Racconti
LA MIA LUCE
Credo di essere un punto di svolta della vita….sì, degli altri però!!
Avete presente quel film?
Quello in cui il protagonista, anche alquanto belloccio, è vittima di un maleficio infertogli da ragazzo, secondo il quale è destinato inesorabilmente a perdere ogni donna con cui esce e che, dopo averlo lasciato, è destinata a trovare l’amore della sua vita. Così, questo tizio, ormai famoso per questa caratteristica peculiare, viene “usato” da ogni donna che è a conoscenza della maledizione per trovare l’amore. E ciò accade puntualmente. Ma anche lui s’innamora e, se prima la maledizione non lo toccava, ora invece è un problema e cercherà in ogni modo di scioglierla.
Chiaramente, essendo un film, anche lui avrà il suo lieto fine e riuscirà a rompere il maleficio.
Ecco!
Io mi sento esattamente come il protagonista, ma senza il lieto fine.
Perché?
Perché pare che io faccia da tramite tra un periodo difficile e la gioia. Un po’ come Caronte, che traghetta le anime, io traghetto le persone dal buio alla realizzazione dei desideri.
Chiunque stia attraversando un periodo pessimo della vita pare sia destinato, presto o tardi, a passare attraverso me.
Si lega a me in qualche modo, ci frequentiamo per qualche tempo, poi d’improvviso sparisce….
E dopo un po’ che io avrò passato a chiedermi dove abbia sbagliato e a interrogarmi su cosa possa aver detto di male, scopro che la suddetta persona è felicemente entrata nel suo lieto fine.
E non parlo solo di uomini, ma mi riferisco anche ad amici, colleghi ma soprattutto ad amiche donne che, dopo avermi “usata” spariscono senza una spiegazione.
Al principio, pensavo fossero coincidenze, poi ho iniziato a chiedermi se il problema non fossi io, fino a quando non ho visto quel film ed ho iniziato a pensare di avere addosso una specie di maledizione.
No, non sono solo mie paranoie, potrei narrarvi ad uno ad uno ogni singolo episodio per il quale sono giunta a questa teoria, ma la lista è talmente lunga che mi ci vorrebbero secoli.
So benissimo a cosa state pensando a questo punto: non erano veri amici. Certo, avete ragione, ma possibile che tutte le volte toccava a me? Va bene avere la sindrome della crocerossina, ma qui si stava esagerando!
Mi accorsi d’un tratto che ne avevo abbastanza! E me ne resi conto un 31 dicembre, quando realizzai che lo avrei passato da sola. E intendo davvero sola.
Quella sera, dopo il lavoro, tornai a casa e mi buttai in doccia pensando a come mi sarei vestita e a cosa avrei mangiato e poi…e poi mi chiesi: vestirmi per andare dove?
Nessuno mi aveva invitato a passare il capodanno insieme. Nessuno mi aveva inclusa nei propri progetti.
Arrivò mezzanotte.
Finalmente era finito quell’anno infernale. Un anno che avevo passato sola e che avevo finito da sola.
E avevo appena iniziato un nuovo anno.
Sola.
Ma questa volta ero convinta che avrei cambiato tutto, questo sarebbe stato l’anno della mia rivincita.
Avrei rotto la maledizione, come nel film. Avrei passato la vita da sola, ma non avrei più aiutato nessuno a trovare la felicità.
Andai a letto e mi svegliai la mattina dopo, il mio cellulare segnalava un messaggio non ancora letto.
Forse, dopotutto, non era così tragica la cosa, forse a qualcuno importava di me.
Aprii il messaggio: il mio operatore telefonico mi augurava buon anno.
Questo era il massimo che potessi sopportare.
Adesso avevo toccato il fondo.
Mi avevano ridotta l’ombra della persona che ero usandomi come scaletta per arrampicarsi ed uscire dalla voragine che li stava inghiottendo. E nel frattempo io venivo spinta sempre più a fondo, consumata dal loro bisogno di luce, privata della gioia e della speranze che, un giorno, anche io potessi tornare a galla.
