Un compleanno da non dimenticare

Sono Cecilia, lavoro in una multinazionale americana che si occupa di progetti aerospaziali, e di arredamento d’interni, ho sposato qualche anno fa Claudio, stilista famoso, ho un figlio di 3 anni Gianluca, sono le sette ed è appena suonata la sveglia, sbadiglio, mi alzo.

Guardo fuori dalla finestra, apro uno spiraglio per sentire la temperatura, è proprio una giornata di novembre cupa e fredda, proprio come quando sono nata, infatti oggi è il mio compleanno, compio quarant’anni,

Alle 8,30 esco di casa, accompagno mio figlio a scuola e corro in ufficio.

I miei colleghi hanno preparato una festa a sorpresa per me, il mio capo mi dice:

“Cecilia, auguri di cuore, ti regalo un giorno di permesso per festeggiare come desideri”.

Un giorno di permesso, non sono mica organizzata per il giorno libero!”,

ma il capo insiste e mi manda via dall’ufficio.

Mi ritrovo, giù al portone, la strada è gremita di gente , decido di andare in un bar alla moda, entro, è affollato, mi trovo un angolino da dove riesco a guardare fuori, mi siedo ordino un caffè, osservo dal vetro ciò che avviene in strada.

Mi squilla il cellulare, è mio marito Claudio,

Amore auguri, stasera lavoro non rientro, amore perdonami

E lo sapevo, anche quest’anno da sola, va bene con i miei genitori, mio figlio, gli altri parenti, gli amici, ma senza mio marito!, ma rispondo:

Amore non fa niente ciao!”

Bugiarda, sei proprio una bugiarda, ci stai male, perché non glielo dici?

Riguardo fuori, amareggiata, che fregatura, il marito che ti lascia sola il giorno del tuo compleanno. Il cervello comincia a ricordare tutte le volte che mi sono sentita frodata.

La più lacerante delle fregatura, che mi ha rovinato psicologicamente, me l’ha data il caro Goffredo Angeletti, il mio primo amore.

Avevo 23 anni, stavo finendo il mio corso di laurea, seguivo un corso serale di scenografia teatrale, e proprio in questo corso conobbi Goffredo.

Goffredo, 25 anni, già laureato in medicina, ricordo come se fosse oggi, si presentò un giorno di primavera al corso di scenografia, mi si sedette vicino, chiacchierava tanto.

Finita la lezione, andammo in mensa insieme, mi confidò che erano giorni che mi osservava e solo quella sera aveva avuto il coraggio di sedersi accanto, era molto timido e parlava a raffica per superare l’imbarazzo, era un medico chirurgo.

Da quel giorno in poi non mi lasciò un attimo, uscivamo da semplici amici, fino a che un bel giorno, davanti ad una chiesa, seduti su di una panchina, estrasse dalle tasche un astuccio di Baci di cioccolato, e disse:

Ceci, questi baci sono il segno di quello che provo e per dirti che ho una voglia matta di baciarti”

il cuore mi batteva a mille, furono le parole che mi fecero capitolare, ci fidanzammo.

Eravamo felici, avevamo gli stessi gusti, interessi, una coppia perfetta, ma sembravamo! infatti quando, dopo 5 anni di fidanzamento decidemmo di sposarci, cominciarono i litigi, lui era ricco, io no, lui voleva che io non andassi a lavorare dopo il matrimonio, io no proprio per niente! Passarono mesi in discussioni, io ostinata e lui pure, fino a che 1 mese prima che arrivasse la data del matrimonio, mi giunse un sms:

Ceci, non posso sposarti, io non accetterò mai che mia moglie lavori, lo sai che sono ricco, ora decidi o me oppure il lavoro, io voglio una moglie che mi segui in tutto, che sia la madre dei miei figli, pensaci e fammi sapere“.

Non decisi niente, mi arrivò , dopo qualche settimana, un altro sms:

Cecilia, non affannarti a decidere, ho deciso io, sposerò Fiorella, la mia infermiera” .

Brutto stronzo, mi ha ferito a morte, ancora mi sale il sangue alla testa, non è che voleva che non lavorassi, aveva un’altra, avrei voluto schiaffeggiarlo, ma neanche questo, il vigliacco mi aveva liquidata con sms.

