Caducità

Cadi mesta foglia, senza gloria alcuna,
essenza aspersa del primordiale tutto,
vuota vanagloria di forma niuna.

Lignaggio di un tempo che della vita fa lutto,
cadi leggera, riposa su un fiore,
nel seno di un mondo spento e distrutto.

Illusoria speranza, malinconico ardore,
nessun potrà mai risanar l’antica ferita
nell’eterno raffronto tra diserzione ed onore.

Cadi mesta foglia, nell’inceder senza vita,
vermiglio oramai il color del giovane manto,
ogni primordiale virtù già nel vento svanita.

Dormi ancor incapace di udire il Suo canto,
odi solo gridar, bisbigli di miseria e pena,
intorno a te solo delirio, odio che muta in vanto.

Rimembri ancor il calmo volar della falena,
Sibilla celata, menzogna messaggera del vero,
nel destino insinuò letale cancrena.

Sospesa ad un ramo turgido e fiero,
sovente il tuo tempo sfioriva ormeggiato
che al tormentato salpar non ambiva il veliero.

Fuggendo l’Essenza la Morte hai cercato,
spento è lo sguardo, le speranze esaurite.
Fuggendo l’Essenza la Morte hai trovato.

Il Ramo ora spoglio osserva la sua Terra mefite,
il guardo all’eterno, speranza ancor nutre
che a soppesar il sol mai più verrà Afrodite.

A chi crede che la sopraffazione violenta, del corpo e del pensiero, sia l’unica soluzione possibile.


Inverno

Scusate per questo lungo inverno
ma nell’animo adesso è stagione
di quel freddo che annebbia l’Averno.

Un ruvido manto soverchia la ragione,
annulla la parola in un sol atto
e l’eco si perde tra le grida della prigione.

Le perfide mura con le unghie gratto
senza sosta fino a sanguinare
un denso fluido più nero che scarlatto.

Qui la mia vita, qui il mio penare,
senza fine il ritorno alla luce agogno
seppur il mio nome ancor senta dannare.

Primavera verrà e non sarà sogno:
in quel pensier il tuo abbraccio scioglie
il pianto di cui più non mi vergogno.

Cenere ghiacciata, un barlume di foglie;
scusate per questo inverno infelice
presto sarà Vita, tepor che tutto accoglie.

Dedicata a coloro che mi amano e che io amo con tutto me stesso.


E ancor m’illudo che sia giorno

E ancor m’illudo che sia giorno.
Al meriggiar, sulla cresta di un atollo,
scruto dell’ugual, l’eterno ritorno

Greve si posa la Sua lama sul collo;
le carni oppresse, l’anima è muta
nel mesto avanzar dal cuore al midollo.

Dal Suo regno senza tempo l’infinito scruta.
Ride dell’umano vagar tra passato e futuro,
l’invincibile mal, celeste grazia perduta.

Dell’eretica vita costringe all’abiuro.
Oppressore, Tiranno di Pietas alcuna,
nella desolata landa avanza sicuro.

Granello nell’attimo, inseguo la luna,
silente conforto d’angoscia intrisa,
nel vano sforzo di speranza veruna .

Miraggio nelle tenebre, illusione invisa,
creatore primordiale di verità menzognera,
dimora in te la ferale serpe mai recisa.

Soggiogato il pensiero alla mano sua austera,
solo silenzio odo implorar senza fiato
che la speranza bramosa attende già sera.

Ratto è il Suo tocco, suadente l’afflato.
Spirito di leggiadra armonia adorno,
oltre la porta innalza l’animo alato.

Rifulge una stella nell’aere piorno,
carezza ch’a fuggir ‘l crepuscolo invita,
E ancor m’illudo che sia giorno.

Dedicata alla mia ricerca personale sulle verità non imposte dalla società. Alle mie esperienze, in fuga perenne dall’Eterno Ritorno.