In canto

 

L’ incanto si è fermato per un pò

in un canto

La carrozza è tornata ad essere una zucca

I cavalli dei topolini

E la principessa una Cenerentola,

Ma esistono sia la carrozza che la zucca,

Sia i cavalli che i topolini,

Sia la principessa che Cenerentola.

La razionalità si è fatta persona

E le luci si sono accese.

Lo squarcio nel cielo sul telo del teatro dei burattini

Divenuto apparente.

Ma io credo

Nello spettacolo, nel sogno, nella fiaba

E tu hai trovato la chiave per aprire

La porticina di accesso al mondo di Alice.

In cielo si è elevato un canto.


 

 

Sogno di giorno a primavera

 

L’ uomo di ghiaccio al posto del cuore aveva una palla di neve e nelle sue vene circolava un rivolo d’ acqua gelata. Per vivere aveva bisogno di mantenersi ad una distanza ottimale dalle fonti di calore; se si trovava troppo vicino il suo cuore rischiava di sciogliersi completamente e lui sarebbe morto, mentre se si trovava troppo lontano il suo sangue iniziava il processo di congelamento e alla fine avrebbe smesso di circolare e anche in questo caso sarebbe morto. La sua vita era complicata dal fatto che, se nel caso del calore emanato dagli oggetti, come il fuoco di un camino o un forno elettrico o una stufa a gas o a legna, esso poteva essere prevedibile e la giusta distanza giudicata attraverso calcoli matematici, che sebbene sofisticati, erano per lui, eccellente scienziato, accessibili senza molto sforzo, ciò non era altrettanto ovvio quando si trattava di persone. Ogni individuo racchiude in sè un fuoco tutto particolare, tutto personale.

L’ uomo di ghiaccio aveva una personalità molto dolce e accattivante e per questo attirava a sè una certa quantità di amici. L’ amicizia era per lui una dimensione vivibile dato che per sua intrinseca natura aveva più a che fare col tepore che col fuoco. Ma quando si trattava d’ amore era tutto un altro paio di maniche. Conobbe Rosa alla mostra dei fiori dove era solito recarsi annualmente, quando la vide mentre lei stava infilando il naso fra i petali di una peonia rossa. Rimase folgorato dai suoi riccioli color carota e dal profumo che nell’ insieme veniva emanato dal fiore e dalla donna; rimase incantato dalla bocca che somigliava ad una corolla e dai suoi occhi color di foglia.

Non potè fare a meno di rivolgerle la parola e non trovò niente di meglio che invitarla a prendere un gelato insieme a lui. Fu un desiderio spontaneo, ma si rivelò anche una mossa strategica perchè il gelato avrebbe mantenuto la sua temperatura ad un livello giusto e avrebbe salvaguardato la sua salute. Rosa era sempre stata affascinata dai fiori e in primavera era lei stessa a rifiorire. Era attratta dalla forma dei petali, dai pistilli, dal nettare, non solo di fiori importanti come quelli che portavano il suo nome, ma anche per esempio di quelli del pomodoro. È indescrivibile la gioia che Rosa provava nell’ osservare i piccoli sepali gialli che una volta secchi si staccavano dallo stelo per lasciare il posto ad una minuscola pallina verde che sarebbe a poco a poco cresciuta per trasformarsi in un odoroso pomodorino rosso. Così faceva con tutte le altre piantine di cui amava circondarsi, dal peperone piccante, alla melanzana, al cece.

Mentre sedevano l’ uno di fronte all’ altra con il cono gelato in mano si guardavano fissi negli occhi ed entrambi sentirono una commozione che si materializzò in una lacrima. Sotto l’ occhio dell’ uomo di ghiaccio la lacrima prese la forma di un piccolo fiocco di neve che pareva una stellina ornata da girigogoli bianchi trasparenti, mentre sotto l’ occhio di Rosa comparve una goccia di miele. Entrambi sentirono un bisogno irresistibile di allungare una mano e sentire il contatto dell’ altro. Così le mani scivolarono lungo il tavolo finchè le punte delle dita non si sfiorarono. Il tepore iniziale si trasformò molto velocemente in calore e l’ uomo di ghiaccio sentì che il suo cuore stava iniziando a sciogliersi ed ebbe paura. Si ritirò velocemente e Rosa sentì un brivido dentro di sè. Già sentivano di amarsi, ma il contatto era per loro doloroso.