Sentii il mio cervello esplodere, la mia mente divenne un miscuglio di pensieri che si sovraffollavano uno sull’altro. La follia stava prendendo il sopravvento. Ma la mia pazzia era ancora troppo cosciente, la mia mente troppo consapevole.
Non sarei esplosa. No, avrei scelto con razionalità la mia fine.
Questo racconto non ha un lieto fine.
Non sono impazzita facendo una strage e non ho trovato la felicità.
Ma sono arrivata ad una sorta di serenità.
Mi sono trasferita lontano, in un luogo abbastanza difficile da raggiungere e vivo sola, con i miei gatti, un cane e un pesce rosso che rischia la vita un giorno sì e l’altro anche.
Il mio esilio volontario in quell’eremo di pace mi aveva restituito un pizzico di pace e la mia follia si era poco a poco assopita, fino a sparire.
Vivere in queste condizioni potrebbe non essere facile per chiunque non sia a contatto con la sua parte più profonda, ma io sono riuscita a convivere con me stessa.
Ho scoperto che il tempo sa essere davvero la miglior vendetta, ma ha solo un difetto: arriva quando ormai non ti importa più.
La maggior parte della felicità che arrivava dalle mie disfatte si rivelò presto solo un fuoco di paglia e chi ne ha gioito si è reso conto che quel fuoco si è consumato in fretta ed ora è ripiombato nel buio.
Ho visto i loro visi, le loro espressioni e sono addirittura stata sul punto di urlare in faccia a quelle persone tutto il dolore che avevo provato. Ma guardando i loro occhi mi sono resa conto che, alla fine, siamo tutti uguali, persi nel buio. Nei loro occhi ho visto riflessa la sofferenza, il dolore che stavano provando. Ho visto il mio riflesso.
E ho capito.
Il senso di vendetta che avevo provato fino a quel momento era evaporato lasciando solo un gran vuoto.
Non posso dire di non aver provato i miei trenta secondi di soddisfazione: mentirei.
Guardavo questo spettacolo orribile da lontano, tenendomi ben a distanza. Non mi sarei avvicinata sapendo che avrebbero consumato la mia luce fino a lasciarne solo una debole fiammella.
Non sarei tornata nel buio: fa freddo lì.
Consideratemi egoista, se volete.
Ho imparato a contare solo su me stessa e ora so che la mia luce sono io. Non un oggetto, non una persona.
Solo io.
Ho sconfitto la maledizione.
Ci sono persone che non sono fatte per essere come gli altri, non sono create per adattarsi a quello che accade loro attorno.
E allora se ne stanno da sole, gestendo la propria vita come meglio le aggrada e ribellandosi ad un destino che non è il loro.
Io sono una di queste persone.
L’ALTRA FACCIA DELLA LUNA
Raccolsi la posta da terra mentre mi toglievo la giacca e lanciavo le chiavi sul tavolo. Tra tutte le lettere spiccava quella di mia madre con il suo resoconto mensile. Un bollettino di pettegolezzi, in realtà, in cui mi informava di tutto quello che succedeva nel paese dove ero cresciuta. L’avrei guardata più tardi, decisi mentre la posavo sul tavolo e mi andavo a preparare una tisana calda.
Strinsi forte la tazza bollente tra le dita infreddolite e andai verso il divano su cui mi sedetti a gambe incrociate, sorseggiando il liquido bollente.
Fuori faceva freddo.
Nonostante vivessi da qualche anno a Londra non mi ero ancora del tutto abituata al rigido clima invernale.
Fortunatamente, la tisana parve fare il suo effetto e sentii un tiepido calore invadermi. Rimasi per un attimo immersa nel silenzio a fissare fuori dalla finestra le luci che illuminavano la città, poi tornai in cucina e fissai stancamente la posta ancora ammucchiata sul tavolo: la lettera di mia madre era in cima alla lista e pareva chiamarmi. Alla fine cedetti alla curiosità e la aprii. Subito, mi accorsi di un nome che spiccava su tutto il resto.
