Il tempo sta fermando i miei passi

Una parentesi di tramonto,
rosso come le labbra gitane
s’accumula sopra scorci di mare
possesso egoista dell’onda.
Ali incaute di uccelli
combattono contro sogni di vetro
senza meta apparente
nella sera che incalza.
La nave del passato
profana il buio confine d’amarezza.
Nelle vene di sabbia
ieri scorreva il sapore della pelle
acre come il colore freddo della luna.
Il tempo sta fermando i miei passi.

 

 

 

Anche tu sei partito

Anche tu sei partito per l’ultimo viaggio che non conosce favori.
Una parte di me ti sarà accanto in quella valle di luce che ti ha indicato il destino, con un biglietto di sola andata.
Piove oggi, gocce sottili cadono apatiche a sfiorare le strade e mi scavano dentro.
Tu eri musica che scaturiva dalle dita sempre pronte a far vibrare una tastiera.
Gli amici disertavano quella topaia scura e le note, a volte lente come preghiere, disegnavano fonti di colore, dove il sole transitava di sbieco.
Ridevi spesso, quasi convulsamente, poi di scatto fuggiva il tuo pensiero.
In un tramonto che preannunciava gelo si diffuse nell’aria un brano sulla crocifissione.
Sopra la polvere di un povero tappeto consumato si elevava il dolore comprimendo l’aria.
Lunghi discorsi, consigli mai ascoltati e non capivi che lei ti stava già lasciando.
I nostri cappuccini, consumati al mattino, prima del lavoro.
Lo stesso bar, sempre le stesse facce, il giornale diviso in due, litigando contenti sulla politica, io da una parte, e tu dall’altra.
Il nostro rito per incontrarci e inaugurare il giorno; quando era il momento di pagare, mi fregavi sempre. Io mi arrabbiavo, tu rispondevi: “Tocca a me, perché io capisco di più…”. Ma era già pronta quella veloce carezza.
Ora sei lì, dove non so, e non voglio neanche immaginarlo, ma sono certa che lungo quella strada c’è una folla che ascolta i tuoi CD.
E’ come questa, piena di sogni e di dolore?

 

 

 

L’uomo delle orchidee

C’è una strada che s’inerpica verso il mio paese da tutti chiamata “strada nuova” perché costruita per ultima. Nelle giornate estive, quando il sole non ha fretta di coricarsi, la bellezza della campagna marchigiana si scompone in mille colori ed è magnifico tuffarsi in quell’armonia di marrone e verde.
Tu eri ancora un bambino, io avevo più anni di te e mi perdevo nelle prime storie d’amore. Eri un fratello più piccolo e ti comportavi come se lo fossi stato veramente.
Di notte, quando le stelle erano talmente fitte da far sembrare il cielo trasparente, mentre passeggiavo mano nella mano con il mio primo sospiro d’amore, ti vedevo sbucare dai posti più strani e scoppiavo a ridere perché l’espressione del tuo viso era così intensa da far pensare a un investigatore coinvolto nel più dannato caso di omicidio.
Gli anni passavano ma la strada nuova era sempre il punto più suggestivo del paese. Lo sguardo poteva scegliere: il cappello inondato di neve dal San Vicino, il fiume che serpeggiava nella Gola della Rossa, la valle dei faggi che d’autunno si colorava di rosso purpureo o il verde dei prati che in primavera si riempivano di margherite.
Tu non c’eri più, la tua vita, a disposizione degli altri, si consumava nel dolore che cercavi di esorcizzare, nel rumore della notte che scivolava sull’acqua delle risaie. Tu eri solo, fragile, esposto ma felice. Eri dove la gente muore per malattie semplici perché è impossibile l’accesso alle medicine, tu eri lì, con il tuo zaino in spalla, e giovi del sorriso dei bambini.
“possiamo sostituire il tradizionale albero con i piccoli profumati alberi di mandarini, così pure il presepio, basta andare in uno dei villaggi di queste montagne, dove i bambini nascono ancora nelle capanne. Questo non vuol dire che quaggiù non ci manca niente. Ci mancate voi…”
Così scrivevi in una delle tue ultime lettere.
“Il San Vicino ha il cappello, vedrai, nevicherà” dicevano i vecchietti.
La tua bara è tornata dal Vietnam e il San Vicino aveva il cappello, ma la neve non è scesa.
Il piccolo cimitero è sempre lo stesso; Luigino, il custode un pò strampalato, mi sorride con l’unico dente rimasto.
Quattro anni sono trascorsi, ma le orchidee che ti ho regalato quel giorno sono ancora li, vive, in una stupenda fioritura.
Mi dicevi: ” Le orchidee sono come l’amicizia, se ci credi, non muoiono mai”.
Tra le mie mani un’altra orchidea nel tragitto di un’eterna amicizia.
Nella chiesetta annebbiata da fiati e candele un sax intona My Way  per un uomo che ha saputo volare sopra le sue frontiere.