Una giornata di Lucio F.

Qualcosa lo infastidiva. Nel dormiveglia si rese conto di un ticchettio lontano, che avanzava

inesorabilmente nei meandri del suo cervello, ma che a lui non piaceva. E si faceva sempre più ampio,

si ingigantiva sempre di più. Gli sembrò di lottare con forza, ma alla fine dovette soccombere. E

quando si ritrovò completamente sveglio, si accorse che era soltanto il bip-bip della sveglia. Erano le

5,30 del mattino, ed il primo pensiero che ebbe fu quello di gettare quella dannatissima sveglia; come le

mattine precedenti, del resto. Ma quando stava lì lì per farlo, uno sconforto profondo lo prendeva; in

fondo la sveglia era una delle tante cose che lo tenevano in vita, come l’auto, il televisore, il telefono;

tutte cose che no lo facevano sentire solo. Solo! Si soffermò a pensare alla solitudine. Non riusciva ad

immaginarla. La mente era stato troppo abituata a personificare qualsiasi cosa. La pubblicità bersagliava

ogni individuo dalla mattina alla sera, presentando per qualsiasi idea il relativo supporto visivo. Proprio

non ci riusciva. E allora immaginò la solitudine come un veliero in un’immensa distesa d’acqua; al

timone un uomo solo. E gli sembrò di sprofondare, in quella immensità: nessuno gli tendeva una mano.

Si sentì mancare l’aria, boccheggiò… e si risvegliò di nuovo. Erano le 5,50. Dimenticò subito il sogno

che aveva fatto e si buttò giù dal letto. Si lavò in fretta, e mentre pure in fretta si vestiva, gettò uno

sguardo alla moglie che dormiva saporitamente. Ripensò distrattamente al sogno appena fatto, e si sentì

un veliero, disperso in quella immensità, solo. Scacciò con forza quel pensiero, anche se sentì un

qualcosa in fondo al cuore, come una mancanza… non sapeva cosa. Andò in cucina, come tutte le

mattine, e si preparò un po’ di latte con due biscotti; da solo! Ed uscì. La stazione ferroviarie era a

pochi passi da casa sua, e ogni mattina perciò la raggiungeva a piedi. Si incamminò per le strade già

illuminate dalla luce dell’alba, e dopo pochi minuti si ritrovò nella stazione. Volti ancora insonnoliti gli

si fecero avanti, e gli sembrò di scorgere in ognuno di essi un briciolo di solitudine. Nessuno guardava

l’altro negli occhi; ognuno era chiuso nel suo mutismo e nei suoi pensieri. Sembrava provassero

vergogna a guardarsi. Lanciò un mezzo sorriso ad un signore che vedeva tutti i giorni, ma quello lo

guardò con uno sguardo sorpreso, come a dire: “Chi è costui?”. Si rintanò allora anche egli nei suoi

pensieri. Sul treno prese posto in un cantuccio, da solo, e osservò che anche gli altri cercavano di

trovare un posto in cui stare da soli; dal quale poi avrebbero guardato fuori. E di nuovo gli si presentò

l’immagine del veliero. Cercò di immaginare quali pensieri attraversavano la mente di ognuna di quelle

persone che sedevano nel suo stesso scompartimento. Ma risentì tornare a galla quella mancanza di

qualcosa, che aveva con forza relegato in fondo al cuore. Una fitta di nostalgia del passato? No, non era

questo. Era abbastanza pratico da guardare al passato con sufficiente serenità d’animo, e

contemporaneamente si rendeva conto sufficientemente che era meglio pensare al futuro piuttosto che

piangere sul passato. E allora cos’era? Il treno intanto sfrecciava in mezzo ad una distesa brulla e

solitaria. Qualche albero ogni tanto ravvivava il quadro, ma per il resto c’erano solo sassi e sterpi.