Angelo.
Il mio ex. Il motivo per il quale avevo lasciato l’Italia.
Iniziai a leggere e rimasi paralizzata per qualche istante a fissare la familiare grafia di mia madre.
Angelo si sarebbe sposato.
Il respiro si bloccò in gola per mezzo secondo e il cuore saltò un battito.
Avevo messo in gioco tutto per lui. Avevo perso.
Sentii l’impellente bisogno di scrivere, andai in camera e presi la mia vecchia carta da lettere: era ora di chiedere scusa al passato.
La penna iniziò a scorrere sulla carta, quasi avesse aspettato quell’occasione per lasciar fuoriuscire tutti i segreti che fino a quel momento avevo tenuti ben nascosti.
Sapevo a chi intestare quella lettera. Anche se erano anni che non vedevo Giulia, sentivo che lei, più di chiunque, meritava delle scuse.
Era stata la mia migliore amica, la sorella che non avevo mai avuto.
Eppure l’avevo persa.
A causa di Angelo le avevo tenuto nascoste molte cose, cose che ancora oggi non ho il coraggio di raccontare. Ma meritava quella lettera.
Cara Giulia,
prima di tutto ti devo delle scuse: ho lasciato andare alla deriva la nostra amicizia. Il tempo e la lontananza non sono mai stati una buona scusa, mi sono barricata dietro questa scusa per auto convincermi che non dipendeva da me. Non interamente almeno.
Nonostante l’affetto che ci legava, ti ho tenute nascoste molte cose. Non ne conosco il motivo. Forse temevo di essere giudicata, ma ora, sento il bisogno di rivelarti tutto, anche se potrebbe essere tardi.
È giunto il momento che tu conosca quel lato di me che nessuno ha mai visto. L’altra faccia della luna, così la definirei.
Avevi ragione su Angelo. Non era una bella persona, ora lo so. Mi ha usata a suo piacimento, tenendomi in pugno con vane promesse. Mi cercava e respingeva a suo piacimento. Ho conservato per anni il ricordo di quell’abbraccio, quella notte, quando mi strinse forte mentre piangevo, convincendomi che fosse dettato dall’amore. Fu forse l’unico gesto carino che fece nei miei confronti.
Ma mi ero solo illusa. Lo capii il giorno in cui partì senza nemmeno dirmi dove sarebbe andato. Non lo vidi più, ma conservai nel profondo la stupida speranza che sarebbe tornato e che mi avrebbe preso con sé per dare inizio alla nostra vita insieme.
Non tornò mai, ma io rimasi lì, imperterrita ad aspettarlo, barricata dentro un’illusione.
Ebbi le mie avventure ma, ora me ne rendo conto, cercavo solo uomini molto, troppo simili a lui.
E finivo sempre allo stesso modo: usata e scaricata come un sacco dell’immondizia.
Alla fine divenni dura, cattiva. Mi misi ad usare gli uomini come loro usavano me. Ero finalmente io quella più forte. Li usavo e li scaricavo prima che potessero farlo loro. Avevo finalmente il controllo.
Purtroppo, più diventavo forte, più tenevo a distanza tutti. E all’improvviso, trovai squallido tutto quello che era la mia vita fino a quel momento. Iniziai allora a tenere a distanza gli uomini.
Ma quella filosofia di vita mi piaceva a tal punto che inconsciamente l’applicai anche agli altri affetti della mia vita: gli amici. Iniziai a temere di essere tagliata fuori. Vedevo sguardi di disprezzo anche dove non c’erano, tentativi di evitarmi, quando non era affatto così.
Cambiavo compagnia come cambiavo vestiti. Appena mi rendevo conto che mi stavo affezionando troppo a qualcuno, sfoderavo quello che tu definisti più di una volta il mio cuore di pietra e li ferivo.
Così ne uscivo sempre io da vincitrice, a testa alta.
