarda, con lentezza infinita, prende la giacca ed esce.
Corre in fondo alla via, si guarda attorno e la vede che attraversa la strada più avanti, all’incrocio, con l’ombrello fucsia che hanno comprato insieme a Venezia, per difendersi dalla pioggia che si sta facendo più insistente. «Giulia!» la chiama a voce alta, ma forse non abbastanza da essere sentito al di sopra del traffico mattiniero, continua a seguirla, il passo veloce rallentato dall’acqua che gli riempie le scarpe. «Giulia!» ha urlato, e questa volta lei si gira. È ferma a metà strada, su un’isola di traffico, in mezzo alla pioggia, con l’ombrello che le scivola indietro ogni tanto e rischia di farla bagnare, come sempre, perché le sue braccia si stufano presto di sopportare dei pesi. Andrea la guarda, gli occhi pieni di pioggia e di ricordi, mentre aspetta di attraversare e di avvicinarsi ancora a lei.

Giulia è ferma, l’ombrello appoggiato a una spalla, lo zaino che si sta inzuppando. Le sembrava di aver sentito qualcuno che la chiamava, ma non aveva voluto ascoltare, solo che poi Andrea l’ha chiamata di nuovo e l’amore che li lega si è spezzato nel mezzo del suo nome e lei si è dovuta fermare. Si è dovuta voltare, ha dovuto alzare lo sguardo e guardarlo negli occhi, almeno questa volta. Lo guarda, sta aspettando che qualche auto si fermi e lo lasci attraversare, ma nemmeno gli estranei sembrano propensi a far continuare il loro rincorrersi. Lui è bello come sempre, gli occhi verdi non la abbandonano neanche per un secondo e i corti capelli rossicci si stanno appiattendo, fradici. Continuano a fissarsi per secondi interminabili finché un clacson suona e Andrea si riscuote, ringrazia e attraversa, finendo direttamente sotto il fucsia dell’ombrello.

«Andrea…» Giulia comincia titubante, ancora non sicura di cosa usare come scusa per andare via.
«No. Mi hai aspettato, evidentemente non hai tutta questa di andartene come tieni a farmi credere, quindi puoi ascoltare quello che ho da dirti.» Lo ha detto con un tono risoluto che non credeva di poter mettere insieme, sorprendendo anche se stesso.
«Devo andare invece. Ho un treno fra poco, vado a casa. Torno a Londra.» Giulia parla velocemente, come se le parole le sfuggissero dai denti mentre lei cerca il tono giusto con cui dirle. Non lo trova. La voce si affievolisce e Londra è solo un sussurro.
«Londra? Londra non è tornare a casa, Giulia, Londra è andarsene di nuovo. Lasciare di nuovo tutto dietro di te, e lo sai bene. Non puoi di nuovo lasciarci tutti indietro, devi tenerci legati a te in qualche modo e se continui ad andartene ogni volta non credo ci riuscirai.» Andrea si fa prendere dallo smarrimento di pensarla di nuovo così lontana e risponde di getto, senza pensare a quanto sono incompatibili il suo istinto e il carattere di Giulia. Com’era prevedibile, infatti, Giulia si irrigidisce.
«Londra è casa mia, Andrea. Londra è il mio futuro ed è il mio modo di andare avanti; non lascio indietro tutti, fidati, solo chi non riesco più a portare con me.» Giulia inizia veemente, ma l’irruenza delle sue parole si spegne sul viso del ragazzo e pian piano diventa rassegnazione. Lei lo porterebbe con sé Andrea, lo metterebbe in valigia, lo terrebbe nel proprio letto, ma entrambi hanno una propria vita e come non può portarlo nella propria, non riesce nemmeno più ad essere una parte minima di quella di lui.
«Quindi io sono solo qualcosa da lasciare indietro perché non vado più bene come una volta, non è così?» Andrea si arrende, l’amarezza palpabile nella sua voce.
«No Andrea, io non ho detto questo, non mettermi in bocca parole non mie e idee che non mi hanno mai attraversato la mente. Io ho bisogno di lasciarti indietro perché non ce la faccio più ad essere divisa, a vivere a chilometri e chilometri da te, vedendoti si e no un weekend al mese, molto stringato e quando siamo entrambi stanchissimi. Non ha più senso. Non ti lascerei mai, lo sai, te l’ho detto anche ieri, se dipendesse da me e da te non ci lasceremmo mai; l’avevi predetto tu, all’inizio, che ci saremmo lasciati per cause esterne, e così è. Io non ce la faccio ad amarti e non vederti mai, a non sapere mai come stai davvero, a non poterti abbracciare quando voglio. Ma Londra è quello che voglio, è qualcosa che mi fa sentire importante per tutti e non solo per te. E per quanto tu sia la cosa più importante che io abbia, non posso continuare a dividermi fra il mio cuore e il mio futuro. Ed io ti amo, ma noi non siamo una certezza; l’università sì.» Giulia parla con calma, prendendo anche lei pian piano coscienza di ciò che sta dicendo. Ha davvero bisogno di andare avanti, di seguire la propria strada e cercare di costruirsi un futuro. Andrea sarebbe un futuro fantastico, ma non è possibile avere tutto quello che si vuole; e lui di sicuro non le farebbe trovare un lavoro.
«Allora fai quello che vuoi Giuli, ma ricorda che io non sono d’accordo. Tornerai di nuovo qui fra un po’ e allora ne riparleremo. Puoi pensare che ci siamo presi una pausa se vuoi, ma non ci stiamo lasciando.» Andrea è testardo più di quanto non lo sia mai stato.
«Andrea… è finita.»

