Poesie
Mezzogiorno
Spazio alla meraviglia
in quest’ora dalla bellezza languida
come balsamo giunge l’alito
di un vento remoto
Sotto il raggio cocente
fermo è l’ignoto tempo
che non è più ieri
e non è più oggi
ma solo l’attimo eterno
che non ha nome
Il mezzogiorno dell’universo
il rintocco dell’ora
nell’eco del passo incerto
dell’Ebreo errante
quando forse ancora c’è un dio
che ha pietà per ogni miseria
o un demone che beffardo
illude un gregge demente
sul suo destino!
Rosso
Rosso
Rosso è il colore del mio sangue
E del tuo
Rosso
rosso è la macchia che galleggia
rosso è il tuo abisso di speranze
la bambola abbandonata
che non è più carne
l’onda che inghiotte
risucchia deglutisce…e poi rigurgita
è il mostro ignaro e senza colpe
Rosso
rosso è l’odio
che acceca e uccide
che sa
ma non vuol sapere
ragioni
e di rosso avvampa il viso
mentre vomita la sua
ragione
Rosso
rosso è il mio dolore
inutile
meschino, vano, impotente!
Rosso è il tuo dolore
profondo
e inaccessibile
tremenda
insostenibile verità
orrido specchio
tranello sulla corda
il baratro della scelta:
La bestia oppure l’uomo?
Di notte
Il gelsomino azzurro ha timidi colori
mentre si crogiola di voluttà
alla brezza della sera
Ha l’essenza del loto
la notte
quando apre spiragli di luce
quando invoca braccia
quando si parla in silenzio
e si pensa ad alta voce
Si grida finalmente
Dimentichi
di quello che siamo
e che vogliamo essere
Solo la luna sgrana
i crateri asciutti dei suoi occhi
Se potesse anche lei piangerebbe
per amore
Se potessi farei ogni notte lo stesso sogno
E a ogni alba lo nasconderei al mondo
lo terrei solo per me
celato e ascoso
Il bimbo e la luna
Un bimbo piccolo e biondo una notte era nel suo lettino, sotto la trapunta pezzata a colori sgargianti come i fiori dei prati, l’azzurro del cielo e il giallo del sole. Si girava e rigirava e non riusciva a dormire. Dalla finestra entrava un nastro di luce argentata. Allora il bimbo, piccolo e biondo, andò alla finestra per guardare là fuori. Aperta l’imposta vide nel cielo la luna rotonda e brillante, guardandola bene gli parve di scorgere un viso. D’un tratto quella, vezzosa e beffarda, gli abbozzò un occhiolino. Il bimbo, piccolo e biondo, si stropicciò gli occhi e la luna sorridendo gli disse -Son tanto sola, vini a farmi un po’ compagnia!-
-Come faccio ad arrivare lassù?- le rispose il piccino . Con un raggio più intenso quella gli lanciò una scala di luce. Il bimbo salì ma era ormai l’alba. La luna lo inghiottì e scomparve.
Disperata la mamma per 5 giorni pianse e chiamò invano il suo figlioletto . Poi una sera, dal quarto di luna lo scorse lassù, dalla culla lucente, scivolando leggero fece ritorno quaggiù. La luna dal cielo, con mezzo occhiolino, disse vezzosa- Ero di quinta e stavo da sola, come pancia di mamma senza il suo bimbo, ora sono di quarta e ti ridò il tuo piccino che ho solo cullato per un sonnellino!
L’odore del sale
In questo crepuscolo senza nome
cerco parole che non so trovare
di percorrere distanze che non conosco
Forse ha l’odore del sale e dell’alga verde
l’alito del mare, l’onda di topazio che sussurra e narra
del fuoco oscuro, sopito là nella caldera fonda,
prigioniero dell’ombra di metallo
Mentre la mia mano approccia
una carezza di riscatto
sul timido verdeazzurro dei suoi occhi
ignorando il molesto vuoto a perdere degli anni.
Il sentiero delle foglie di luna
Cantano al vento le vestali
di una memoria spoglia
nuda, ormai inerme
Attendo l’abbaiare lontano
del cane perduto nel buio
la guida che mi riporti a casa
al sentiero tra le foglie di luna
accartocciate nella notte ignara
tra le tele di ragno
Si snodano frenetiche processioni
lunghe di termiti mai stanche
Invano operose, intente
a porre fine all’indomabile Caos
sotto un instabile, ignoto cielo di sabbia!
Sono nata dal vento
Nata dal vento e dal sale
ho dispiegato e ammainato vele
spezzato il canapo alle sartie tessute
con fibra di nuvole bianche per spiccare voli
Ho affondato radici nella terra
umida e fertile della mia mente
seminando e arando giorni, mesi, anni
Guardando lontano ho inciampato
nelle distonie del cuore
in questo vento chiaro
dal cipiglio azzurro e freddo
ferma ad un semaforo rosso
ho atteso il verde
dell’imminente stagione nuova
Darò riposo alle mie gambe stanche
Cammineranno ancora, più lentamente
seguiranno gli occhi protesi
sull’ultimo orizzonte di mare
là dove si scioglie ogni tempesta
là dove squarcia il petto il cielo
mostrando la sua anima di fuoco
Attesa e volo
Il pino lontano non batte ciglio
su queste assenze mute
come fiori senza nome
Il tonfo giallo dell’arancia
sull’inverno che va passando
batte il tempo a colpi lenti
Non ci sono mani, non ci sono madri
a dar riposo al banale sfinimento
di gesti disattesi e stanchi
per l’ultima metamorfosi che non spiega ali
Solo nella mente vola una farfalla
spaurita e fragile
nella sua prigione di vetro
ancora sogna il mondo e tace
e ponti di indaco e d’azzurro
che portano là
chissà dove! E quando quel dove
avrà un suo nome!