In fin dei conti facevo loro quello che, fino a quel momento, era stato fatto a me!
E, alla fine, sono riuscita ad allontanare anche te. Quando mi si è presentata l’occasione di partire e ricominciare una nuova vita a Londra, l’ho colta al volo e me ne sono andata senza mai voltarmi indietro. E come darmi torto? Non mi restava niente lì.
So che non ho il diritto, dopo quello che ti ho fatto, di chiedere il tuo perdono, ma voglio che tu sappia che non ho mai smesso di pensare a quanto ti ho ferita e a sentirmi male per questo.
Imbucai la lettera e, qualche giorno dopo partii. Sentivo il panico assalirmi, ma mi feci forza. Non tornavo a casa da quando ero partita ormai quasi cinque anni prima.
Fui sorpresa, mentre cercavo il viso familiare di mia madre, di trovare il volto sorridente di Giulia in mezzo alla folla.
Mi aspettava lì, in piedi, un sorriso ingenuo e un po’ triste.
Senza una parola, mi diressi verso di lei, ci abbracciammo.
«Tua madre mi ha detto che saresti tornata.» Mi disse.
«Non sei qui per la lettera?»
«Quale lettera?»
Era venuta solo per me.
Mi sentii sciogliere da un calore che giungeva dal profondo.
«Non importa.» Sorrisi tra le lacrime. «Andiamo.»
Ero pronta per iniziare a vivere.
A PROPOSITO DI LISA
La vigilia di Natale era iniziata come un giorno qualunque anche quell’anno.
Mi alzai stranamente di buon umore nonostante dovessi lavorare.
Ancora non sapevo che quella giornata così su di giri, sarebbe naufragata in un oceano gelido e maligno.
Mi preparai per andare al lavoro dopo pranzo sapendo che avrei incontrato quella che si professava la mia migliore amica per il solito caffè pre-lavoro.
Avevamo da poco discusso per alcune incomprensioni ma tutto era tornato in ordine e io e Lisa eravamo riuscite a ricostruire la nostra solida amicizia.
Almeno io la credevo tale.
Andammo a bere il caffè e ci scambiammo i regali di Natale, parlando dei rispettivi amori incompresi che in quel periodo ci tormentavano.
La sua storia era più recente, la mia un po’ più complicata: da due anni ero innamorata persa del mio amico Antonio e stavo lentamente facendo passi avanti. Avevo paura di perdere un’amicizia troppo importante se avessi agito troppo in fretta.
Lisa sapeva che, da qualche tempo mi ero lamentata del fatto che quando Antonio ci vedeva insieme, tutti gli anni di amicizia che ci legavano sparivano misteriosamente per scontrarsi contro il muro dell’invisibilità. Sì, perchè pareva esistere solo Lisa per lui. Ma lei aveva sempre negato ogni mia osservazione dicendo che era solo una mia impressione. E io me ne ero davvero convinta.
Fu questo il mio primo sbaglio.
Poco prima che iniziasse il mio turno di lavoro, Antonio passò per caso nel locale. Si sedette al tavolo con noi e ridemmo per qualche minuto poi io dovetti lasciarli.
Andai a lavorare convinta che nulla mi avrebbe rovinato la giornata. Invece mi sbagliavo.
Dopo qualche ora, li vidi entrare in negozio sorridenti.
Insieme.
Stavano tornando da un giro di compere. Almeno questo fu quello che Lisa, arrogantemente, mi comunicò con soddisfazione.
Nella mia mente rividi passare velocemente i due anni di amicizia che mi legavano ad Antonio e per l’ennesima volta mi accorsi che a lei era stato concesso qualcosa che a me era stato negato. Una fitta terribile, come se un pugnale avesse trafitto la mia carne, mi prese il petto. Mi mancò l’aria per qualche secondo e temetti di svenire.
In un secondo un gelido buio mi inghiottì.
