Notte di vento

Urla il vento
nel camino ormai spento,
il suo fischio mette sgomento.

Nella notte buia come il nulla
non c’è nessuno a farmi da culla:
le tue labbra inghiottite dal nulla.

Annegati i tuoi grandi occhi,
che gennaio mi ha portato tra neve e fiocchi …
Ora il vento borbotta nei chioschi.

Sotto l’uscio odo il suo lamento
anch’egli non sembra contento,
poi tace nel suo intento.

A lui stanotte lascio un messaggio,
spero che giunga sul tuo passaggio,
il mio cuore di morte ha un presagio.

Oh vento vola da lei, fa che torni tutto com’era,
quando non conoscevo la sua bionda criniera,
che non ho più visto, sul far della sera.


Temporale estivo

Tutto tace d’intorno nel meriggio,
s’accendono le luci sui cigli delle strade:
ecco la pioggia, lenta, tacita.
Accarezza le cose in preda all’inerzia,
ridona loro il colore, che il sole ha
sbiadito durante le sue lunghe ore.

Tra le fronde sbuca la gatta col suo cucciolo,
dal fragore del tuono lo protegge,
come suol fare una madre.
In su la soglia della porta si ferma:
come una mendica mi chiede di entrare,
apparecchia un angolo, poi, dove
adagia il piccolo, così innocente,
ignaro di ogni male.

Ora la pioggia batte più forte:
percuote il ciliegio, i tetti e le grondaie;
avanza da ponente, vien giù a rovesci.
Anche il gallo s’affretta a rientrare
nella sua dimora, mentre i bagliori
dei lampi accendono spie di luce
sull’orizzonte lugubre, di là dal fiume.

Tutto sprofonda come nell’oblio
di un prematuro letargo:
i campi, le spighe, i piccoli abitanti
del terreno e la voce grave del contadino,
sepolta dalla fiumana delle cose.

Oh infinita estate, tempo di vita,
di pienezza, stagione delle
speranze per i poeti, pervieni
ora a me con una voce di tomba.
Provo ancora invano a parlarti,
come facevo da bambino
(al tempo in cui tenevi
fede alle dolci promesse)
ma non più mi ascolti ormai
ed altro non resta che la memoria
e il desiderio di una comunione
ancora lungi dal realizzarsi.

Si placa, a poco a poco, l’ira della pioggia,
il cucciolo dorme beato …
protetto.


Meriggio di fine agosto

È questo un pomeriggio di fine agosto,
dietro di me c’è la San Mauro afosa.
La lieve brezza scuote le spighe,
che danzano in riga nei campi
in un moto lento a mezz’aria.
Il sole picchia sul suolo grigio,
stridula nell’orto il cancello
e al canto di un gallo
un altro risponde dall’aia lontana.

Il vecchio nei campi dice
che oggi i gradi son quaranta
e felice guarda la semina
pian piano dare i suoi frutti.
In cuor suo già pensa a quel giorno,
nella prima frescura di settembre,
in cui imbastirà il carro per il mercato.
Aspetta quel vento che reca con sé
l’odor del buon vino, il suo vino,
che lo rende forte e felice.

Anch’io t’aspetto o’ dolce vento,
carico di vita, di luce dell’est;
aspetto intrepido che torna
a trovarmi, quando le ali
del falco si dispiegano sui vermigli
campi dipinti dall’autunno.
Voglio udir la tua voce soave, che
oltre quel colle non è più arrivata:
l’inverno freddo, la neve,
hanno bruciato il mio cuore.