Da quel giorno con gli uomini sono una tigre.

Mi gira tutto ho il sangue alla testa e sulle guance, mi viene in mente anche la sua gatta morta Fiorella Silvestri, l’avevo conosciuta in Parrocchia, bruttina, scialba, con l’aria da santarellina innocente, faceva parte del mio gruppo giovani.

Io e Goffredo la Domenica andavamo sempre alla messa delle 11,00 dove lei suonava ed io cantavo, dopo la Messa tutti ci incontravamo in sacrestia per fare quattro chiacchiere tra amici, e lei una Domenica dopo l’altra,con la scusa di vari consigli medici allontanava da tutti Goffredo, si chiudevano in un altra stanza

Per la privacy” diceva,

ne uscivano sempre dopo un’oretta, voi mi direte:

Tu non ti sei mai preoccupata?”,

“Eh no!, era talmente insignificante, scialba, poco curata, con l’aria da bambina innocente, che mai avrei potuto pensare che potesse accaparrarselo”.

Un giorno, dopo tre mesi di apparti, Goffredo mi disse che l’ avrebbe assunta come segretaria.

Iniziò a lavorare con Goffredo, spesso si trattenevano oltre l’orario, alcune volte veniva con noi a cena.

Io non ho mai sospettato niente, quando usciva con noi era imbambolata, sembrava una sfinge, fino a che non mi fu annunciato da Goffredo nell’sms che l’avrebbe sposata.

Guardo di nuovo fuori, osservo le persone camminare, mi sta assalendo un’angoscia, questo giorno che doveva essere allegro è invece triste e solitario, sto bevendo da sola questo caffè e i ricordi che mi stanno attanagliando la testa non sono piacevoli.

Come scordare Giuseppe Densa, il classico bell’uomo di cinquanta anni, affascinante, occhi neri,   sorriso smagliante ed accattivante, ma anche l’ arrivista che cammina sul cadavere della madre, mi soffiò un importante progetto per un atelier famoso, che mi avrebbe fatto avere una promozione, oltre a guadagnare molto.

Giuseppe, più grande di me di 20 anni, si mostrava paterno nei miei confronti. Mi consigliava:

Ceci, il tuo progetto è scialbo, non ha corpo, devi modificarlo, come vuoi che lo stilista lo prenda in considerazione, ora ti aiuto io”,

Scusa Giuseppe io lo presento poi se non gli piace, amen, me ne faccio una ragione

e lui ad insistere:

Ma perché devi perderti questa occasione ascolta a chi è più esperto di te, io posso essere tuo padre?!”,

lo diceva con quegli occhi neri dolci, con una voce calda, affettuosa, proprio come un padre, non mi sfiorava l’idea che volesse fregarmi, fui una stupida perché non pensai che anche lui era in gara per l’assegnazione dell’incarico.

Alla fine mi convinse, trasformai il mio progetto, un pomeriggio si copiò l’originale e il modificato sulla sua pen drive, dicendomi:

“ Mi copio i file dei progetti dal tuo computer così stasera a casa posso verificarli ”

approfittò del mio consenso e nel copiarli contemporaneamente, da infame, mi cancellò i file e fu così che li presentò al capo come suoi.

Il capo ovviamente affidò il lavoro a Giuseppe per l’originalità del progetto, il mio, che incazzatura, ero sconvolta non avevo nessuna prova per dimostrare che lui lo avesse copiato.

Fui una pirla a fidarmi di lui, pensavo volesse proteggermi, mi difendeva anche quando qualche collega si azzardava a fare battute ironiche e volgari.

Non riuscii a farmene una ragione, il giorno che capii tutto mi guardai allo specchio e mi diedi gli schiaffi in faccia da sola, mi sentivo un verme inetto.

Ho finito il caffè, sono turbata, ordino un affogato, la mente vaga, ricordo i compleanni felici trascorsi con Filippo Giacomoni, il mio più grande amico, da bambini eravamo cresciuti insieme, persi di vista nell’adolescenza , poi ritrovati nel teatro comunale dove lui lavorava come scenografo ed io seguivo il corso.