Mi portai la mano alla testa e mi tolsi il cappello da Babbo Natale che portavo. Non avevo più voglia di festeggiare o di scherzare. Volevo solo potermi rinchiudere da qualche parte e sfogare tutte le mie lacrime.
Ma non mi era permesso nemmeno quello. Il negozio era pieno di clienti e io non potevo assentarmi. Così, dopo anni e anni di esperienza, ricorsi all’unica soluzione che mi era conosciuta.
Mi calai sul viso la maschera che da anni era diventata la mia salvezza: un sorriso falso stampato sulla bocca, una voce calma e tranquilla e nessun segno esteriore di quello che stavo provando.
Ma dentro stavo morendo.
Una mia cara amica decise in quel momento, come se avesse avvertito qualcosa, di passare dal negozio per farmi gli auguri. Sarah era l’unica persona che era riuscita a vedere oltre la mia maschera. Con lei non potevo fingere. Con lei, il mio sorriso era inutile.
Mi disse che in paese stava girando la voce di una presunta relazione tra Lisa e Antonio. Le confidai di aver già sentito quelle voci e di non averci dato peso ma, in quel momento me ne pentii.
«Ascolta.» Mi disse. «Io spero davvero per te che siano solo voci ma visto quanto spesso si sentono inizio a credere che un po’ di verità ci sia.»
«Io…» Mi bloccai. Nella mia mente comparve ben chiaro il viso di Carlo. Quello che fino a qualche mese prima era il mio migliore amico. Quello che Lisa era riuscita a portarmi via.
«Sarah! Tutto questo è già successo! Tutto questo l’ho già vissuto!»
Capì al volo a cosa mi riferivo.
L’anno prima, Lisa era riuscita a farmi allontanare dal mio migliore amico. Nessuno si era accorto di nulla fino a quando non ci trovammo a litigare in mezzo ad un parcheggio a causa delle sue macchinazioni.
Era riuscita a manovrarci come burattini senza che potessimo sospettare minimamente i suoi sotterfugi.
«E cosa intendi fare?»
«So già come andrà a finire. Riuscirà a portarmi via anche Antonio.»
«Hai davvero intenzione di farla vincere ancora? Sono mesi che stai male per il suo comportamento con Antonio. Sono mesi che sopporti tutto questo in silenzio. Davvero non vuoi combattere?»
«E a cosa servirebbe? Perderei comunque. È già successo. E succederà di nuovo.»
«Io so che non sei una codarda. So che quando agisci è perchè hai ben chiaro il tuo obiettivo. Ma questa volta è diverso. Hai agito a piccoli passi per avvicinarti ad Antonio, perchè avevi paura di rovinare l’amicizia che vi univa, ma se continui così la perderai comunque.»
«E cosa dovrei fare?»
«Questo puoi saperlo solo tu.»
In quel momento la carogna che c’è in me decise di fare capolino e la mia mente iniziava già ad elaborare un piano di vendetta degno della peggior strega malvagia delle favole che mi leggevano da bambina.
Eppure qualcosa mi frenava: se avessi agito, avrei perso Antonio.
Ma, d’altra parte, se non avessi fatto nulla lo avrei perso comunque.
Terminai il lavoro in un’altalena di pensieri. Saltavo dalla sete di vendetta, alla rassegnazione nel giro di qualche minuto.
Alla fine vinse la rassegnazione.
Avevo di nuovo permesso a Lisa di vincere.
Tornai a casa abbattuta e, mentre fumavo una sigaretta nel silenzio della notte, qualcosa scattò nella mia mente. Schiacciai il pacchetto vuoto nella mano destra e sorrisi maligna al buio.
«Io non mi arrendo, non questa volta. Sono una guerriera. Ed è ora che Lisa lo scopra.»
Avrei parlato con Antonio e avrei spiegato a lui ogni cosa. Non mi sarei più nascosta, non mi sarei più fatta da parte.
Se lui avesse capito le cose sarebbero andate a posto, se invece Antonio avesse frainteso l’avrei perso. Ma a quel punto non avevo più nulla da perdere.