S’inerpicò in una gola buia, e quindi entrò in una galleria. La luce artificiale gli fece male agli occhi, e

così li chiuse, ritrovandosi nel proprio mondo, da cui non avrebbe voluto uscire. Si appisolò.

Fu svegliato, all’improvviso, dallo sferragliare del treno dentro la stazione e dagli altoparlanti che

annunciavano, con voce metallica e monotona, arrivi e partenze. Lentamente riprese coscienza di se

steso, e si avviò alla porta. La marea di persone, all’uscita, lo spingeva e lo urtava continuamente: tutti

correvano per fare in fretta, incuranti dell’altro che stava al loro fianco; la testa bassa, ognuno era chiuso

in se stesso, teso al raggiungimento del proprio scopo. Restò fermo per un po’, imbambolato. “Ma dove

corrono, dove vanno così di fretta?” pensò. Intravide un suo amico e cercò di chiamarlo. Ma quello si

allontanò correndo e facendo una smorfia che voleva, forse, essere un sorriso. Disse: “Ci vediamo

domani, se posso, ciao!”. E scomparve, inghiottito dalla marea di gente che correva via. Si avviò da

solo, lentamente, al posto di lavoro. La gente continuava a correre davanti a lui, e continuava a urtarlo,

per strada. Ma egli proprio non si avvedeva di tutto questo tramestio. Ed era proprio tutto questo

correre disordinato della gente intorno a lui, che lo faceva sentire ancora più solo. Che controsenso,

pensava, trovarsi in una città con milioni di persone intorno a te, che non ti conoscono e non ti

sorridono, indifferenti. La cosa lo sopraffece. Era come se stesse annegando, e sapeva che nessuno lo

avrebbe tratto in salvo, nonostante fossero tutti intorno a lui. Alzò gli occhi al cielo, e proprio allora il

sole si nascose dietro una nuvole, dandogli anch’esso l’impressione di volerlo sfuggire. Finalmente

arrivò al lavoro. Salutò i colleghi e si diresse verso la scrivania. A tutta prima, lo prese una furia di voler

fare, anche se per scacciare quella penosa sensazione di solitudine che, da quando si era svegliato,

stagnava in un anfratto del suo cuore. E cominciò così a spulciare ogni foglio, a leggerlo, a correggerlo;

e trascorse così buona parte della mattinata, senza muoversi dalla sua scrivania. Verso mezzogiorno fece

uno spuntino al bar sottostante e diede un’occhiata al giornale. Sorvolò le solite notizie di politica, gettò

uno sguardo alle notizie sportive e poi passò alla cronaca. E qui lo colpì una notizia in particolare:

“Violentata ragazza in ora di punta in Piazza V.”. Purtroppo, il fatto di leggere sul giornale una notizia

del genere non era una cosa molto strana, ma lo colpì il fatto che ciò fosse avvenuto in un’ora di punta,

e soprattutto che fosse accaduto in una piazza, luogo di incontri e di andirivieni continuo. Si ritrovò

così a pensare all’indifferenza con cui, ogni giorno, egli veniva in contatto: e quell’indifferenza lo faceva

sentire solo! Per tanti giorni, mesi ed anni, aveva viaggiato insieme alle stesse persone, mattino e sere, e

non una parola, non un cenno aveva rotto l’isolamento entro il quale ognuno viveva; se si voleva

chiamare “vivere” quel modo di vegetare di ognuno! Ed ecco che riaffiorò quella sensazione che non lo

aveva abbandonato da quando si era svegliato. E gli si formò un nodo alla gola; si girò intorno nel bar e

notò tante persone, ognuna seduta ad un tavolino, o vicino al banco. Prendevano il caffè, o mangiavano

u panino, ma nessuno di loro alzava gli occhi o sorrideva. Notò un qualcosa di strano sul viso di

ognuno di loro, dei sorrisi freddi che ogni tanto affioravano timidamente, e, a volte, occhi tristi. Scappò

