Bambino di strada

 

Laggiù  un fascio di luce

illumina il volto di un bambino immobile,

perso nella sua voglia di ritrovarsi

per iniziare a  riviversi.

Seduto ai confini del sogno,

indossa il peso degli anni che gravano

sui suoi occhi grandi e soli.

Non ha giocattoli con sé,

non sa dove andare.

Lui è cresciuto per strada e solo quella conosce.

Mi chiede di fargli compagnia per qualche istante.

La solitudine gli gela l’anima.

Lo avvolgo d’istinto, le sue spalle tra le mie braccia,

il suo cuore che batte con il mio cuore.

Il gelo lascia spazio a un brivido di calore.

La sua strada diventa la mia strada

e i suoi occhi la via per vedere con i miei.

Solo fino a quando,

la notte non diventa alba…



Notte di pioggia

 

Cadi piano, pioggia, in questo giorno senza tempo

mentre il cielo fa rumore e si accende di bianco.

Lasciami ancora il tempo di un solo respiro

prima di lavare i miei ricordi

e di trascinarli lontano,

lungo il sentiero della memoria spenta

dove a nulla servirà cercarli domani.

Si nasconderanno,

avvolti dai brandelli di un passato folle

che con spine tra le mani

torna a bussare,

senza chiedere permesso alcuno,

inascoltato, alla porta di un presente avido di sguardi.

Ti ascolto mentre scorri nella notte e te ne vai

lasciando a me solo un frastornante rumore d’assenza.


 

Radici d’acqua

 

Il sole era ancora alto nel cielo quando proposi a Leda di fare una passeggiata sulla spiaggia per cercare nuove conchiglie da aggiungere alla collezione che avevamo minuziosamente raccolto durante tutta l’estate.

Alle spalle si stagliavano nitide in lontananza la collina e, subito dietro, le montagne che racchiudevano in un solo sguardo l’insieme di un panorama che avrebbe fatto invidia anche agli angeli.

I monti si affacciavano sul mare e il mare rispondeva restituendo loro maestosità e imponenza. Il paese adagiato sulla collina e la piccola città sulla costa erano quasi un’appendice che passava del tutto inosservata di fronte alla fusione eccentrica di mille sfumature di colori, scaturite dalla ricchezza di quel paesaggio e racchiuse tutte in un lungo caleidoscopio che si estendeva per qualche chilometro.

Che voglia avevo di calpestare a piedi nudi la sabbia umida che faceva da cornice a quell’immagine piena di luce!

Era difficile separare, da quella prospettiva, il cielo dal mare che sembravano fondersi in un unico prolungamento rarefatto di celeste al di là dell’orizzonte.

Leda iniziò a correre veloce verso il bagnasciuga dopo essersi tolta le scarpe qualche metro più in là.

Non feci in tempo a chiederle di aspettarmi: si lanciò nella sua corsa sfrenata verso il mare sferrando, con i suoi  piccoli piedi, un calcio deciso contro l’acqua cristallina. Con piccoli movimenti, mille gocce trasparenti si sparsero nell’aria in un gioco di diamanti sfaccettati.

Poi rivolse quell’espressione divertita verso di me che la osservavo: aspettava che io fingessi di rimproverarla urlandole di smetterla subito.

Guardavo mia figlia estasiata, rapita dal miracolo della vita che me l’aveva donata quando ormai stavo per rinunciare all’idea di diventare madre. La guardavo giocare e non potevo evitare di perdermi nella sua risata schietta con il desiderio di correre subito ad abbracciarla per condividere con lei quel momento di spensieratezza.

Mi avvicinai, pronta a soccombere di fronte alla richiesta di Leda di iniziare un gioco a due in cui sapevo che, per rincorrerla,  mi sarei presto trovata bagnata dalla testa ai piedi.

“Mamma” – mi chiese Leda all’improvviso fermandosi a guardarmi – “cosa sono le radici?”

La guardai stupita. Ed ora, come le era venuta in mente quella domanda?

“Cuore mio, lo sai cosa sono le radici. Vedi quegli alberi laggiù…”

“No mamma, non hai capito. Non quelle radici. Voglio dire quelle altre radici” specificò la piccola guardandomi con curiosità. Mi scrutava in attesa di avere risposte al mistero che stava elaborando nella sua testolina di bimba di cinque anni, come a dirmi di muovermi perché mi aveva rivolto una domanda e io, da mamma, non potevo non rispondere.

“Chi ti ha parlato di radici?” le chiesi sorridendole dolcemente mentre con la mano le accarezzavo i capelli e le spostavo una ciocca ribelle dalla piccola fronte pronunciata che incorniciava uno sguardo furbo e birichino. Proprio come il mio alla sua età, pensai.

“Che differenza fa mamma? Me lo sai dire o no?”

Ecco, stava diventando impaziente. Voleva tutto e subito, senza esitazione da parte mia, né scuse o giustificazioni.

La domanda di Leda mi aveva lasciata perplessa. Per quanto mi sforzassi di elucubrare risposte che non riuscivano ancora ad essere articolate, in forma logica e consequenziale, neanche dai miei pensieri, provai ad introdurre il discorso, con frasi brevi e dirette, nel modo più semplice che conoscevo.

“Esistono tanti tipi di radici, amore mio, che proprio come quelle degli alberi, affondano nella terra dove sono nate. Poi crescono, diventano adulte, proprio come me e come succederà a te.”