Lui fuggì cercando di liberarsi dalla scintilla che avrebbe potuto avvamparlo e distruggerlo. Lei restò, con la goccia di miele cristallizzata sotto il suo occhio che aveva preso le gradazioni del mare.

L’ uomo di ghiaccio si chiamava Ariel. Sentiva fortemente il richiamo dell’ aria di montagna, delle scalate e arrampicate sui picchi nevosi, delle cime, delle nuvole, del cielo. La sua casa si trovava infatti alle pendici di un monte. Se ti avventurassi verso la sua dimora ad un certo punto vedresti catene di montagne blu, sullo sfondo altre catene di montagne color oltremare, poi turchino, poi zaffiro, alla fine una vetta innevata. Lui abitava là, in fondo ad un sentiero in una bicocca disordinata, ma accogliente. Al termine della sua fuga e al suo rientro, Ariel sentì che il cuore gli si era ristretto e solidificato come non mai; il freddo era penetrato attraverso i tessuti e sul suo corpo si erano formate goccioline di sudore ghiacciato e i pallottolini tipici della pelle d’ oca. Si sentì tremendamente solo e rimpianse Rosa, le vibrazioni di calore che lei emanava e che per lui erano spine.

Decise di ” invitarla” a cena e già questo pensiero bastò per fargli superare la crisi di ipotermia che avrebbe potuto portarlo alla morte. Ad Ariel piaceva molto usare la parola “invitare”, ma non si era mai soffermato sul suo profondo intrinseco significato. Etimologicamente ” invitare” significa “fare qualcosa contro voglia”. In questo caso non è che lui stesse attuando il paradosso di desiderare contro voglia di avere Rosa a cena con sè. Lo voleva veramente! Ma quella parola funzionava a meraviglia per lui. Aveva insito quel certo non so che di freddezza e di distanza che gli rendeva più semplice compiere determinati passi. Ariel nel suo cortile teneva un piccolo allevamento di piccioni. Alla sua epoca i piccioni erano considerati animali sporchi e sgradevoli, ma a lui piacevano. Si soffermava in particolar modo ad osservare una coppia di piccioni su un ramo; lui e lei abitualmente si accovacciavano l’ uno accanto all’ altra e si baciavano attraverso delicate beccate come due piccioncini nel vero senso della parola. Lei bianca, lui grigio.

Conosceva ad uno ad uno i suoi sette piccioni. Si avvicinò con cautela a quello da lui soprannominato “Il Viaggiatore”. Alla zampetta destra attaccò con un sottile spago un minuscolo rotolino di carta con su scritto:- I fiori qua sono molto belli, ti invito a cena, Rosi. Firmato, tuo Ariel- In un tempo in cui whatsapp, snapchat, wechat e tutti i social andavano per la maggiore, Ariel era rimasto attaccato a questo magico mezzo di comunicazione. ” Il Viaggiatore” era in grado di svolgere il suo compito magnificante. Seguiva un istinto incomprensibile ad una mente troppo logica e razionale. Riuscì a trovare Rosa e riportare indietro un messaggio di risposta:- Mi piacerebbe molto, ma ho bisogno di una mappa per trovare la strada-

In quell’ istante piovvero dal cielo petali su petali di tutti i colori; quelli più rosati si depositarono ai suoi piedi e Rosa si chinò per raccoglierli, più avanti i petali avevano preso una gradazione arancione e più in distanza iniziava la serie dei gialli, poi dei marroni, dei rossi, dei viola, dei verdi e così via. Cammina, cammina iniziarono i petali ad assumere le gradazioni del blu. Rosa sentì che si stava avvicinando alla meta. In cima al sentiero Viaggiatore era lì ad attenderla e con un frullio d’ ali spiccò il volo dinanzi a lei e le fece strada. Qualche rospetto si scansò timidamente per fare spazio alla fanciulla che adesso profumava di gelsomino. In fondo al sentiero Ariel era pronto per riceverla.

