Poesie
Sogno
Non ho sonno
in questa strana notte
di privazioni scelte.
Non vedo buio
ma tante, tantissime stelle,
di una costante intensità luminosa.
Salgo sino a raggiungerle,
muovendo i piedi come pinne caudali.
Boccheggio muta per dare aria alle branchie.
Nuoto come argenteo pesce di acqua stellata.
Ho corpo squamoso e baluginante
pelle di luna in un riverbero di riflessi.
Sprazzi sfumati e verdognoli.
Apro la bocca
voglio mangiarle.
Le ingurgito famelica e lieta.
Sazia, ma non abbastanza per la gola,
ne assaggio ancora,
mentre trascino lentamente
una rete da pesca senza pesci.
E’ una maglia preziosa
e tutte le stelle sono diamanti impigliati.
Socchiudo gli occhi stancati dai bagliori
e appesantita dalla notte mi avvolgo nella rete.
Rotolo qua e là
spargendo graniglia di stelle
come sabbia di luce.
Ma il vento lesto
si accorge del mio pasto
e con uno sbuffo di raffica
soffia via tutte le stelle dalla mia veste di rezza
restituendole nuovamente al cielo.
Nuda
cerco il velluto scuro della notte,
per avvolgermi morbida e colpevole
chiedendo al vento perdono.
Lui paziente e serafico
mi solleva stanca
tra le sue forti braccia di brezza
per coricarmi
e mi racconta la favola delle piume
per farmi addormentare.
Un materassaio raccolse molte piume, per imbottire un materasso speciale.
Mischiò quelle delle oche, con quelle degli angeli, per donare ai mortali sogni
immortali, che fossero ibridi e imperfetti, per metà sciocchi e per metà divini
Ora riposa,
sdraiata supina,
sul sof ice giaciglio
di candide piume.
Ora dormi,
tu bambina,
sognando molto,
sino a mattina.
L’Albero del Tramonto
Una ragazza raccoglieva fiori in un giardino
sotto i raggi di una calda luna estiva.
Con ago e fili d’erba li cuciva
sulla sua veste fluttuante
tra il frinir di grilli e di cicale.
L’aria era impregnata di lievi profumi
erano viole gelsomini e biancospini.
I suoi piedi carezzavano il solletico del prato
mentre le coccinelle assonnate
contavano i loro puntini per addormentarsi.
Camminando leggera
girava in tondo, tutt’attorno al fusto di un albero,
sfiorando con la veste fiorita la sua corteccia muschiosa
condominio di formiche.
Si chiamava l’albero del tramonto
perché i suoi frutti erano come morbidi pomi aranciati,
piccoli soli melliflui dello stesso colore del tramonto.
D’un tratto uno sconosciuto
la scorse furtiva
e vedendola cosi bella
aprì la sua finestra invitandola ad entrare.
Con piccoli passi di piccoli piedi nudi
scivolò presso di lui
perdendo qualche fiore dalla veste
che si impigliò in un cespuglio.
Gli porse un frutto appena raccolto dall’albero del tramonto
e mentre lui lo assaggiava un poco,
il suo succo stucchevole e aspro lo fece innamorare.
Nelle notti di pioggia
e in quelle di luna
la puoi trovare ancora nel giardino
che cerca fiori e gocce d’acqua.
Lui la sogna ogni notte
sapendo che non è di questo mondo.
Lui la cerca senza posa in ogni volto di donna.
Qualche volta mentre dorme
lei entra dalla sua finestra
e gli nasconde un fiore nell’ombelico.
Poi fugge via
così come è entrata
mimetizzandosi tra le foglie dell’albero del tramonto.
Ora lei lo sta spiando
e con le dita gli arriccia una ciocca di capelli
senza farsi vedere.
Nascosta dal silenzio
adombrata da un cielo senza luna
gli sussurra all’orecchio un segreto:
quello dell’amore di un uomo mortale
per una fanciulla sconosciuta,
che lui vorrebbe trattenere
ma che è destinata ad andare.
