Poesie
MACCHINOSA IMPOSTURA
Vestita di frode e d’impudenza, corrucciando la mente ed il cuore,
va la beffarda eloquenza, nascondendo il tratto divoratore.
E le sacrileghe doti del tiranno dispensano speranze decimate,
per afferrare lo scettro, senza affanno, con gli artigli di prediche recitate.
La mollezza senza sdegno, negli occhi ammaestrati di una superba corte,
con gli antichi ideali che naufragano, seppelliti in un fondale di morte.
Non già il preclaro ingegno o la robusta fede v’è a contendersi la palma,
ma la perniciosa brama del potere che avvolge il pulpito e ovunque si spalma.
La facondia lusinghiera dell’effimero ordisce una misera trama che inganna,
agli sguardi incappucciati della gente, su cui pende un’oscura ed infelice condanna.
La molle cervice delle schiere, piegata al giogo canaglia del ribaldo impostore,
incrinata da fatue prebende, ammaliata da giuochi e fuochi di paglia senza colore.
La dura scorza chiude il marcio gheriglio e copre il fetore di un’antica mistura,
tra le risa malefiche che sfidano il periglio e una ridda di regole costruite su misura.
Il plauso cortigiano porge l’obolo ai potenti, sul desco di un banchetto incenerito,
dove l’amore profano è uno sguardo d’intenti, pronto a dare un perfetto benservito.
Le pallide ombre di un cattivo passato, nella notte che scende sul villaggio intorpidito,
tra le colonne del tempio dorato, lo spergiuro è il rantolo di un misero sogno tradito.
L’arte dello scempio è una macchinosa impostura, una sudicia veste che copre l’armatura,
il laccio di un cappio che strozza l’arsura, la seduzione malvagia sulla folla impura…
Avola, 9 maggio 2015
Davide Manganaro
Soldati della gente
Gli occhi umidi scrutano il cielo,
marciano, solitari, nella tempesta, sotto il gelo,
fendono le nubi, riempiono il nulla,
sopra un treno che fischia o una nave che rulla.
Piangono in silenzio, dentro la cassa di un cuore,
in una pioggia di battiti, al tonfo sordo di un dolore,
catturano l’eco, sulle note di animi rotti,
con il sangue che pulsa, sotto i pesanti giubbotti.
Piaghe e cicatrici, sulle carni lacerate,
incidono medaglie, dentro storie mai narrate,
cucite sul duro petto, nel privato affanno,
trapuntate da una fede che non cede all’inganno.
Non temono la fame, la pena, la morte,
non cercano ricompense, ma sfidano la sorte,
consacrati al dovere dell’abnegazione,
sono figli della patria, orgoglio della nazione.
Con lo sguardo fiero, sulla via dell’onore,
a difesa della gente, con un mistico ardore,
obbediscono alle leggi, mai supini al potere,
con le mani ferme che accarezzano le bandiere.
Davide Manganaro
2 giugno 2017
LA MIA PATRIA
Lo sguardo che mi circonda in un cielo sconfinato,
una corona di gloria, l’alloro di un antico passato,
la grazia divina che mi ha prescelto e baciato,
l’eroismo dei Padri, la poesia di un soldato.
Un destino aggrappato a radici profonde,
in un mosaico di terre, ricche e feconde,
con l’illustre mare che bacia le fronde
ed una lingua immemore che unisce le sponde.
In un verde germoglio, fiorisce come un eterno amore,
il mio bianco silenzio di preghiera, dignità e onore,
nel rosso lucente, fiammeggia d’illuminato ardore,
il sacro vessillo di un popolo, la fede nel Tricolore.
La culla del mito, un luogo incantato,
con un fiero nome, regale e blasonato,
la pelle di vitello, il ventre d’acciaio temprato,
un petto di roccia, con un cuore smisurato.
Tu sei la mia casa, la mia chiesa, il mio folclore,
il mio giardino, le mie lacrime, il mio sudore,
il luogo dei miei sogni, il mio felice albore,
il mio cibo, il mio profumo, il mio afrore…
Madre generosa, ferace d’armi, d’arte e d’ingegno,
a nulla varrà l’infido, perverso ed infame sdegno,
il pensiero di chi ti abiura ed il tradimento indegno,
di pace e di giustizia, risorgerà il tuo regno.
A te le mie odi, la mia lira che suona,
il mio ideale sincero che mai t’abbandona,
il mio verso fiero che sempre ti menziona,
prostrato alla tua cuna, come un figlio che si dona.
Davide Manganaro
Avola, 6 agosto 2017
Il cielo ferito
Piovono di sangue i mattini nel cielo, battono sui selciati tempeste di razzi,
la polvere nera cancella i profumi, il vento dissolve i sogni dei ragazzi,
i tetti squarciati, le case in frantumi, le aurore di luci senza più sprazzi,
tra zufoli e tuoni, gelidi barlumi, nei templi rabbiosi e negli infidi palazzi.
D’ira e d’anatemi squillano le guerriere trombe,
le strade battagliere diventano tombe,
le tenebre saettano con le frombe,
la terra inabissa nella solita ecatombe!
La fiera barbarie delle bestie immonde,
la sacrilega arroganza delle favelle invereconde,
il mercimonio delle coscienze che tutto confonde,
il baratro cinereo, sulle contrapposte sponde.