Beh ci eravamo letteralmente scontrati, entrambi di corsa per il ritardo, fu buffo, perché cascammo l’una nelle braccia dell’altro, ci guardammo negli occhi e iniziammo a ridere di gusto.

Iniziammo a frequentarci di nuovo, ognuno aveva la sua vita sentimentale, ma avevamo dedicato un giorno alla settimana per le nostre confidenze.

Una mattina di gennaio, mi telefonò, era triste, malinconico, aveva la voce spezzata dal pianto, io non riuscì a capire bene cosa mi stesse dicendo, prendemmo appuntamento.

Ero in ansia, lo vidi arrivare , aveva un aspetto spento, pallido, sul suo viso c’erano due solchi, mi spaventai, avvertii una morsa allo stomaco, in quel momento capii che mi avrebbe annunciato qualcosa di brutto.

Non mi sbagliavo, ci sedemmo sul muretto, mi prese le mani, mi guardò negli occhi, con i suoi pieni di lacrime tenute dentro, poi con una voce flebile mi disse:

“ Ceci, ho bisogno di te, non so come dirtelo per non farti soffrire, sono malato, ho un problema serio dal quale non so se ne uscirò”.

Ebbi la sensazione che qualcuno mi avesse rovesciato addosso un secchio di acqua fredda, avevo i brividi che mi percorrevano il corpo, la testa mi doleva, lui proseguì:

Ti prego Ceci devi avere forza anche per me, tu sai che la mia compagna non è in grado di sopportare tu devi aiutare me e lei, devo subire un’operazione al cervello, ho un cancro, mi hanno detto che non sanno se riuscirò ad uscirne vivo, e se ne esco vivo potrei non essere più vigile, tu ci devi stare accanto, abbiamo bisogno della tua lucidità, i miei genitori non sono in grado di seguirmi, sono deboli, ho bisogno di una persona forte accanto, e di cui non abbia vergogna, che mi possa vedere nelle mie debolezze”.

Passarono mesi, lui subì l’intervento, riuscì bene, iniziò le chemio, io lo accompagnavo, gli tenevo la mano, gli asciugavo il vomito, lo riaccompagnavo a casa, tutto per mesi e mesi .

Un giorno, uno dei tanti in cui andavo a prenderlo per accompagnarlo in ospedale per la chemio, bussai alla sua porta, Fabiana mi fece entrare di corsa, Filippo era debole, pallido, gli occhi cerchiati, aveva un respiro affannoso, mi vide, mi afferrò la mano, me la strinse, mi fece un gran sorriso e ci lasciò.

Mai più mi sono sentita così inutile, a cosa era servito portarlo avanti ed indietro per ospedali, per centri di riabilitazione se poi era morto. Non ero riuscita a salvargli la vita, mi sentii abbandonata da una persona che aveva peso e spessore nella mia vita. Fregata dalla morte.

Ho finito anche l’affogato, pago ed esco, ho bisogno di aria fresca sulle guance, sto camminando senza meta, che fregatura questo compleanno, doveva essere pieno di piacevoli sorprese, ma si sta rivelando doloroso.

Mi assale la malinconia, mi dirigo verso il ponte, mi fermo ad osservare l’acqua del fiume che scorre fluido, ho davanti agli occhi la mia vita, i viaggi, la mia famiglia, gli affetti cari, la mia bella casa, mi sento ugualmente sola, che sconforto, mi sporgo dal muretto, ho voglia di buttarmi, poi sento una voce che mi chiama, mi giro non vedo nessuno, mi giro nuovamente verso il fiume, la voce è più forte, infastidita guardo intorno, non vedo nessuno, poi capisco, è la mia coscienza, frena la mia idea, lo sguardo è spento, la testa ormai è vuota, barcollo, cado nel fiume, sento l’acqua gelida sul corpo, poi un abbraccio, una corsa sulla riva, una coperta calda che mi avvolge e poi il nulla. Mi risveglio non so dopo quante ore, o minuti, istanti?, avvolta nella coperta, apro gli occhi vedo il fiume , ma intorno non c’è nessuno.

Sono sicura che questo compleanno mi rimarrà impresso nella memoria!