Storia di Acquaria
C’era una volta una goccia di pioggia
che cadeva dal cielo
insieme a milioni di altre gocce di pioggia.
Ticchettavano affannate sui vetri,
sudavano di fatica sulle strade
e riposavano nascoste tra i capelli delle donne
oppure adagiate
tra le maglie di lana dei cappotti
che le trattenevano in bagliori trasparenti
come decori di un istante
prima di asciugarsi all’aria bagnata.
Acquaria
non era come tutte le altre
nonostante provenisse dallo stesso cielo
e dalla stessa nuvola.
Era nata una mattina di maggio
dal respiro di un acquazzone improvviso
consumato in fretta
ma con potenza torrenziale.
Appena vide la luce
sorrise
e fu arcobaleno.
Era la più trasparente di tutte le gocce
ma anche la più piccola.
Il Giorno della Pioggia
arrivò anche per Acquaria
come per milioni di altri gocce.
Acquaria sapeva
che la vita delle gocce
durava il tempo di cadere dal cielo
ma questo non la turbava
perché aveva scelto dove cadere
e come cadere.
Ci aveva pensato e ripensato.
Ci aveva pensato il Giorno dell’Arcobaleno.
Arrivò il Giorno della Pioggia.
Il cielo divenne una lamiera d’argento
il vento raccontò le origini del Giorno della Pioggia
a suon di raffiche e fischi profondi
e tuoni e lampi applaudirono con foga.
Prima caddero le gocce più grosse
quelle più anziane
poi quelle adulte
e subito dietro, quasi per mano,
le gocce più piccole.
Per ultima cadde Acquaria
che dall’alto, intanto, osservava
i molti luoghi dove le altre andavano a posarsi.
C’era chi scivolava in rivoli
si appoggiava
ne aspettava un’altra
si univa a lei
stavano ferme un istante
e poi all’improvviso scivolavano via
velocissime.
C’era chi cadeva sui fiori
imperlandoli di vetro
chi sulla terra ravvivandola di nero
chi sul pelo di un gatto randagio
che scrollandosi le disperdeva
in polvere d’acqua.
C’erano tanti luoghi da scegliere
dove andare a cadere,
un infinità,
ma Acquaria ne scelse uno
uno immenso, il mare.
Si fece un poco di coraggio,
chiuse gli occhi,
e si lanciò dalla nuvola,
salutando qua e là
tutte le altre gocce che incontrava
durante il suo viaggio gravitazionale.
Ad un tratto
tutta d’un fiato
gridò: Ecco! Eccolo il Grande Blu!
Alla vista del mare
il suo grido fu a tutto cielo
e fu cosi forte
che alcune gocce si frantumarono in spruzzi
e il sole aprì un occhio assonnato.
Correva più forte ora Acquaria
voleva tuffarsi nel Grande Blu.
Scendeva, scendeva
e gridava, gridava
e correva
e si affannava
e rideva,
come rideva.
Così Acquaria
si tuffò in mare,
cavalcando una piccola onda
quieta di risacca
dalla timida cresta bianca e spumosa.
Si adagiò dolcissima
e nell’abbracciare Grande Blu,
vide espandersi,
dal suo minuscolo corpo d’acqua,
tanti, tantissimi cerchi,
alcuni grandi, altri piccoli,
che incresparono,
solleticandolo,
tutta la pelle del mare.
Fu l’istante estatico di Acquaria
a cui nessuno,
prima di allora,
aveva raccontato la storia dei cerchi di mare
e a cui nessuno più potrà dire
che quando la sua acqua abbracciò
quella di grande blu,
il loro sorriso
fu di nuovo arcobaleno,
ma questa volta partì dal mare
e andò, coloratissimo, in cielo
dove nacquero
milioni di altre gocce
e fu un arcobaleno bellissimo.