Tremule le tempie pulsano

 

Tremule le tempie pulsano sangue,

sangue di uomo scempio di tremule genti.

L’ulivo respira, la terra langue

e gl’occhi si chiudono inopprimenti.

 

Brandisci chi l’uomo e il creato estingue,

risvegli chi nega tre volte gli stenti,

ma cupido batte quel cuore esangue:

corre nel campo con spade d’intenti.

 

Che il calice pregasti ti negasse,

Quello sognato era colmo di vita,

Anni di uomo che vivendo vivesti.

 

Il cielo fu più ampio, già che provasse

Amore, per una fede smarrita.

Chiarore bianco, gl’amici ridesti.


Sei nelle arance sabine appena colte

 

Riaverti nei solchi della terra

profumata e calda

a mezzogiorno:

l’aria tiepida corre per quelle zolle accovacciate

solleticate da formiche forzute;

instancabile popolo piramidale

fraterno nel suo zampettare allegrotto:

accenni e direzioni.

 

Sei nelle arance sabine appena colte

da novembre e ti ritrovo seduta sul ciglio

dell’orizzonte teverino. La prospettiva suggerisce

e inganna: cielo e grigio e quella cupola inevitabile

dietro il tuo orecchio sembra ti sia di appoggio alla nuca.

 

Sei terra profumata e in te rivedo me puro.

Ricordi a me il mio nome e questa mia natura

emotiva, stringendo tra le dita

e con i pollici sfiorando i padiglioni infreddoliti.

Scatti riottosi

a prova della natura imperfetta di uomo che solo

raccolto in te, rifrange la vita e respira.


 Patto di guancia

Mi fai ridere, grazie!

Ho bisogno di ridere: mi dici in un momento qualsiasi.

Cosa pensi? Tramerò tutti gli intrecci per riempire

il mio orecchio della tua risata.

 

Righe d’inchiostro

non ne ho mai scritte di così genuine,

chi ti ha tirato fuori dai miei sogni?

Un’altra trama sarà intrecciata domani:

lì la mia testa sarà rapita dalla quotidianità dei gesti.

 

Hai raggiunto un accordo con la mia guancia

dopo molto: perché chiedi altro tempo?

Non conosci già le bugie dei minuti?

 

“Devi tornare subito a casa” tuona

il monito di tua madre in un momento qualsiasi

e la tua risata brillante ancora mi manca;

ma là sta diffusa la mia poesia,

dove la mia signora mormora fra sé

e fra sé chiede altro tempo

al tempo, mentre carezza la mia barba

quasi dormendo.