Giulia lo guarda triste, si volta e se ne va, consapevole di aver perso il treno e degli occhi scioccati che si sta lasciando alle spalle.

Andrea rimane per qualche momento fermo, senza nemmeno respirare, di nuovo sotto la pioggia che scende copiosa. Guarda l’ombrello fucsia riconoscibile ovunque sparire dietro un angolo e si riscuote. Non sa che fare, sperava di convincerla a tornare a casa e a parlarne, magari con più calma della sera prima, quando, dopo la loro discussione, lei era sparita per tornare un’ora dopo, con il trucco colato e uno sguardo che faceva paura, e lo aveva abbracciato senza mai guardarlo davvero. Si siede sul marciapiede bagnato, incurante delle gocce che si ostinano a bagnarlo più di quanto già non lo sia, delle auto che passano e delle persone al loro interno che lo guardano preoccupate. Seduto sul bordo, continua a bagnarsi per un’oretta quasi, senza trovare la forza e la motivazione di alzarsi, le spalle si curvano un po’ di più ogni minuto che passa, finché Andrea si ritrova ad essere quasi una pallina, solo nel mezzo di una strada come dimenticato dal mondo. Ma si alza un venticello poco clemente e il gelo dei vestiti zuppi di pioggia si fa più ostinato, convincendo il ragazzo ad alzarsi finalmente, per evitare di morire assiderato in centro città.
Si alza, si spolvera i pantaloni per abitudine e fa per tornare a casa, ma ci ripensa e capisce che non può tornare subito in quella che per tutta l’estate era stata l’alcova sua e di Giulia. Stavano insieme da un po’ più di tre anni, e tutte le estati avevano preso l’abitudine di rifugiarsi nell’appartamento che lui condivide con altri ragazzi a Padova, dove studia all’università. Quest’estate, come le precedenti, l’avevano passata nella sua camera, dividendo in due un lettino misero e uno spazio minuscolo, che sembravano però calzare perfettamente su di loro. Ma l’estate era finita e Giulia aveva dovuto decidere se tornare a Londra per il master o cercare una laurea magistrale in Italia; era arrivato settembre e ogni volta le loro discussioni aumentavano, incapaci di lasciarsi davvero ma anche di restare insieme. Lei aveva fatto la sua scelta, e oggi gliela aveva comunicata, lasciandolo in mezzo alla pioggia. Come lui aveva fatto al loro primo appuntamento.

Di botto gli torna in mente quel giorno, il caffè che lei gli ha offerto e la pioggia che li ha colti di sorpresa, obbligandoli a nascondersi sotto i portici. La sua mente si riempie di immagini di Giulia: lei che lo bacia, che lo allontana, che lo abbraccia, lei che si alza dal letto per chiudere la finestra, lei svestita che gli sta davanti e sorride, lei che ride. Andrea sta continuando a camminare e, perso nei suoi ricordi, va a sbattere contro un ragazzo. «Scusa… scusa non stavo – » Andrea balbetta, riportato alla realtà ed alza gli occhi, trovandosi di fronte Luca, un suo compagno di corso. «Ehi! Tranquillo André, piuttosto, come mai sei così messo? Poi tu stai lontanuccio da qui, vuoi passare da me ad asciugarti?» Andrea rimane per un secondo confuso, poi accetta volentieri.

