Terzo notturno
(da Vita barbara)
Giaccio in un’oasi lancinante
tra dei benedetti e naufragi di vita.
Ho respirato
le danze di mezzanotte
e sono fuggito a cercare
tra ossa e pelle
un sorriso da seminare.
Fratelli, radete al suolo
le chiuse dei vostri campi:
da questo mio esilio mi vedrete tornare.
Brucia in me la mia nudità
chè non trovo orecchi
se non sordi.
E non sorgo, mi vesto
buio con cappe lucenti.
Taccio
nella cella urlante
dove i fratelli somigliano al fango.
Esercizi di disinvoltura
(da Tersìte)
Beati quelli che prendono facilmente decisioni, perchè non perderanno tempo.
Io, prima di prendere seriamente in considerazione l’idea di dover sfoltire la mia chioma nera e
maleducata, faccio sempre passare settimane. E non soddifatto di questo tergiversare, impiego
un’ulteriore settimana per programmare di andare dal barbiere. SEMPRE. Ogni volta maledizione!
Forse è più per il timore di tornare con del pancarré in testa che per lo sforzo di colloquiare con
perfetti sconosciuti che tagliare i capelli non è il mio sport preferito.
Così capita spesso che, per ritardare la fatidica impresa, trovo scuse come “ci sarà troppa fila se
vado ora” o “questa camera ha bisogno di ordine”. Riesco finanche a soffocare la mia pigrizia,pur di
non far respirare il dovere e le necessità.
Anche questa volta è andata così: ho passato almeno tre giorni a voler guardare telegiornali e
documentari di storia per poi dovermi confidare compiaciuto : ” ormai è tardi,magari ci vado
domani”.
Ma oggi,pieno di più autostima del solito, non ho lasciato spazio alla titubanza e dopo pranzo mi
sono cambiato. Tutto questo è accaduto mentre, per sfogare l’ansia che molti definirebbero inutile,
mi dimenavo e ululavo versi in finto inglese.
Bum. La porta è chiusa dietro di me; non mi rimane che trasportarmi verso il “salone”,ossia i sette
metri quadri dove mi faccio tagliare i capelli. Nella forzosa camminata divampano le prime
doverose osservazioni e domande : “Speriamo non ci sia nessuno”, “voglio far presto” , “saranno
tutti burloni come al solito? O fascisti?”,”Mi toccherà sentir parlare di politica nel modo più
stravagante possibile?”…
Nel finto solleone autunnale del pomeriggio, arrivo pellegrino fino al palazzo del Pretore,un
palazzo che alla vista evoca meno autorità di quanta ne evochi a nominarlo . Sento lo sfintere
restringersi più del feltro fradicio. Devo farmi forza. Ora o mai più! E così sfodero una dolcissima e
impacciata smorfia da uomo di mondo. Inutile : non sarò mai tranquillo quando entrerò nel
“Salone”.
“Buon pomeriggio”. “Ciao Giulio”,risponde Aldo,un uomo giovane solo
nell’abbigliamento,conquistato dalle balere,da una leggera ernia al disco e dal duce . Non sono stato
io a sceglierlo,ma i chilometri che lo separano da casa mia.
Maledizione, ci sono un bimbo,un anziano e quello che sotto i segni di grasso nero dovrebbe essere
un ferroviere appena fuggito dal proprio turno. Sono le quattro,alle cinque e mezzo, credo, sarò su
quella sedia. Il barbiere è un “luogo” in cui l’umanità è tremendamente varia, anche troppo.
Nonostante andarci sia una prassi di routine,ci trovi difficlmente le stesse persone di volta in volta.
