Le notti bianche

Ho un’anima di stelle
questa notte
e il petto sussulta
con le piccole rapide del fiume.

Voglio che mi siano testimoni
le bianche cupole di Roma,
così che abbiano da raccontare
alle nubi e ai zefiri del mattino.

E tu,
signora delle ombre della sera,
sei ancora troppo lontana
dai marmi di questo ponte;

hai fatto la tua promessa,
davanti all’altare del sole:
verrai ancora stanotte,
darai il tuo spirito all’oscurità.

Ho doni copiosi
fra le mie brace strette,
dettagli insignificanti per i passanti
e così rari per gli amanti:

prendi dalle mie mani
gocce di rugiada silenziosa,
brezze armoniose di violini,
un’alba profumata di arance.

Lascia che io sia
il tuo discepolo prediletto,
conducimi sulla tua via,
come ai primi passi i bambini.

Non temere
che il buio non sia eterno,
che i rivoli dell’aurora
ti trascinino alla deriva della città;

conosco le leggi dell’aria,
le regole delle acque indomabili.
Verrò a cercarti fra i campi fioriti,
dove si sussurrano le parole dei poeti.


Hic et nunc

Qui.
Adesso.

Su questi aghi intrisi di resina,
questi dardi verdi puntati al cielo,
giacciamo nell’ultima luce della sera.

Non soffocare nessuno dei tuoi gemiti,
riconciliati con l’ombra dei pini,
abbandonati ai profumi dei campi.

Questi scampoli di paradiso perduto
sono il premio di chi li ha cercati correndo,
su strade che alzano polveri,
in pozzanghere dipinte di cielo.

È qui.
È adesso.

Non esiste altro luogo,
non ci sono altri universi,
nulla illumina il sole
se non questo stralcio di verde;

siamo come naufraghi
su un’isola dispersa,
una lacrima di verde
in un infinito turchese.

Qui, fra i nostri corpi, tutto ha inizio e fine:
siamo alfa ed omega,
prologo ed epilogo.

Siamo testimoni di uno stesso giorno;
io porto con me l’alba,
tu sei signora della notte.


Gatto

Piccolo guerriero
che giaci disteso,
come alla fine
di un’aspra battaglia,
che cosa guardi
al di là dei vetri?

Invidio
quel tuo sguardo
perennemente indagatore,
quel senso di timore
davanti a ciò che non conosci,
la tua espressione di sorpresa,
che fu pur mia nella mia fanciullezza,
prima che la vita la consumasse lenta.

Siamo simili, noi due,
a difender la nostra indipendenza,
nel cercare nuovi legami,
nel non volerli mai stretti.

Mi piace pensare
che non sei succubo del mio tetto,
che seppur io non ci fossi
avrebbe corso, comunque, la tua vita.

E così,
quando sfreghi la testa contro la mia mano,
sono il depositario
del dono più grande;
io sono il re
che guarda al regno più splendente.