Rosa si stava avvicinando sempre più sentendo dentro di sè una forza magnetica. Ma più si avvicinava più si sentiva allontanata. Ariel e Rosa facevano dei passi l’ uno verso l’ altra, ma come due calamite si attraevano e respingevano allo stesso tempo, a causa della loro intrinseca natura. La loro essenza faceva sì che non riuscissero mai a raggiungersi nonostante la loro volontà. In mezzo a loro una musica soave e una voce si elevarono da sotto terra verso il cielo pronunciando le seguenti parole:- Noi siamo della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e nello spazio di un sogno è racchiusa la nostra breve vita. L’ inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui-.


 

 

New Age Rhapsody

 

Freddo, pioggia e vento, Alba aspettava al tavolino del bar che Arturo le portasse il promesso drink per riscaldarla. Forse un raggio di sole…veramente aveva sognato una vacanza in Sicilia sotto il sole cocente, mare blu, stelle cadenti e tanto amore.

Buono il sidro però. Smesso di piovere. Il piccolo Guido si divertiva a sparpagliare lo zucchero sulle gambe del padre e Fulvio a rimescolare e assaggiare il suo cappuccino. La scenetta familiare funziona ed Alba sente che nell’ aria aleggia un pò di felicità.

Ora di visitare il fantomatico sito archeologico. Stonehenge è affascinante. Alba cerca il potere curativo della pietra blu. Piove di nuovo. Tutto grigio, grande noia. Arturo cammina 10 metri davanti a tutti, mani in tasca e tanto silenzio; ha la faccia cupa e sembra sempre arrabbiato, forse è solo assente. Alba è spenta. Vorrebbe almeno che Arturo rallentasse e ponesse una mano sulla sua spalla, le sorridesse…una parolina dolce non arriva, non arriva mai, finchè le chiede sempre la solita concisa domanda:- Cosa c’ è?- Cosa c’ è….cosa vuoi che ci sia? La storia si ripete all’ infinito.

Uno stormo di gabbiani vola e urla sulle loro teste per beffarsi della sua, loro tristezza. Sarebbe bello incontrare Jonathan Livingstone Seagull; sarà rifugiato da qualche parte a riflettere per imparare una nuova tecnica di volo. Pioggia torrenziale e rifugio sotto la tettoia dei bagni termali ad ascoltare il musico di strada; poi il sole davanti alla maestosa cattedrale di Bath. Il piccolo sventola la bandiera inglese e il grande è accattivato dalle meraviglie delle decorazioni gotiche. Le acque termali sono storiche e calde. Piene di passato e di cura. La cura…

A Glastonbury la cura si fa con le pietre; la giada per donare pace e serenità e recuperare alla memoria i defunti. Venendo giù dal Tor Alba rimase folgorata dalla visione di una ragazza, immagine della libertà, uccello senza gabbia, un airone forse; stivali da cammino con lunghi lacci su gambe nude e slanciate, vestito hippy, capelli tirati che incorniciano un viso liscio e abbronzato, piccolo zaino che lascia indovinare lo stretto necessario. Ancora vento, freddo, grigiore. Il cuore di Alba si stringeva e spremeva sempre di più per lo sgomento, dove si trovava? Perchè si sentiva così sola? Lei, le vacanze, la ricerca…

Sembrava che la pioggia dovesse non finire mai; il rumore dello scroscio sulla tenda durante la notte mescolato al soffio del vento aveva il suo fascino, come se da un momento all’ altro la tenda si potesse elevare in volo come una mongolfiera. Alba sentiva il respiro pesante di Arturo disteso accanto a lei e profondamente addormentato, zavorra per quella leggerezza fatta di acqua e di aria. La notte è sempre interminabile per Alba che ha iniziato da tempo ad avere seri problemi col sonno. Morfeo è divenuto un dono quando lei riesce a farsi accogliere fra le sue braccia.

Poi la luce. È mattina. Ma il grigiore e la cappa delle nuvole è ancora più pesante. Decisero di lasciar perdere il progetto gita in bicicletta per avventurarsi in auto fino a Landsend, dove l’ Inghilterra finisce inoltrandosi nell’ Oceano Atlantico. Camminarono lungo la costa caratterizzata da scogli scoscesi a picco sulle onde. Che orrore cadere fino laggiù…un relitto. Le distese di erica e altri fiori arancioni, gialli, azzurri e semplici margherite. Tutta la scogliera era variopinta per la vegetazione che si stagliava sul blu dell’ Oceano e finalmente un raggio di sole creò uno squarcio nel cielo chiuso, fino a farlo liberare a poco a poco completamente dalle nuvole. Finalmente Alba sentì l’ estate. Arrivarono fino ad un porticciolo in cui la marea era bassissima e i piccoli si divertivano a costruire barriere con la sabbia e a bagnarsi i piedi con l’ acqua gelida dell’ oceano, sotto la supervisione di Arturo che aveva ritrovato la sua identità d’ inglese nella scenetta quotidiana di una madre ed una figlioletta che conversavano mentre rigovernavano ai bagni del campeggio.

