Il cane arrabbiato

C’era una volta, non molto tempo fa, un piccolo paesino sperso tra due grandi città. Era un paese molto piccolo, ma nonostante questo c’era tutto quello di cui le persone avevano bisogno: i negozi, i bar, le scuole, la stazione ferroviaria e la maggior parte delle case erano tutte molto basse, tutte fatte per bene, dipinte con dei bei colori, i tetti rossi, le tende alle fine-stre, il giardino attorno ben tenuto e la gente del luogo era simpatica ed ospitale. Tutte le casette erano tenute bene abbiamo detto, ma ce n’era sol-tanto una che non era così bella come le altre. Era stata abitata tanto tempo prima da un signore anziano, molto ben voluto da tutti e conosciuto perché aveva a cuore gli animali. Aveva moltissimi gatti, di ogni colore e razza e anche tanti cani, che lui stesso raccoglieva per strada, se li vedeva vaga-bondare per il paese o quando magari i loro padroni non potevano tenerli con loro. Questo signore aveva un così grande amore per questi animali che avrebbe voluto salvarli tutti, o almeno il più possibile. Ma con l’andare del tempo il povero vecchietto prese a vederci meno, ed arrivò ad un certo pun-to che non poté più accudire tutti i cani e i gatti che aveva adottato. Così il vecchietto, ogni volta che qualcuno lo andava a trovare, perché era molto amato, dava in regalo uno dei suoi cuccioli dicendo:
“Io sono troppo vecchio ormai per accudire tutti i miei piccoli amici;
ecco, prendetene uno e amatelo come lo ho amato io!”
E così, il vecchietto riuscì a far adottare tutti i suoi amati cuccioli dalla gen-te del paese, sia gatti, sia cani, sapendo che li avrebbero trattati bene. Gli era rimasto un solo cane, che non era riuscito a regalare a nessuno. Questo piccolo cane era tutto rossiccio con un bel pelo lungo, il muso nero, gli oc-chi vispi e le orecchie dritte. Era un piccolo cagnolino che era nato senza coda, ma tra tutti quelli che aveva il vecchietto era il più vivace. Ormai nel-la casetta, l’anziano signore rimaneva solo col suo piccolo amico e questi gli faceva compagnia abbaiando, rotolandosi per terra, facendosi coccolare e saltando a destra e a sinistra. Quel cagnolino ormai gli era molto affezio-nato e lo seguiva ovunque lui andasse. Certe sere, quando stava seduto in poltrona, dopo cena, il vecchietto lo guardava con affetto e poi lo accarez-zava sulla testa e il cagnolino socchiudeva gli occhi, felice.
“Piccolo mio, sei rimasto solo tu. Gli altri tuoi amici sono andati via
e sono di sicuro amati nelle loro case. Quando non ci sarò più io, a te chi ti amerà?”
Purtroppo un giorno l’anziano, durante il sonno, venne portato in Cielo da un Angelo di Dio. Il cagnolino rimase quindi da solo. Se prima era allegro e giocava sempre, dopo divenne tristissimo e rimase per più di un mese accucciato su sé stesso, quasi senza mangiare. Gli abitanti del paese sapevano che era fine aveva fatto l’ultimo cucciolo del vecchietto, ma nessuno lo vol-le prendere con sé: o perché avevano già un cane o un gatto, o perché la lo-ro casa era troppo piccola. Così il povero cane rimase da solo e mangiava ogni tanto grazie ad alcune brave persone che, passando di là, gli gettavano qualche boccone di pane. Ma il cane non poteva aprirsi da solo il cancello e non poteva uscire dal giardino della casa del vecchietto perché questa era circondata da un alto steccato e all’ingresso il cancello era di ferro aveva le sbarre troppo strette per poterci passare in mezzo. Triste e malinconico, ogni sera abbaiava disperato, ma così forte da svegliare tutte le persone nel-le case vicine. Dopo un po’ di tempo, dato che nessuno riusciva a dormire, alcune persone iniziarono a tirare al cane diversi oggetti per farlo stare zitto e ogni tanto il poverino finiva per prendere qualche brutta botta. Così, oltre che solo e abbandonato, divenne anche arrabbiato.
Pochi metri più in là si trovava anche una scuola elementare e tutti i bam-bini del paese andavano lì per studiare. Una volta usciti, mentre ritornavano alle loro case, i bambini passavano sempre vicino alla casetta che era stata del vecchietto e dove ora abitava solo il cane. Quando il povero animale sentiva il vociare dei bambini, avrebbe voluto andare a giocare con loro o farsi coccolare, ma non poteva uscire. Allora andava vicino al cancello ma riusciva soltanto a far spuntare il muso tutto nero fuori dalle sbarre. E que-sto succedeva ogni volta che i bambini passavano al mattino per andare a scuola, e ogni volta che ritornavano a casa: il cane li guardava e spinto dal-la voglia di giocare con loro, abbaiava. Ma i bimbi anzi che avvicinarsi per stare insieme a lui, si spaventavano per tutto il chiasso che faceva e scap-pavano via.
“Via brutto cane!!”
“Ci vuole mordere!!” dicevano alcuni e tutti allora lo maltrattarono;si
mettevano a piangere, correvano via e il cane, vedendo questo, si rattristava ancora di più e sempre di più guaiva e abbaiava. Un giorno, al colmo della disperazione, alcune persone che abitavano vicino alla casetta, chiesero l’intervento del canile, che dopo qualche giorno mandò un signore a pren-dere il cane, perché smettesse di dare fastidio.
