Sogno

 

Non ho sonno

in questa strana notte

di privazioni scelte.

Non vedo buio

ma tante, tantissime stelle,

di una costante intensità luminosa.

Salgo sino a raggiungerle,

muovendo i piedi come pinne caudali.

Boccheggio muta per dare aria alle branchie.

Nuoto come argenteo pesce di acqua stellata.

Ho corpo squamoso e baluginante

pelle di luna in un riverbero di riflessi.

Sprazzi sfumati e verdognoli.

Apro la bocca

voglio mangiarle.

Le ingurgito famelica e lieta.

Sazia, ma non abbastanza per la gola,

ne assaggio ancora,

mentre trascino lentamente

una rete da pesca senza pesci.

E’ una maglia preziosa

e tutte le stelle sono diamanti impigliati.

Socchiudo gli occhi stancati dai bagliori

e appesantita dalla notte mi avvolgo nella rete.

Rotolo qua e là

spargendo graniglia di stelle

come sabbia di luce.

Ma il vento lesto

si accorge del mio pasto

e con uno sbuffo di raffica

soffia via tutte le stelle dalla mia veste di rezza

restituendole nuovamente al cielo.

Nuda

cerco il velluto scuro della notte,

per avvolgermi morbida e colpevole

chiedendo al vento perdono.

Lui paziente e serafico

mi solleva stanca

tra le sue forti braccia di brezza

per coricarmi

e mi racconta la favola delle piume

per farmi addormentare.

­ Un materassaio raccolse molte piume, per imbottire un materasso speciale.

Mischiò quelle delle oche, con quelle degli angeli, per donare ai mortali sogni

immortali, che fossero ibridi e imperfetti, per metà sciocchi e per metà divini ­

Ora riposa,

sdraiata supina,

sul sof ice giaciglio

di candide piume.

Ora dormi,

tu bambina,

sognando molto,

sino a mattina.


 

L’Albero del Tramonto

Una ragazza raccoglieva fiori in un giardino

sotto i raggi di una calda luna estiva.

Con ago e fili d’erba li cuciva

sulla sua veste fluttuante

tra il frinir di grilli e di cicale.

L’aria era impregnata di lievi profumi

erano viole gelsomini e biancospini.

I suoi piedi carezzavano il solletico del prato

mentre le coccinelle assonnate

contavano i loro puntini per addormentarsi.

Camminando leggera

girava in tondo, tutt’attorno al fusto di un albero,

sfiorando con la veste fiorita la sua corteccia muschiosa

condominio di formiche.

Si chiamava l’albero del tramonto

perché i suoi frutti erano come morbidi pomi aranciati,

piccoli soli melliflui dello stesso colore del tramonto.

D’un tratto uno sconosciuto

la scorse furtiva

e vedendola cosi bella

aprì la sua finestra invitandola ad entrare.

Con piccoli passi di piccoli piedi nudi

scivolò presso di lui

perdendo qualche fiore dalla veste

che si impigliò in un cespuglio.

Gli porse un frutto appena raccolto dall’albero del tramonto

e mentre lui lo assaggiava un poco,

il suo succo stucchevole e aspro lo fece innamorare.

Nelle notti di pioggia

e in quelle di luna

la puoi trovare ancora nel giardino

che cerca fiori e gocce d’acqua.

Lui la sogna ogni notte

sapendo che non è di questo mondo.

Lui la cerca senza posa in ogni volto di donna.

Qualche volta mentre dorme

lei entra dalla sua finestra

e gli nasconde un fiore nell’ombelico.

Poi fugge via

così come è entrata

mimetizzandosi tra le foglie dell’albero del tramonto.

Ora lei lo sta spiando

e con le dita gli arriccia una ciocca di capelli

senza farsi vedere.

Nascosta dal silenzio

adombrata da un cielo senza luna

gli sussurra all’orecchio un segreto:

quello dell’amore di un uomo mortale

per una fanciulla sconosciuta,

che lui vorrebbe trattenere

ma che è destinata ad andare.


