Dalla raccolta: “Passando per Conegliano”

A MIA MADRE

Fuori è ancora buio e dentro
il camino (o il tuo sorriso) illumina la stanza:
un fil di neve ancora separa marzo dalla primavera.
Al nuovo giorno quanto manca?
Tanto, poco, una notte intera…
E nella breve attesa, allora,
vieni bambina a giocar con noi di danza,
sali sul vascello di carton pressato
che, come nel sogno, ci porterà via.
Poi, vedi, l’alba riga il monte e,
all’improvviso, appare la corriera, sulla cresta
a disegnare il colle e giù, giù per il crinale,
come se fosse di colpo festa,
un brivido scorre come goccia di rugiada,
a bagnar la schiena, aurora boreale,
come in un agguato, con la luna piena:
guizza, scivola, scompare, fin quando sbuca
dove la strada curva, attonita, imperiale
“ani-ani-ani-ani!!!” grida impazzita come un tonfo al cuore.
“Ani-ani-ani-ani, con lei si va via di qua!”
E tu bambina sei salita con il cuore in gola,
pronta, insieme agli altri, ad emigrare,
con i tuoi pensieri rivolti altrove,
e nella mente un moto di riscossa
soffocato, a un poi, destino ignoto,
ti sei gettata, senza fare un fiato, nella fossa
di un domani, senza braccia, senza un dove
e “ani-ani-ani-ani” dietro una polvere bianca sei sparita,
come tra quelle nuvole in frammenti,
portando con te quel sorriso lieve,
quel canto nella stanza, nella tua vita,
carico di magica fragranza e,
in quella interminabile ora, rammenti?
Un fiocco di neve ancora.


Dalla raccolta: “In concerto”

L’UOMO DI STRADA

(dedicata a mio padre)

L’uomo di strada, dallo sguardo tenero e profondo,
di segrete cure mi parlava. Non capivo e quello mi spiegava
di un azzurro nuovo: il mondo (una linea, sì,
una linea eterna, come il tempo).
Ma non era morta in una stanza, lucida di pianto,
confusa al conversare antico? Un gesto, io ricordo,
come brusio di polvere. Un grido!
Bastava rivedere quella linea accorta color del cielo,
pareva piuttosto un aquilone. No, non capisco affatto!
L’uomo di strada, che mi era familiare, nell’atto buio
di voltare pagina di un libro, divenne una traccia scura,
un volto sconosciuto, il padre, forse,
che non ho mai avuto…
Ho seguito allora una linea immaginaria tra i bidoni
davanti alle taverne, nei cantieri sotto la calcina
o la mattina presto,
davanti alla sua modesta casa d’operaio.
Confinato, m’han detto, prigioniero, fuoriscena, esiliato!
L’uomo di strada, dallo sguardo tenero e profondo
l’ho trovato in un circo di periferia – È una linea vuota –
mi ha detto ancora. Non capisco…
E lui spiegava –Vedi? Il mondo
è un canto ripetuto che ha il ritmo fisso
di una minuscola gigantesca ruota –.


ALPAZZO ORIZZONTE

Ho sognato la notte,
il suo volto di amante capricciosa,
racchiuso nel cuore mio fanciullo.
Il vento che l’ha scossa ha riso
tra le cortecce di un albero tremante.
Neppure la luna ha parlato
di nubi. Neppure uno strazio
per l’aria, un appiglio.
Al pazzo orizzonte ho volto gli occhi,
teneri sguardi al ruvido andare:
rugiade e silenzi per chi vi ho incontrato.
E la mente ha cercato
i suoi giovani amanti
dietro le righe di quanto non detto,
eccitata da tanti pensieri:
la bruma nascosta, il grano che dorme,
l’una che respira nell’altro
l’odor della notte.
Al pazzo orizzonte che amo,
al fragile araldo di stelle,
io canto battuto dal vento che ride
una brezza di lacrime nere,
io canto un amor che mi preme
e chi sente e m’ascolta
dice che pazza è la notte
e scompare.