via di corsa all’aria aperta. Aveva voglia di gridare e piangere. Una tensione acuta lo prese. Ritornò al

lavoro e chiese al suo capo di andare via prima. Poco a poco la tensione incominciò a scemare. Alla

fine, sul treno che lo riportava a casa, si tranquillizzò completamente. Il paesaggio del mattino,

illuminato adesso dal primo sole pomeridiano, lo accolse di nuovo. Che buon effetto faceva sentire i

raggi del sole sul viso: finalmente un essere che si interessava a lui. Arrivò a casa alquanto rilassato. Sua

moglie non c’era ancora, così, messosi in vestaglia, si pose davanti al televisore. Le immagini scorrevano

continue e monotone e le sentì tanto, tanto lontane. Era solo nella stanza, e nemmeno quel cordone

ombelicale che lo teneva legato alla vita esterna, il televisore, riusciva a farlo partecipe di quel fluire

incessante delle cose. Un’insoddisfazione lo prese per la sua vita monotona, e pianse. Non erano

lacrime calde, con le quali avrebbe potuto sfogarsi; erano invece lacrime di rabbia per questo suo

sentirsi solo, per questo suo inappagamento continuo. Ma come poteva sentirsi soddisfatto e contento

se aveva continuamente la sensazione di una solitudine palpabile? Come poteva non piangere di questa

sua situazione? Era un pozzo profondo, in cui si sentiva sempre più cadere giù, e che gli sembrava

sempre più buio e profondo sotto di sé. Non una luce riusciva a rompere quel buio impenetrabile, ed

egli annegava in quelle lacrime amare che venivano fuori per la rabbia impotente. Sua moglie lo trovò

con la testa fra le mani. Gli chiese cosa avesse, ma egli non volle parlarne e lei non gli chiese altro.

Prepararono la cena insieme, mangiarono e, dopo, di nuovo davanti al televisore. Negli ultimi tempi,

anche quando tornava sua moglie il dialogo si riduceva a delle domande atone e a dei monosillabi

sussurrati. Il televisore rappresentava così il mezzo per riempire quel vuoto di dialogo che così grande

s’era fatto ultimamente. La serata passò così, tra uno sbadiglio e l’altro. Un po’ più tardi andarono

entrambi a dormire. Elevò un pensiero a Dio… e quella sensazione di solitudine, che aveva covato fin

dal mattino, esplose in tutta la sua grandezza. Si ritrovò solo anche nei confronti del Dio in cui credeva.

Non lo ritrovò nel suo animo a confortarlo; lo sentì molto lontano: sulla sommità di quel pozzo

profondo che egli percorreva in caduta libera. E più cadeva,più lo sentiva lontano. Ormai non lo vedeva

più. Chiuse gli occhi per dimenticare tutto. Un’idea terribile gli attraversò la mente: uccidersi, per non

essere più solo. L’idea lo colse di sorpresa e si sentì mancare come fosse stato colpito allo stomaco.

Boccheggiò! Gocce di sudore cominciarono a scendergli per il viso e un brivido gli percorse la schiena.

Si domandò come mai avesse avuto quell’idea. Ma in quel momento gli era sembrata la soluzione più

rapida e giusta al suo annegare. Avrebbe con un sol colpo di spugna cancellato tutti quegli anni, ora gli

apparivano nella loro interezza, in cui aveva vissuto da solo e circondato dall’indifferenza. Avrebbe dato

un taglio netto a quelle cose che ancora lo tenevano legato alla vita, a quella vita che lui odiava sempre

di più. Avrebbe… Si fermò! All’improvviso gli si presentò lo spettro della morte. E non si sentì di

chiamarla in causa: non ebbe il coraggio di chiederle la compagnia! Preferì continuare a sprofondare,

solo, in quel pozzo nero. Si addormentò!

Il veliero continuava la sua corsa nell’immensità dell’oceano.