La storia di Ti

Questa è la storia di un fiore, un fiore particolare. Un fiore che anche in condizioni estreme cresce rigoglioso, bellissimo.

Il suo nome è Ti, perchè questo è il nome che il vento ha soffiato quando nella sabbia ha cominciato a mettere le sue radici…

Tutto è cominciato quando il seme di Ti, nato non si sa dove e trasportato dal vento, cadde nell’acqua del mare e spinto da un’onda e poi da un’altra ancora, approdò su una spiaggia.

Una spiaggia grandissima e bellissima di un’isola, dove c’erano tanti granellini di sabbia più piccoli di lui che lo abbracciavano e tanti animaletti simpatici. Granchi, paguri, ragnetti e formiche lasciavano le loro impronte sulla sabbia. Api, vespe e farfalle svolazzavano nel cielo a pochi centimetri da terra. Ogni tanto qualcuno ci portava un cagnolino…anche se il cartello all’entrata diceva che era vietato portare cani in spiaggia.

Era un semino piccolo piccolo, nero e lucido. Immaginate un chicco di caffè. Direste mai che da un semino così può nascere una creatura tanto bella? Sembra un po’ la storia del bruco e della farfalla.

Quando arrivò sulla spiaggia non fu molto fortunato.

Per qualche giorno fu sballottato dalle onde avanti e indietro. Ecco cos’è il mal di mare, pensò! Aveva lo stomaco ribaltato. Ma finalmente un’onda più alta delle altre gli diede una spinta molto forte e lo fece cadere più in là, dove la sabbia era asciutta.

Il vento soffiava sempre. Il sole ardeva sopra di lui. Ogni tanto pioveva, non tanto…ma gli bastava per avere un po’ di refrigerio perchè faceva molto caldo.

Piano piano si sistemò nella sabbia e attese. Pensava che sarebbe successo qualcosa, invece continuava a non succedeva nulla.

Il vento continuava a soffiare, il sole ad ardere, la pioggia a bagnarlo, il sole ad asciugarlo. E via così, ogni giorno.

Forse non era il posto adatto per crescere. Aveva una roccia a destra, un sasso a sinistra, la sabbia attorno e il cielo immenso sopra. E non aveva terra sotto…Non si sa come Ti sapeva che ci voleva la terra per crescere, perchè lui era un seme. Chissà come faceva a saperlo. Forse gliel’aveva detto il vento quando Ti era tra le sue braccia.

Il vento. Proprio il vento che soffiava gli portò tanta sabbia vicino.

Ti e il vento diventarono amici. “Grazie amico vento!” urlò Ti, “è tutto così morbido vicino a me!”. Stava così bene che dimenticò la terra e si addormentò al calar del sole.

Un giorno, Ti sentì una forte scossa che attraversò tutto il suo corpo di seme, gli sembrò di esplodere. “Che mi succede? Aiuto! Aiutatemi amici! Sto per scoppiare!” Ma il vento e il  sole lo guardavano e sorridevano, senza fare assolutamente niente di niente.

Ti era spaventato ma piano piano il dolore svanì e vide che gli stavano spuntando dei fili verdastri che uscivano nella sabbia, ogni istante sempre più lunghi. E poi….e poi si sentì slanciare verso l’alto come se avesse saltato su un tappeto elastico…e sbucò fuori dalla sabbia.

Che meraviglia! Il paesaggio era splendido. Sentiva l’odore del mare e il suo scrosciare, ma non lo vedeva. Doveva riuscire a tendere verso il cielo per vederlo, un grosso sasso gli stava proprio davanti. Ma ogni cosa ha il suo tempo. Anche questo doveva averglielo detto il vento.

Una famiglia di granchi, che diventarono presto suoi amici, andavano a trovarlo ogni giorno e gli facevano il solletico con le loro zampette. Ti e gli altri gigli si parlavano tramite il vento. Rideva un sacco, con tutta quella compagnia non si sentiva mai solo. Era felice.

Un giorno in cui il sole splendeva alto nel cielo il suo sguardo oltrepassò il sasso. Ti vide finalmente quella enorme meravigliosa distesa d’acqua davanti a sé e se ne innamorò.

Era cresciuto. Era bellissimo, bianco come la neve che si sarebbe sciolta al sole.

Passò un uomo.