C’è il buffone, che tra un intercalare e l’altro descrive bischerate di gioventù in dialetto, c’è quello in
carriera che va in tuta dal barbiere per mimetizzarsi e fa le solite uscite qualunquiste, il taciturno
che ride spesso e ama non fare parte di nessuna discussione, e poi ci sono io. In mezzo ad un
esercito di sconosciuti sempre pronti a parlare pur di sentirsi a loro agio. Questi ambienti soffocanti
mi spaventano, o meglio mi infastidiscono un pò, ma non sempre: dipende dalla giornata.
Tra una evocazione meglio riuscita del Ventennio e l’altra, Aldo chiacchiera con gli arnesi del
mestiere in mano . L’acme di questo straordinario simposio arriva quando il ferroviere, ossia il
buffone di questo gruppo assortito di uomini, ricorda ironicamente le avventure di uno scemo del
villaggio (qualcosa riguardo a delle zucche e un cimitero,basti questo). Mentre Aldo accende il
phon per il suo cliente si accendono anche le risate e le battute da corollario degli astanti. Io sorrido,
tra poco spetta a me.
Gneek. Il bimbo,l’ultimo prima di me ,scivola via dalla poltrona: ha finito. Comincio a levare la
giacca. Pare un incontro di boxe: fuori i secondi. Una ramazzata rapida per eliminare i ciuffi biondi
e infantili tagliati poco prima e posso sedermi. Poi la domanda :
“COME LI FACCIAMO ?”
Fosse per lui ,Aldo non avrebbe dubbi : una bella rasata a zero e “A noi!” ma la mia insicurezza a
volte lo spinge a variare ogni tanto l’acconciatura . “Il solito” rispondo, nemmeno fossi al bar. “Corti
ai lati,non quadrati,con il ciuffo”. Negli anni questa risposta è diventata formula fissa.
Comincia l’opera. Stare sulla poltroncina rende protagonisti malsani dell’attesa dei clienti
successivi,ma ha anche i suoi vantaggi : posso tacere con la scusa di non voler inghiottire ciocche
tagliate. Taccio. E ascolto le ire sulle multe dei vigili urbani in questo o quell’altro divieto del paese,
i commenti sulla procace Elga, siciliana e avvenente,colpevole solo di essere donna e studentessa,
cosa che sant’Alvaro Vitali e tutti i suoi evangelici film dimostrano essere abominevole accoppiata.
Intanto il lavoro procede e io mi sento soddisfatto a guardare i risultati. Ogni tanto un gemito mi si
blocca in gola: vorrei dire qualcosa ma non me la sento; va bene così.
“Gel?” . “Si grazie,giusto un pò”,dico,probabilmente convinto di aver ordinato del prosciutto cotto
in salumeria. Non uso il gel di solito,devo avere avuto una improvvisa voglia di cambiamento.
Arriva anche per me lo “Gneek”. A fronte di dieci euro ricevo una fattura che non ho visto in mano
ai clienti prima di me: non solo tagli i capelli da un “nero” ma anche in nero.
Esco con un “ciaograzieallaprossima” strozzato e mi rimetto in marcia verso casa.
Uno dei vantaggi della presenza di così tante automobili parcheggiate nelle strade dei paesi è che
puoi specchiarti continuamente. Nel ritorno a casa mi sento in una passerella psicologica davvero
importante : mi sentirò tranquillo solo se lo specchio mi conforterà. Tra un passo e una specchiata
arrivo a casa e apro velocissimo l’uscio. Tutto finito, grazie a dio. Forse sono più contento per il
fatto che Aldo mi vedrà tra moltissimo tempo più che per la mia immagine più curata che si riflette allo specchio del’ingresso.
Solo la mia disinvoltura è rimasta a casa. La ritrovo mentre faccio la doccia.
Domenica
(2015)
Lascio alla terra
questo racconto di fronde
ed al vento
i dardi anneriti:
troppe bestemmie gentili
mi donano i ciechi uomini, abbandonati
nella folla.
Ho sognato uno sguardo dorato
ma ho avuto mani silenti.
E tutti i miei amici
al processo nelle ore assolate
godono di questo nobile fango.