La legge dell’antico caos nelle città spoglie,
lungo i viali impietriti di alberi senza foglie,
dove il folle arbitrio minaccia tutti e s’invoglie,
la molle tempra cede, la monotonia distoglie…
Eutanasìa della memoria, del più tragico passato,
la follia della vanagloria, in un mondo troppo abusato,
l’umano petto comprime un cuore frantumato,
sedotto dal potere, corrotto e adulterato,
sepolto nell’orrido nembo, imprigionato!
Avola, 29 aprile 2017.
Davide Manganaro
Il vallo dello scempio
Bragia spenta nei focolari,
micce di fuoco accese sugli altari.
Infidi tetti, spogliati lidi,
strade deserte, tremuli nidi.
Rauco suono tra le contorte vie,
le folgori brillano lampi di follie.
Sibili acuti si spargono nei villaggi,
il fuoco divampa tra i campi selvaggi.
Borbottano di guerra le nubi dal cielo,
l’acerba sciagura getta il suo velo.
Il rombo della morte ha il fruscio del nulla,
il canto strozzato di un bimbo nella culla.
Il cielo indossa una sanguigna veste,
s’ammantano di fumo i monti e le foreste.
Batterie di missili e spade insanguinate,
volti senza faccia e teste mozzate.
Trofei del male nella guerra dell’orrore,
sagome d’ebano, bendate di terrore!
Groviglio d’inferno, di corpi ammassati,
il pallore della morte nei soli trucidati.
Il lezzo e il sangue, il torchio del male,
l’oblio del delitto, la follia brutale!
Aspri rimbotti, nell’aria sparsa di veleno,
gli occhi vibrano minacce, senza alcun freno.
Il caldo furore dell’ira insanguinata,
mortifero incanto di una Terra martoriata.
La via del pianto sul maligno stuolo,
un sogno assassinato non prenderà mai il volo.
L’insano orgoglio e il fosco ardire,
lividi sguardi ciechi, pronti a morire!
Le viscere stracciate sulle zolle inaridite,
labbri astiosi di antiche ferite.
Baratri spalancati nel vallo dello scempio,
litanie di martiri in un angusto tempio.
Pulsazioni defunte, seppelliti respiri,
lingue impastate che lambiscono deliri.
Catastrofica logica, impareggiabile idiozia,
la ragione dei potenti, lenta eutanasia!
Davide Manganaro
Avola, 10 dicembre 2014.
L’inchiostro in trincea
Verso che intingi le mani nella polvere, in un turbine di frequente dannazione,
in mezzo all’aria che è spesso irrespirabile… che risuona di bombe, tradimenti e frastuoni.
Le tue parole sono pulviscoli alzati dal vento che brillano sempre di emozione,
in un guazzabuglio di veleni spietati, di spari nel mucchio e di scabrosi abbandoni.
Paziente, colgo, il bagliore di una folgore, in una fitta trincea d’inchiostri,
mentre il nemico, mimetizzato tra gli arbusti, striscia nella terra buia che pullula di mostri.
In mezzo alla tremenda oscurità di un vasto campo di battaglia,
un urlo di guerra esplode dal mio petto ed irrompe dalla robusta maglia.
Spalanco gli occhi, sotto un nubifragio di piombo, nel sinistro luccichio delle notti…
e vedo chiome di alberi stanchi, dove nascono gemme di tragiche sorti!
Affilo una penna d’ascia, sopra macerie e detriti di carte,
con l’elmo che stride la carne degli indomiti pensieri messi in disparte.
Ah, come stride la lama del gladio, quando incide le viscere di un penoso sipario,
quando il mio onore sfida il palladio e quando ruggisce il silenzio di un sacrario.
Nel nucleo putrido dei giorni corrosi dall’odio e dai gravi affanni,
ecco il mio ferro d’impeto, l’arguto ingegno di una lirica senza inganni.
Non sarà l’alito marcio dei tempi a fermare il mio fresco respiro di primavera,
né la peste maligna ad uccidere la mia Patria, a strappare la mia Bandiera!
Le mie braccia spalancherò al sogno di antichi ideali,
ascolterò la voce dei padri, le liriche delle gesta immortali.
Al di là di ogni senso, lancerò la mia fede oltre l’ostacolo,
per colpire l’ineffabile, con la daga sguainata di un duro vernacolo.
Pronto a sfidare la morte, stringerò tra le mani un rosario,
reciterò a squarciagola il mio bellicoso carme abbecedario.
Avola, 22 febbraio 2018
Davide Manganaro
Soldati della gente
Gli occhi umidi scrutano il cielo,
marciano, solitari, nella tempesta, sotto il gelo,
fendono le nubi, riempiono il nulla,
sopra un treno che fischia o una nave che rulla.
Piangono in silenzio, dentro la cassa di un cuore,
in una pioggia di battiti, al tonfo sordo di un dolore,
catturano l’eco, sulle note di animi rotti,
con il sangue che pulsa, sotto i pesanti giubbotti.
Piaghe e cicatrici, sulle carni lacerate,
incidono medaglie, dentro storie mai narrate,
cucite sul duro petto, nel privato affanno,
trapuntate da una fede che non cede all’inganno.
Non temono la fame, la pena, la morte,
non cercano ricompense, ma sfidano la sorte,
consacrati al dovere dell’abnegazione,
sono figli della patria, orgoglio della nazione.
Con lo sguardo fiero, sulla via dell’onore,
a difesa della gente, con un mistico ardore,
obbediscono alle leggi, mai supini al potere,
con le mani ferme che accarezzano le bandiere.
Davide Manganaro
2 giugno 2