Un uomo che di lì non era mai passato prima, Ti se ne sarebbe ricordato perchè aveva la faccia buia, cattiva, come non ne aveva mai viste passare prima sulla spiaggia. Guardò Ti, si guardò attorno per controllare che non lo vedesse nessuno. Si abbassò su di lui e strappò con forza.

Ti si piegò ma non si ruppe. Allora l’uomo strappò ancora, con tutta la sua forza finchè Ti con tutte le sue radici uscirono dalla sabbia.

L’uomo si allontanò in tutta fretta nascondendo Ti sotto la sua giacca, perchè quel fiore era protetto, non si poteva cogliere. Nessun fiore dovrebbe essere colto.

Ti era ancora vivo, le sue radici lo tenevano in vita ma aveva bisogno di sabbia…cominciava a boccheggiare, gli mancava l’ossigeno. Ma tenne duro, sentiva nel suo cuore di fiore che i suoi amici non l’avrebbero abbandonato.

L’amico vento soffiò subito molto forte e lanciò una richiesta d’aiuto…Un granchio bello grande che era lì vicino corse veloce verso l’uomo e lo pizzicò su una gamba con tutta la forza delle sue chele. L’uomo urlò dal dolore. L’uomo inciampò e cadde su uno spuntone di roccia, mentre mille api e mille vespe gli ronzavano attorno e lo pungevano dovunque…Ti si liberò dalla sua stretta e cadde per terra.

Mentre l’uomo era attorniato da un battaglione volante molto determinato a non lasciarlo rialzare, un esercito di ragnetti e formiche sollevarono Ti e lo trasportarono velocemente lontano da quell’uomo, dove poteva essere curato. Lo appoggiarono per terra con delicatezza, sulla sabbia, vicino ad una roccia.

Ti era debole. Bisognava rimetterlo al più presto nella sabbia. Ma come fare?

Nessuno si perse d’animo. Un ragno grande e grosso di nome Spidy cominciò a tessere una tela attorno a lui, con dei fili lunghi lunghi che altri ragnetti presero fra le zampe, mentre un esercito di granchietti e paguri scavava una buca…

“Al mio tre tirate forte! Uno, due tre!” urlò Spidy.

I ragnetti cominciarono a trascinare Ti e le sue radici si appoggiarono sulla buca. A quel punto salirono sulla roccia e continuarono a tirare Ti finchè le sue radici entrarono a fondo nella sabbia. Ti provava un po’ di dolore, perchè i fili lo stringevano, ma vedere vicino a sé tanti amici che gli volevano bene gli dava la forza di non mollare, nemmeno nei momenti più duri.

E dopo qualche interminabile minuto, finalmente Ti rivide il mare che tanto amava. Era di nuovo in piedi. L’emozione fu fortissima.

Ad un segnale di Spidy, le formiche e i granchietti cominciarono a spingere sabbia nella buca con le loro zampette, il vento cominciò a soffiare creando vortici di granellini che si depositavano tutti attorno alle radici di Ti, che si sentiva piano piano sempre più forte. Poi venne la pioggia che gli diede immediato ristoro. Le sue radici erano di nuovo ben salde.

Ti non trovava le parole per esprimere cosa sentiva. Urlò grazie al vento, alla pioggia, ai granchi, alle api, alle vespe, alle formiche, ai ragni, grazie a Spidy che tanto aveva fatto per lui. Grazie a tutti gli amici che non lo avevano lasciato solo.

Ma per loro contava solo il suo sorriso.

Guardò il mare con il cuore pieno di gioia. Avrebbe mai potuto perdersi tanta bellezza?


L’avventura di Tesorino

Nasceva qualche tempo fa in un piccolo stagno un girino piccolo piccolo, nero nerissimo. Nacque insieme ad un sacco di altri girini neri nerissimi, che si assomigliavano un po’ tutti.

Mamma Rana li guardò mettere la testa fuori dall’uovo ad uno ad uno e ci volle un bel po’ di tempo ve lo assicuro! Ma non se ne perse nemmeno uno perchè mamma Rana voleva dare un nome ai suoi figli. Così nacquero Macchiolina, Neretto, Spido, Ooo, Cico, Spavaldo e poi Testolina, Volpe, Speranza, Lilo e per ultimissimo Tesorino.