Alba si aggirava fra le barche colorate, le boe, le funi, le ancore..aveva sempre trovato commovente l’atmosfera del porto, malinconica e liberatoria. Di nuovo la scena familiare funziona. Alba guarda le stelle. Una notte serena, il cielo aperto. Alba non si capacita all’ idea che quando sarà morta non le sarà più concesso di vedere questo spettacolo naturale meraviglioso che è il cielo stellato; così come al pensiero che anche i suoi figli invecchieranno e i figli dei suoi figli. Alla sua età ancora non ha accettato la caducità della vita, pensa che forse il significato della stessa vita sia il percorso d’ accettazione e conoscenza della vita stessa e della morte. Quello che è prima e dopo la vita si equivalgono? Che significa questo breve passaggio? Ecco che una stella cadente fa il suo breve, ma clamoroso passaggio davanti ai suoi occhi. In quell’ attimo fuggente è nascosto il significato, bisogna sapere coglierlo e non imparare troppo tardi. Alba è felice.

Da un pò di tempo Alba soffre di attacchi di panico, paure forti e incontrollabili, da cui prima non si era sentita afflitta. L’ età l’ ha fatta diventare più sensibile e inquieta davanti all’ idea che il tempo sia così ineffabile e inarrestabile. Di nuovo mattina. Alba cercò rassicurazione nell’ abbraccio di Arturo che le pose dolcemente una mano sulla testa. Una lieve carezza, piena di tenerezza e incredulità. Erano insieme ancora malgrado tutto. Un istante di commozione e poi tutto ricomincia daccapo. Guido e Fulvio irrouppero con le loro risate grasse e goliardiche. Erano gioiosi e divertenti.

Ecco un’ altra baia, immensa, ventosa, mezza illuminata da un sole fin troppo vicino e abbagliante e metà in ombra. Arturo e i ragazzi se ne sono andati per avventurarsi in una prova di surf. Fra un pò sbucheranno fra la folla dei surfisti più o meno esperti intenti a tuffarsi fra le ghiacce onde oceaniche di questa baia atlantica. Vorranno che Alba li guardi. Adorano essere guardati; è come se lo sguardo della madre assicurasse un significato più profondo a tutte le loro azioni. Alba aveva raccolto delle sottili pietre piatte e lisce e ci stava incidendo su qualche fantasia floreale e intanto si preoccupava dei suoi uomini in mare. Era diventata molto ansiosa e apprensiva. Qualsiasi cosa poteva essere una minaccia e portarle via quanto di più prezioso. Rifletteva assorta sulle sue rabbie interiori. La rabbia per volere cambiare quello che non può essere cambiato. Anche la vita matrimoniale è un percorso di accettazione di sè e dell’ altro? Ormai non riusciva più ad individuarli fra la folla in acqua e la moltitudine delle tavole. La corrente era forte e i bagnini dovettero ammonire i bagnanti perchè tornassero fra le bandiere gialle e rosse per la loro sicurezza.

Di nuovo una lunga camminata lungo la scogliera. Alba non resiste alla tentazione di guardare giù nel vuoto e non può fare a meno di immaginare decine di corpi che precipitano cadendo da quell’ altezza. L’ avventura alla ricerca del Sacro Graal sta per concludersi. Il viaggio di ritorno quasi liscio pur nella fretta, paura di perdere l’ aereo e alcuni oggetti ricordo alla dogana. Avevano trovato qualcosa però? Nel ricongiungersi con la loro casa e il senso di familiarità e di legame Alba sentì un senso di pace. Un abbraccio e scompare la paura dell’ abbandono. Dagli occhi di Alba sgorga un fiume di lacrime. Nelle prime ore del mattino, col penetrare di un tenue raggio di sole attraverso le imposte, Alba sa di avere trovato il Graal.