Leda mi guardava in attesa che io terminassi di spiegare. Evidentemente non le bastava quanto detto e, in verità, quella esposizione dei fatti non bastava neanche a me. Era arida, incompleta e soprattutto, priva di anima.

“Noi siamo nate qui, in questa città giusto? Ed è qui che la mamma ha scelto di continuare a stare con te. Ora immagina che i nostri piedi possano essere simili a radici che ci tengono legate alla nostra casa ma ci permettono anche di muoverci, di andare altrove, di correre, di viaggiare e di tornare poi di nuovo qui. Immagina che le radici possano nascere anche nel cuore.”

“Come nel cuore mamma?” – mi chiese Leda al culmine della curiosità – “Spiegami questo, ti prego.”

Seduta a gambe incrociate davanti a me, mentre con le manine si reggeva il piccolo mento, pendeva letteralmente dal mio racconto. Mi ascoltava e voleva saperne ancora.

“Certo, le radici nascono anche nel cuore anzi è lì che nascono per prime e poi crescono e si allungano ovunque, dentro e fuori di noi. Ora ti svelerò un segreto. Quelle radici ci sono ma non si vedono. Ci sono sempre ma sono invisibili.”

Alla parola ‘segreto’ Leda sgranò gli occhi lasciandomi pensare che finalmente stavo percorrendo la strada giusta.

“Quando nasciamo, insieme a noi in un angolo molto ben nascosto del nostro cuore viene gettato un semino. Quel semino germoglia, viene alimentato dal nostro respiro, dal nostro affetto e cresce affondando le sue radici, sempre più profondamente, nel nostro cuore. Poi diventiamo grandi, amore mio, e spesso accade che molti di noi abbiano il desiderio di lasciare la propria casa per vedere cos’altro c’è in giro per il mondo. E’ troppo difficile quello che ti sto dicendo Leda?” – chiesi essendomi accorta di aver preso una rincorsa senza sosta per colmare, prima possibile, le sue aspettative e di seguire un mio filo logico che forse, per la bambina, tanto logico non era.

“Vai mamma, voglio sapere come va a finire la favola. Ti prego continua, non fermarti, io ti ascolto”.

“Sì continuo. C’è chi decide di partire, di viaggiare, di trasferirsi lontano dalla casa in cui è nato. C’è chi è costretto ad andare via e fermarsi altrove, chi sceglie di farlo semplicemente perché così è felice. E c’è chi, invece, non vuole mai allontanarsi dalla sua casa oppure torna da dove è partito e dove è nato. Ma in ogni caso, sia che si vada via o che si rimanga, ognuno porta con sé il suo cuore dove intanto le radici, con il passare degli anni, sono diventate più forti, sono diventate più mature.”

“Ecco perché mamma, le radici sono invisibili!” concluse Leda con un sorriso malizioso.

“Già. Ecco perché sono invisibili. Il cuore è la nostra casa, amore mio, con le sue radici che nessuno mai potrà portarci via perché ci appartengono e ci aiuteranno sempre a capire chi siamo perché sono nate insieme a noi e non ci hanno mai abbandonato. E anche se gli altri non le vedono, noi non potremmo mai fingere che non ci siano”.

Fine della storia. Ora mi attendeva la parte più difficile: il responso di mia figlia.

Per tutta risposta, Leda mi abbracciò teneramente sfiorando le mie labbra e sussurrandomi, con una vocina appena percettibile: “Oh mamma, ti ringrazio. Adesso ho capito che anche io, nel mio piccolo cuore, ho già tante radici.”

Avevo voglia di lasciarmi andare ad un lungo pianto liberatorio ma bloccai giusto in tempo la prima lacrima che stava per rigarmi il volto. Senza farmi vedere, l’asciugai rapidamente con il palmo della mano. Mi ero commossa.

“E’ ora di tornare a casa, mia piccola guerriera. Domani c’è scuola e siamo in ritardo anche per la cena.” La presi per mano, come quando eravamo arrivate in spiaggia e mi avviai tenendola stretta, verso la macchina, senza conchiglie ma con una radice in più.

Mentre guidavo, non potei fare a meno di ripensare a quello che avevo spiegato a Leda. Le mie radici, la mia identità. Il mio passato, presente e anche futuro erano scolpiti nelle mie radici alle quali mai fui in grado di rinunciare.

Le montagne avevano da sempre rappresentato il mio scudo, il mare la mia voglia di libertà e di evasione, il sale delle mie giornate. Ero legata alle mie radici più di quanto non lo fossi al mio desiderio di fare carriera, di trasferirmi in una nuova città, di avere opportunità migliori di quelle che mi offriva il lavoro che svolgevo ormai da anni. Ero legata ai miei affetti più di quanto non lo fossi alla mia laurea incorniciata e mai esposta a parete.

Ero legata a mio padre che se ne era andato lasciandoci soli, tra lacrime amare e l’incapacità di reagire di fronte  ad un destino che ce lo aveva sottratto troppo prematuramente, senza chiederci il permesso. Ma la morte non lo chiede mai.

Rivolsi a lui, al ricordo della sua risata e delle sue parole, sempre calde e rassicuranti, alle sue mani ruvide logorate da un tempo vorace e ingrato, l’ultimo pensiero prima di parcheggiare. Eravamo a casa. Dopotutto, aveva curato con un amore talmente grande il semino piantato nel suo cuore che le sue radici erano state tramandate, intatte, a noi. Era stato bravo. Ed io avrei fatto lo stesso con mia figlia affinché le sue radici, anche se l’avessero un giorno portata lontana, sarebbero state così forti da riconoscere sempre la strada di casa.