I due entrano a casa di Luca, un appartamentino che condivide con un paio di amici, che però sono fuori. Andrea finisce per farsi una doccia lunghissima e cambiarsi con vestiti presi in prestito da Luca, vestiti che dovrà ricordarsi di riportargli poi, pensa facendosi un appunto mentale. Luca gli offre un toast per pranzo, dato che non c’è granché in casa e lui stava appunto andando a fare la spesa. I due mangiano in silenzio, è piuttosto presto per pranzare, sono solo le 12.15, ma Andrea ha saltato la colazione ed essere corso dietro a Giulia con la conseguente discussione gli ha messo decisamente fame. Luca lo guarda un po’ di soppiatto, sempre rimanendo in silenzio, ma quando Andrea finisce di mangiare non ce la fa più: vuole sapere cos’è successo. Chiede spiegazioni all’altro e riceve uno sguardo sofferente, un sospiro e la richiesta per una birra, poi Andrea inizia a spiegare la situazione. Gli racconta delle ultime liti, ma anche delle estati insieme, delle vacanze, della dura prova di stare sempre lontani, racconta la bellezza e il pessimo carattere di lei, la propria dolcezza e l’ingenuità di entrambi. Luca ascolta, cercando di essere comprensivo, di dare giudizi generali che non lo offendano e di offrirgli semplicemente qualcuno con cui sfogarsi, perché il ragazzo ne ha bisogno, e si vede. Alla fine del racconto Andrea ha bevuto tre birre e Luca due, giocano alla playstation per un po’, e a Luca sembra che l’amico stia meglio, che distrarsi leggermente dal pensiero fisso della morosa che lo lascia in mezzo a una strada sotto la pioggia stia aiutando. Poi decidono di scendere a fare la spesa prima che il supermercato chiuda e quando la riportano Luca sale e Andrea lo saluta, ha ancora bisogno di camminare un po’.

Dopo aver lasciato l’amico, Andrea se ne va a zonzo per la città, vedendo posti che non aveva mai visitato, lui che con Giulia si chiudeva sempre in casa. Finisce per approdare a un bar, dove beve un’altra birra, ma poi si annoia ed esce di nuovo. Continua a girare fino a sera, quando si trova, non sa nemmeno come, davanti alla stazione. Ripensa a quante volte sono stati lì loro due, per prendersi o salutarsi, per abbracciarsi ancora una volta e non trattiene uno sbuffo. Non ce la fa, non vuole dover ripensare a lei tutte le volte che vede un treno. Chiude gli occhi, cerca di pensare ad altro e va a sedersi alla fermata dell’autobus. Non andrà a casa a piedi come faceva sempre con Giulia. Come sempre l’autobus arriva dopo quasi un’ora, ma non è una sorpresa e comunque non gli va ancora di tornare a casa.
Scende un po’ prima della propria fermata e torna a vagabondare. Finisce in un altro bar, dove incontra Francesco, uno dei suoi coinquilini, e bevono qualcosa insieme smangiucchiando delle arachidi. Andrea non sta benissimo, avendo bevuto abbastanza e mangiato molto poco, ma casa è a pochi metri e Francesco ha un’amica, quindi lo accompagna all’angolo e poi lo lascia solo.

Andrea rientra e va direttamente in camera, si butta sul letto vestito e si lascia cadere in un sonno meno torturato di quanto non sia la sua realtà.
La mattina seguente si sveglia, non connette subito la realtà ai ricordi e va in cucina, dove trova sul tavolo una tazza di caffè macchiato, freddo. Pensa che non abbia senso sprecarlo così, anche se non ama il latte nel caffè, allora la scalda e ne prende un sorso. Si blocca indeciso se rifiutarsi di berlo sputandolo nel lavandino o se rassegnarsi e mandarlo giù, tanto ormai; decide che alla fine quel povero caffè non gli ha fatto alcun male e lo beve comunque, nonostante sia talmente pieno di zucchero da poter far venire il diabete solo quell’unica tazzina. Lo beve, triste e amareggiato: a lui il caffè piace caldo e amaro, non pieno di latte e zucchero, a lui le cose piacciono pure. Non era suo, infatti, quel caffè abbandonato sul tavolo, come da una persona scappata di fretta, era di Giulia.
Ma Giulia se n’è andata, non riesce più a stare con lui, non sopporta più di essere divisa fra quello che sogna e l’uomo che ama. Solo a causa della distanza. Una distanza imposta da loro stessi, dai loro desideri, dalle loro diverse scelte di vita. Così finisce, con una tazzina di caffè freddo lasciata sul tavolo della piccola cucina di Padova. Una tazzina di caffè freddo, zuccherato, così simile al primo caffè che lei gli aveva comprato, il primo caffè che li aveva legati. Alla fine è un ciclo che si chiude, pensa Andrea, in piedi al centro della cucina, incapace di muoversi, tutto è iniziato con Giulia che mi offre un caffè pieno di zucchero, apposta perché sa che odio rovinarlo così, e tutto finisce con lei che mi lascia un caffè pieno di zucchero, perché per lei che ama le figure retoriche e le strutture ad anello, non è possibile chiudere in altro modo.