La Dama del lago

Mi raccontasti una favola

che le sinfonie di una cetra recitavano,

dove un soldato solitario

s’avventurava per il bosco

in cerca di una donna

che di afflizione s’era avvenuta.

Vista con esili vesti

la colei vita galleggiava

sulla linfa di un argenteo lago,

ovunque s’incamminava l’eretto

la voce cristallina

conquistava il suo orecchio

e le sentinelle degli alberi

ne riverivano il ritorno,

quando la luna alta in cielo

ne fremeva l’immagine specchiata.

Nel prosperare la salvezza

ad un palmo dalla mano,

i suoi tristi occhi

vuoti del sentimento

che una volta la coltivavano,

si sciolsero in un caldo abbraccio

che le mani non vollero contenere,

se non lacrime

che inghiottivano il cuore.


 

Vita indotta

Scorre il rivolo sul marmo

rifrangendo le lacrime

della tua scabra figura,

quale statua solitaria in pena

per non riuscire a sentirle.

E provasti a indurti a percorrere

quella stessa distanza impolverata,

immaginando di annotare

le novità celate oltre la porta,

finita come ostacolo giustificato

della tua vita indotta.


 

Vivere il proprio amore

Oltre quel muro

al di là di ogni intenzione,

vedo impronte

macchiate dalla cenere

di quei furiosi sbagli.

E leggo di parole,

scritte dalla rabbia di un’istante,

perdersi in altrettante frasi passionali

di persone corrotte dal cuore,

colpiti da quella malattia

che può render liberi,

o schiavi del tempo che resta.