Per prima cosa mamma Rana voleva che sapessero che lei era la loro mamma per non farli confondere. Mica che prendevano per mamma un pesce gatto oppure un luccio! Perchè i girini nuotano nell’acqua, le rane saltano. Poteva essere facile sbagliare e mamma Rana non ci pensava nemmeno a non essere mamma di tutti i suoi figli!

Tesorino nacque per ultimo. Anzi, per ultimissimo, perchè il suo uovo non ne voleva proprio sapere di schiudersi e così mamma Rana dovette aspettare un bel po’ prima di potergli parlare. Ma Tesorino fece appena in tempo a sentire il suo nome che una cosa strana tutta bucherellata fine fine lo tirò fuori dall’acqua…Era un retino!

“Eccolo mamma, uno eccolo!!!! L’ho preso, ce l’ho fatta! Evviva che bello!”. Era la voce di un bambino, ma in verità Tesorino non lo sapeva che era un bambino perchè era appena nato e non sapeva un sacco di cose. Il bambino sembrava felice. “Ma perchè è felice?” si domandava Tesorino. Lo aveva appena portato via dalla sua mamma! E poi oooh oooh oooh che sballonzolamento nell’aria e uiii uiii che fatica a respirare fuori dall’acqua…Ma finalmente splash, eccolo immerso in un secchiello d’acqua. L’acqua era poca e non era verde, ma almeno era acqua. Finalmente!

Tesorino fu portato a casa dal bambino. Aveva fatto appena in tempo a vedere la sua mamma e già lo portavano via! “Ma io sono un girino forte!” pensò. Avrebbe fatto di tutto per tornare a casa.

Mamma rana, da parte sua, non potè fare nulla per salvare Tesorino. Lo stagno si riempì delle sue lacrime finchè i pesci cominciarono a lamentarsi con lei. Erano pesci d’acqua dolce, insomma e le sue lacrime salavano l’acqua! Mamma Rana smise di piangere e pensò a cosa poteva fare per riportare a casa il suo Tesorino.

Solo allora si ricordò che aveva già visto quel bimbo: abitava al di là dello stagno, all’inizio del paese, nella casetta con l’albero di mele nel giardino. Una volta era arrivata fin là, dopo che un forte temporale aveva allagato tutto il paese e aveva notato quel bimbo che saltava  nelle pozzanghere come una vera rana!

Chiamò i suoi figli a raccolta e disse loro: “Bambini miei, devo andare. Tesorino ha bisogno di me. Tornerò presto e riporterò qui vostro fratello.”

E saltò via. Un salto e un altro e un altro ancora. Un altro e un altro ancora. Più mamma Rana si allontanava dallo stagno e più cresceva la sua preoccupazione. Come avrebbe fatto a trovarlo? Ma soprattutto, come poteva riportarlo allo stagno?

Tesorino intanto imparava un sacco di cose. Innanzitutto scoprì che i bambini sono dei bei chiacchieroni e non stanno mai zitti! E poi che sono curiosi…vogliono sapere tutto! Perchè questo, perchè quello, perchè quest’altro…la mamma di Pietro (questo era il nome del bimbo) non faceva altro che sorridere e rispondere a tutti quei perchè! Quando ci riusciva, perchè non sempre aveva una risposta…talvolta le domande del bimbo erano difficili anche per lei. E allora prendeva tempo. Ma prima o poi tornava e aveva una risposta.

Pietro lo studiava. Per questo lo aveva portato via dallo stagno. Forse anche per avere un po’ di compagnia. Passava ore a guardarlo nuotare nella sua boccia d’acqua, “Chissà che cosa ci trova di così interessante!” pensava Tesorino. “Io giro solo in giro, d’altronde sono un girino!” rideva dentro di sé. Ma dentro di sé era anche molto triste perchè stava imparando, a sue spese, cos’era la libertà.

Improvvisamente, mentre mamma Rana entrava in paese, alcuni nuvoloni neri e minacciosi comparvero nel cielo e poco dopo cominciò a piovere.

Piovve talmente forte che si formarono un sacco di rigagnoli d’acqua sulla strada, i prati si allagarono e la terra diventò fango. Mamma Rana arrivò tutta fradicia e infreddolita alla casa del bimbo ma era felicissima…Avrebbero potuto tornare allo stagno saltando e nuotando nei fiumiciattoli d’acqua che si erano formati! Prima però doveva trovare il suo Tesorino.

