Alla notte

Roma, 22 marzo

Il velo della notte su noi scende,
cheti obliando il giorno inquieto, e l’acre
tempo in un fermo istante si distende
di lunghe ore – il tempo immobile – e sacre.

Religioso il silenzio, la quïete,
il mio pensiero, posto in alte cose
ed immortali da fatale sete
che innata in noi la prima sera pose.

Ma questa ultima notte tiene ancora
accesa l’antica fiamma; si strugge
chi vita cerca in quella, e si addolora:
compromesso il silenzio, il senno fugge.

Oh Dio, che sei nei cieli, chi Ti asconde?
qui tenebroso, senza luce il gelo
regna e il buio. Confine tra due sponde
diseguali, sei tu notturno velo?

Immensa, desolata è la distesa
umana, anelante alla linfa viva
di cui mancante è questa terra, offesa
dallo sguardo cieco dell’altra riva.

Sono Io che parlo? No, il Mio dire è spento
da necessità. Lo spirito abbaglio
da Me a Me volto in molle culla, e sento
di luce e vedo in cielo uno spiraglio.


Antiche divinità

Arcipelago della Maddalena, gita in barca, 13 agosto

Vedo gli antichi Dei di pietra
gravosi sotto il caldo tremolo
d’estate – ne geme l’acqua,
l’aria leggera –
impetrati dal tempo,
anzi tempo:
le rocciose cascate
di scogliera.

Tace il divenire al lor cospetto
e il mio sguardo.
D’altra immagine
sublime gode il cuore, e l’anima
di nuova condizione,
men gravida sotto il caldo
tepore estivo.

Di riverito timore vivo
in loro essenza
e muoio in me stesso.


Uomo sul treno

Roma, venerdì 17 gennaio 2014.
Sul tram di ritorno diretto a Piazza Venezia.
Ore 17:50.

Tra gli sguardi scomposti e indifferenti delle persone giudico e non son giudicato; negli occhi di tutti vedo riflesse le maniglie, le porte, le sedie del treno. Solo uno sguardo è estraneo all’aria anonima del luogo: vago del mio, il mio fa schivo. Sì che se io son rivolto a lui, lui si rigira, e viceversa, in un gioco di sguardi, in uno scontro di anime tale che se una si impone, l’altra si scherma dal giudizio altrui. Sol quando i due sguardi si incontrano entrambe tremano e fremono nel loro contrasto ontologico: la mia fugge, l’altra si turba.
Istanti di solitudine …
Il treno va. Arriva all’imbocco del ponte sul Tevere, lo attraversa. Le menti vuote delle persone sembrano ora riempirsi solo del moto dei flutti e delle onde. Alla fermata l’attenzione ricade all’interno del mezzo. L’uomo conosciuto si alza, fa per scendere; ma no: si risiede, e in quell’atto emette suoni simili a parole di una lingua sconosciuta, più acuti; guarda fuori dal vetro, guarda me, di nuovo fuori, fa smorfie col viso, goffi movimenti col corpo e … mio Dio, la sua è pazzia! Ma sì, pazzia! Veramente il mio sguardo lo oltrepassa, egli non sa di essere nelle menti di tutti, giudicato, osservato: ed egli è pazzo? Il suo sguardo mi fora gli occhi: ed egli è pazzo? Quel moto di inchiesta che credevo di leggergli negli occhi mi si rivela il sintomo di una indifferenza irrazionale, sfogo di movimenti imprevedibili, incontrollabili della sua anima. Nei giorni che verranno egli continuerà la sua vita, salirà di nuovo qui su questo treno, starà in mezzo alle persone, nel mondo le cui immagini scivoleranno come vapore leggero sulla sua persona, senza fissarsi, senza imprimersi con forza, su di lui che tanto si impone con la sua presenza nelle menti di noi savi.
Si scende. E’ buio fuori: tutte le cose vanno a creare un miscuglio caotico di forme che lascia ingombro e vuoto l’intelletto di quell’uomo: vedo costui levarsi inafferrabile a fianco dell’imponenza del Vittoriano e della perduta Roma.
Scompare dalla mia vista. In me sola arde la presenza di lui.
Mi incammino verso casa.