Sentendo arrivare qualcuno, il cane iniziò subito ad abbaiare e ad affacciar-si alle sbarre. Vedendo quell’uomo che aveva un sacco per le mani, ebbe paura e si mise a ringhiare. Qualcuno da una finestra urlò:
“Mettetelo in un sacco e portatelo via!”
“Sì, sì, potremo dormire finalmente!”
“Spaventa i nostri bambini!!!”
E molte altre furono le persone che volevano che il cane venisse portato via perché non sapevano, in realtà, che il povero cucciolo voleva solo qualcuno che lo prendesse con sé, in modo da non stare più da solo. Ma l’uomo del canile tentò in tutti i modi di prenderlo. Provò persino a scavalcare il can-cello, senza riuscirci. Proprio in quel momento uscirono i bambini da scuola e nel mentre che andavano ognuno a casa loro, passarono davanti alla ca-sa del cane arrabbiato, dove l’uomo del canile stava tentando di entrare. Al-la vista del cane che abbaiava, i bambini si impaurirono, così come si spa-ventarono anche le persone affacciate alle finestre che gridarono:
“Andate via bambini! Se no il cane vi morde!”
Quando il cagnolino sentì tutto quel vociare, all’improvviso, invece di ab-baiare ancora più forte, si rattristò e se ne restò buono e quieto col muso in mezzo alle sbarre del cancello. L’uomo del canile ne approfittò per cercare di prenderlo per la testa e farlo passare attraverso le sbarre, ma così facendo gli fece male al collo e lo fece guaire. I bambini stavano già quasi correndo per tornare a casa, quando sentendo il cane fare quel verso tornarono indie-tro, curiosi di sapere cosa stesse accadendo e videro l’uomo del canile che tentava con la forza di portarsi via il povero animale. Ad uno ad uno, i bambini si dispiacquero nel vedere la scena, perché avevano visto la tri-stezza del cane che non voleva essere preso con la forza ed essere portato via. Si avvicinarono quindi tutti quanti vicino al cancello, mentre l’uomo del canile gridava:
“Andate via bambini, se no vi morde questa bestiaccia! Adesso lo
prendo e me lo porto via al canile, così non disturberà più nessuno!”
“Poverino!!”, disse qualcuno.
“Ma gli sta facendo male!” , disse un altro bambino.
Uno per uno tutti i bambini cominciarono a pensare che se fosse stato dav-vero cattivo quel cane avrebbe dovuto mordere l’uomo del canile, invece no: continuava a guaire, a lamentarsi e quasi sembrava che i suoi occhi piangessero.
“Lascialo stare dai!”
“Sì, sì. Sentilo come piange!”
Distratto dai bambini che si erano radunati attorno a lui, e che insistevano perché lasciasse stare il cane, la presa dell’uomo del canile si allentò un at-timo e il cucciolo riuscì a liberarsi. Mogio mogio, con le orecchie basse e il muso che gli faceva male se ne andò via per entrare in casa. Mentre zam-pettava i bambini cominciarono a chiamarlo a gran voce:
“Ehi vieni qui!”
“Hai paura? Su vieni!”
“Ti sei fatto male?”
Il cagnolino si fermò e guardò i bambini che erano tutti contro il cancello e che avevano infilato le braccine attraverso le sbarre. Piano piano, il cagno-lino avanzò fino alla sbarre del cancello, mentre gli adulti affacciati dalle finestre e l’uomo del canile iniziarono a preoccuparsi, perché temevano che il cane avesse potuto mordere. Invece, con grande sorpresa degli adulti, il cagnolino sporse il muso attraverso le sbarre e un paio di bambini gli acca-rezzarono la testa. Qualcun altro invece gli offrì un pezzo di un dolce che mangiò con gusto. Molto grato per quel gesto, il cane leccò la mano di uno dei bambini e si fece accarezzare da tutti gli altri che, man mano, vincendo la paura, si erano fatti avanti per toccarlo. Il cagnolino era nuovamente feli-ce che qualcuno, finalmente, gli volesse bene. Alla fine anche gli adulti del paese si accorsero che quel piccolo cucciolo era bravo e addirittura l’uomo del canile, si commosse nel vedere il cane e i bambini così felici insieme e, dopo essere riuscito ad aprire il cancello, fece entrare a giocare tutti i bam-bini nel giardino che era stato del vecchietto. Ma ancora nessuno si era pre-so la briga di adottare il cagnolino, che rischiava di rimanere solo e triste tutto il giorno perché i bambini poi sarebbero andati a casa il pomeriggio e al mattino a scuola.
“ Va bene: stavo per fare una cosa sbagliata. Ma ora voglio rimedia-re. E so come poterlo fare.”
Dicendo così l’uomo del canile lo prese con sé e lo portò a casa propria, promettendo a tutti i bambini che ogni domenica avrebbe accolto tutti e avrebbe concesso loro di divertirsi ancora con il cagnolino, che venne bat-tezzato Freccia, perché correva veloce e alla fine trovò una vera casa e tan-ti nuovi amici e per tanti anni a venire avrebbe fatto la felicità dei bambini.

FINE