Prima di tutto, però, avrei attuato la mia vendetta.
Accesi il computer e cercai i contatti dell’amore non corrisposto di Lisa. Lo contattai e stranamente ottenni subito la sua risposta. Era affermativa.
Pur di liberarsi dell’assillo di Lisa mi avrebbe aiutato nel mio piano.
Passarono le feste e io già pregustavo la mia vendetta e quando finalmente tornai al lavoro ero pronta a tutto.
Sicura che Lisa si sarebbe presentata al nostro appuntamento giornaliero del caffè pre-lavoro, detti appuntamento al mio complice mezz’ora prima.
Ci trovammo al solito bar e ci sedemmo al tavolo insieme organizzando nei dettagli il nostro piano.
Quando si avvicinò l’ora in cui solitamente ci incontravamo io e Lisa, iniziammo la nostra recita.
Lei arrivò, scese dall’auto e la scena che le si presentò davanti fu esattamente quella di una coppia di lunga data, felice, che si sta salutando dopo aver passato del tempo insieme.
«Vattene, prima che arrivi…se ti trova qui sarà un bel problema.» Gli stavo dicendo io, fingendo di non aver notato che lei fosse dietro di me.
«Per quanto ancora vuoi tenere nascosta la cosa?» Mi chiese lui.
«Ancora per poco, devo trovare il momento per dire a Lisa…»
E come nei migliori film che si rispettino lei a quel punto intervenne.
«Dirmi cosa?»
Io mi voltai fingendo una sorpresa e un’espressione colpevole.
«Io….ecco…»
«Io e Ivy stiamo insieme. Da mesi ormai.»
L’espressione che lessi sul viso di Lisa mi ripagò di ogni sofferenza che avevo provato fino a quel momento.
Lessi sul suo viso ogni minima emozione. Stava provando esattamente quello che avevo passato io qualche giorno prima.
«Come ci si sente, Lisa?» Le domandai. «A vedere la propria migliore amica che ti soffia da sotto il naso il ragazzo che ti piace e per cui stai male da mesi?» La mia soddisfazione divenne totale nel momento in cui la vidi impallidire.
«Non è bello vero? Ebbene tu, con me lo hai fatto due volte. Ho perdonato tutto di te, ma ora basta. Non voglio più vedere la tua faccia falsa. Hai finito di giocare con me. Mi trasferisco, vado a vivere con lui.»
Quella fu la mazzata finale. La vidi correre via in lacrime, distrutta dalle mie parole.
Non provai il minimo rimorso. Mi aveva trasformata in un mostro.
Ringraziai il mio complice e ci salutammo da buoni amici, quindi mandai un sms ad Antonio: dovevo sistemare le cose anche con lui. Gli chiesi di incontrarci per parlare appena fosse stato disponibile.
So bene che si dice che la vendetta non porta a nulla e, in effetti, io mi trasformai in un mostro insensibile e ferii profondamente Lisa, ma qualcosa scattò e decisi che dovevo cambiare la mia vita.
Cosa successe?
Prima di tutto, cancellai Lisa dalla mia vita e ripresi il controllo delle mie emozioni.
Di lì a pochi mesi partii e mi trasferii davvero, da sola, lontano da tutto ciò che era stato il mio mondo fino a quel momento.
Iniziai una nuova vita partendo da zero.
Rimasi in contatto con il mio complice, diventammo ottimi amici e tutt’ora ci divertiamo molto insieme soprattutto perchè Lisa non ci opprime più.
A proposito di Lisa, provò a rintracciarmi più volte, soprattutto perchè nella sua cecità non riusciva a capire per quale motivo io l’avessi allontanata dato che, a parer suo, lei non aveva sbagliato, ero stata io a rubarle il ragazzo. Si arrese quando mi trasferii perchè nessuno le diede informazioni su dove fossi. Ancora oggi si sta chiedendo cosa ha fatto di male.
Per quanto riguarda Antonio…..bè, quella è un’altra storia….