Cominciò ad urlare a squarciagola saltando tutt’intorno alla casa. Cra cra cra cra. Tesorino non poteva rispondere ma almeno avrebbe sentito che lei era lì! Infatti la sentì! Cominciò ad agitarsi nell’acqua e a girare forte, sempre più forte. Pietro era lì che lo guardava e non capiva cosa stava succedendo, vedeva il suo girino nuotare velocissimo, come impazzito e credeva fosse spaventato dal rumore della pioggia. Fino a quando vide una rana balzare sulla finestra davanti a lui. Cra cra cra cra! Tesorino riconobbe subito la sua mamma! Cominciò a spingere la testa contro il vetro della sua boccia piena d’acqua, come se così potesse fare un buco ed uscire! Spingeva e spingeva, ma non succedeva niente! Mamma Rana lo vedeva tra le goccie di pioggia sul vetro della finestra, ma si sentiva lontana ed impotente. Continuava a gracidare per dare forza al suo Tesorino, per non farlo sentire solo ma serviva qualcosa di più, qualcosa doveva succedere…

Allora Pietro capì cosa doveva fare. Aveva goduto della compagnia di Tesorino per qualche giorno, ma era ora di lasciarlo andare. Aprì la finestra per vedere cosa fare, l’acqua dal cielo scrosciava a più non posso. La sua mamma non lo avrebbe lasciato uscire, con questo tempaccio! Ma non ce ne fu bisogno. Mamma Rana fece un balzo contro la parete della boccia piena d’acqua, facendola traballare. La boccia si rovesciò.

Tesorino nuotò nella cascata d’acqua che si formò, fuori dalla finestra. Era libero! Quando la forza della cascata si esaurì, Tesorino si ritrovò per terra un po’ frastornato.  Ma sentì subito la sua mamma che gracidava e gli indicava la strada da seguire.  Nuotò in un rigagnolo d’acqua e poi in un altro e in un altro ancora. In alcuni momenti Tesorino credette di non farcela, l’acqua era appena sufficiente per farlo nuotare ma non si perse mai d’animo. Si faceva forza ascoltando il cra cra di Mamma Rana e proseguiva verso la meta.

Finchè improvvisamente tutto diventò facile. Si sentì trascinato da una corrente che lo faceva scendere giù, veloce veloce, verso la sua casa, lo stagno. Ecco le ninfee! E i pesci! E i suoi fratelli girini! Era arrivato a casa, finalmente.

Tesorino era stanchissimo e felice.

Mamma Rana non parliamone! Pianse dalla gioia per aver riportato a casa sano e salvo il suo girino. Ma questa volta i pesci non si lamentarono di lei, erano tutti felici per aver ritrovato il loro piccolo amico.


L’orso dalla tasca magica

In un bosco intricato di un regno lontano

viveva un grande orso con un fare un po’ strano.

Passava le ore in un campo infangato

o nascosto tra i rami di un giardino incantato

a disegnare se stesso e gli orsetti suoi amici

con in mano una palla a scavalcare radici

e poi riempiva la sua grande grotta

di scene di fango, sudore e lotta.

In un giorno di marzo con un pallido sole

incontrò una fatina che con poche parole

lo convinse a tradurre il suo gioco inventato

in qualcosa di vero, mai prima provato…

Così ai piccini cominciò ad insegnare

che arrivare alla meta vuol dire sudare,

che una palla può anche non essere tonda

e cadendo per terra diventar vagabonda,

che si passa all’indietro per portarla in avanti

e che a fare il sostegno bisogna essere in tanti

e che quando la palla si picchia sul prato

il merito è anche di chi prima ha placcato.

Gli orsetti talvolta faticavano a capire

ma l’orso con passione continuava ad aprire

una tasca sul suo fianco, profonda come il mare

in cui magicamente sapeva trovare

un sorriso profondo, una regola precisa,

uno scherzo divertente, una parola decisa

e come per incanto si trovava a regalare

a tutti un motivo per continuare a giocare.

Così andarono le cose, per giorni mesi anni,

finché gli orsetti tra gioie ed affanni

diventarono grandi, e chissà per che errore

qualcuno di loro diventò calciatore…

L’orso sorride quando lo viene a sapere

era qualcosa che poteva accadere..

ma è felice, perchè sa che nel loro cuore,

avranno sempre l’impronta del loro primo allenatore.