 

Storia di Acquaria

C’era una volta una goccia di pioggia

che cadeva dal cielo

insieme a milioni di altre gocce di pioggia.

Ticchettavano affannate sui vetri,

sudavano di fatica sulle strade

e riposavano nascoste tra i capelli delle donne

oppure adagiate

tra le maglie di lana dei cappotti

che le trattenevano in bagliori trasparenti

come decori di un istante

prima di asciugarsi all’aria bagnata.

Acquaria

non era come tutte le altre

nonostante provenisse dallo stesso cielo

e dalla stessa nuvola.

Era nata una mattina di maggio

dal respiro di un acquazzone improvviso

consumato in fretta

ma con potenza torrenziale.

Appena vide la luce

sorrise

e fu arcobaleno.

Era la più trasparente di tutte le gocce

ma anche la più piccola.

Il Giorno della Pioggia

arrivò anche per Acquaria

come per milioni di altri gocce.

Acquaria sapeva

che la vita delle gocce

durava il tempo di cadere dal cielo

ma questo non la turbava

perché aveva scelto dove cadere

e come cadere.

Ci aveva pensato e ripensato.

Ci aveva pensato il Giorno dell’Arcobaleno.

Arrivò il Giorno della Pioggia.

Il cielo divenne una lamiera d’argento

il vento raccontò le origini del Giorno della Pioggia

a suon di raffiche e fischi profondi

e tuoni e lampi applaudirono con foga.

Prima caddero le gocce più grosse

quelle più anziane

poi quelle adulte

e subito dietro, quasi per mano,

le gocce più piccole.

Per ultima cadde Acquaria

che dall’alto, intanto, osservava

i molti luoghi dove le altre andavano a posarsi.

C’era chi scivolava in rivoli

si appoggiava

ne aspettava un’altra

si univa a lei

stavano ferme un istante

e poi all’improvviso scivolavano via

velocissime.

C’era chi cadeva sui fiori

imperlandoli di vetro

chi sulla terra ravvivandola di nero

chi sul pelo di un gatto randagio

che scrollandosi le disperdeva

in polvere d’acqua.

C’erano tanti luoghi da scegliere

dove andare a cadere,

un infinità,

ma Acquaria ne scelse uno

uno immenso, il mare.

Si fece un poco di coraggio,

chiuse gli occhi,

e si lanciò dalla nuvola,

salutando qua e là

tutte le altre gocce che incontrava

durante il suo viaggio gravitazionale.

Ad un tratto

tutta d’un fiato

gridò: Ecco! Eccolo il Grande Blu!

Alla vista del mare

il suo grido fu a tutto cielo

e fu cosi forte

che alcune gocce si frantumarono in spruzzi

e il sole aprì un occhio assonnato.

Correva più forte ora Acquaria

voleva tuffarsi nel Grande Blu.

Scendeva, scendeva

e gridava, gridava

e correva

e si affannava

e rideva,

come rideva.

Così Acquaria

si tuffò in mare,

cavalcando una piccola onda

quieta di risacca

dalla timida cresta bianca e spumosa.

Si adagiò dolcissima

e nell’abbracciare Grande Blu,

vide espandersi,

dal suo minuscolo corpo d’acqua,

tanti, tantissimi cerchi,

alcuni grandi, altri piccoli,

che incresparono,

solleticandolo,

tutta la pelle del mare.

Fu l’istante estatico di Acquaria

a cui nessuno,

prima di allora,

aveva raccontato la storia dei cerchi di mare

e a cui nessuno più potrà dire

che quando la sua acqua abbracciò

quella di grande blu,

il loro sorriso

fu di nuovo arcobaleno,

ma questa volta partì dal mare

e andò, coloratissimo, in cielo

dove nacquero

milioni di altre gocce

e fu un arcobaleno bellissimo.