Il cameo della granduchessa

Nel maggio del 1999 ebbe inizio la storia che non senza remore m’appresto a
raccontare e della memoria di quei giorni vissuti in una Firenze calda, assonnata, brulicante di anime venute a render omaggio alla storia, voglio far partecipe chi questo manoscritto leggerà.
Il mistero della granduchessa Maria Alexandrova ancor s’affaccia nel mio intelletto e esso tutto lo pervade con nere note che lo spartito della esistenza fa risuonare nelle stanze buie e vuote
che della mia vita sono pregiata dimora.
In quell’anno avevo casa a Firenze in una strada che sbucava in piazza san Jacopino , slargo piccolo ma circondato da una moltitudine di negozietti che su di esso s’affacciavano e gli conferivano quel tono tipico delle città italiane di quel periodo; si notava in special modo
un rigattiere , un modesto negozio di generi alimentari, una piccola macelleria, una banca
qualche negozio d’abbigliamento e una pizzeria con a fianco una bella pasticceria che a dire il vero era la cosa che di più mi interessava vista la mia provata golosità.
Non avevo molto da lamentarmi a vivere lì ,vi era tutto lo stretto necessario per non andar troppo in giro per compere.
In maggio, come spesso ero solito fare, gironzolavo per bancarelle e oggetti usati fra le vie della città quando per caso uscendo dalla chiesa di Santa Croce notai una di queste che vendeva libri
usati, mi avvicinai e fra i tanti esposti ne acquistai uno con una vecchia copertina di pelle rossa
alquanto malmesso ma ancora leggibile.
Sul fronte il titolo cosi diceva: “ Astri del cielo”
Contento del mio acquisto, essendo io appassionato di quella materia, avvolsi il libro in un foglio di carta lo misi sotto il braccio sinistro e avendo un po tempo a disposizione presi a gironzolare per le viuzze di Firenze fino all’imbrunire.
Stanco per la calda giornata e ansioso di dare un occhiata al mio libro presi al volo l’autobus n 6 che fermava in via dell’agnolo e portava diretto in piazza san Jacopino.
Giunto a destinazione, sempre tenendo ben stretto il libro sotto il braccio, scesi con premura dal mezzo, saltando quasi addosso ad un tale vestito di nero con una tuba scura in testa, che sembrava venir fuori da un altro secolo e con dei grandi baffi che gli incorniciavano le labbra.
Messo il piede sul terreno voltai lo sguardo verso quella persona accorgendomi che mi osservava
in maniera alquanto insistente e prima che l’autobus ripartisse feci in tempo a chiedergli scusa d’averlo spintonato, mi rispose con un cenno della testa e un sorriso appena accennato.
Con passo veloce mi incamminai verso una palazzina al n 40 della via, quella era la mia dimora.
Un grande androne dava accesso ad un lungo corridoio alla fine del quale vi erano le scale
che portavano su, il mio appartamento si trovava al secondo piano interno c n 10.
Entrato in casa, posai il libro sul comodino di fianco al mio letto, mi spogliai e andai a fare un doccia fresca per scrollarmi di dosso la calura e quell’odore acre di smog che purtroppo
passeggiando nel centro della città avevo accumulato sui vestiti e che stagnava come una pozza
d’acqua nel mio naso.
Infilato un comodo pigiama ,dopo aver frettolosamente mangiato una schiacciatina con dentro
dell’ottimo prosciutto, alzai le tapparelle della camera ,sperando in una improbabile frescura
serale, mi sdraiai sul letto e cominciai a svolgere le pagine del libro per controllare il suo stato di conservazione , sulla prima pagina infatti si notava la data 1845 e il titolo che era: saggio di
astronomia e calendario della fasi lunari, con la firma in calce: George Brinstone,
ordinario della cattedra di geografia astronomica all’università di Firenze .
Mi accorsi immediatamente che esso era in buone condizioni tranne la pagina n 40 che
aveva uno spessore maggiore rispetto alle altre, la presi fra due dita e sotto i polpastrelli
notai una piccola rientranza con stupore capii immediatamente che erano due pagine incollate
tra di loro con una maestria straordinaria e che avevo visto ciò solo perché il tempo aveva
seccato la colla che le univa.
Presi allora , con le mani ancora sudate per l’emozione, una piccola candela, la accesi ,
con un fiammifero intriso d’umidità ma con lo zolfo che ancor fece il suo dovere e
vi misi su, tenendole ad una certa distanza per non bruciarle , la due pagine distanziandole dal resto del libro; come per incanto la vecchia colla si riscaldò consentendomi di staccarle l’una dall’altra senza stracciarle .
Lo stupore continuò a pervadermi quando dall’aprirsi di esse per terra cadde un piccolo foglio
ingiallito che raccolsi con delicatezza e adagiai su un vassoio d’acciaio.
Poggiato sul comodino il libro, che aveva per il momento un valore relativo per me, concentrai
la mia attenzione su quel foglietto che aveva tutte le caratteristiche di un vero e proprio manoscritto.
La prima cosa che feci fu quella di prendere una lente di ingrandimento poi con calma sotto la luce di una abatjour iniziai a leggere. La scrittura era ancora decifrabile e si notava una certa eleganza del tratto.
Ciò che io lessi quella sera ora vi riporto fedelmente:
Addì 10 maggio 1849
Io granduchessa Maria Alexdrandova nell’ora dei miei 40
che dal destin sottrarmi non posso, dell’ amor mio
strappata a forti ardimenti consegno l’anima e questi
scritti a chi nel tempo a divenire buon pro ne farà:

Al quarto di luna volgi lo sguardo
sul tramonto posa la mano
150 saranno il traguardo
a te la lancetta svelerà l’arcano
sotto il cerchio delle cinque ore
del gioiel mondano
l’effige posa sollievo sarà del mio dolore
e il decimo non aprirà invano

Vi confesso che poco o nulla mi venne in mente e affranto dalla mia incapacità di trovare una
soluzione a quello indovinello decisi che era meglio andar a dormire , l’indomani con l’animo
spoglio delle emozioni di quella giornata avrei provato a venir a capo dell’enigma.
Purtroppo la mia aspirazione fu disattesa e avendo dormito poco o nulla alle sei
del mattino mi alzai, mi vestii di fretta e dopo una colazione abbondante, l’appetito era l’unica cosa che non mi mancava , cercai di capir qualcosa di quel manoscritto.
Innanzitutto lo copiai su un foglio strappato da un vecchio quaderno di scuola, non avevo certo intenzione di rimetterci la vista nel leggere quei caratteri così piccoli, poi mi sedetti su una comoda
poltrona che tempo prima avevo acquistato dal rigattiere in piazza san Jacopino e con calma lessi lo scritto.
Ancora una volta devo ammettere che l’impresa fallì cosi messo il foglio sul letto
presi le chiavi di casa e uscii.
Sceso in strada controllai d’aver preso i biglietti per l’autobus mi avvicinai alla fermata e con relativa calma esteriore aspettai il suo passaggio.
Nel mentre che i miei pensieri correvano un sordo rumore e un buon odore di gasolio bruciato
mi fece capire che ‘autobus era arrivato, l’autista si fermò in modo brusco apri le portiere ed io con un balzo saltai su.
Il mezzo era vuoto, poca gente quella mattina sarà stata l’ora o non so cosa ma vi erano dentro effettivamente due o tre persone al massimo. Mi accomodai sulla fila di destra al sedile n 10
di fianco al finestrino sopra le ruote ,mi piaceva sedermi più in alto, e guardando per caso verso
lo specchio retrovisore, posto di fianco al conducente, vidi in fondo quell’uomo con la tuba scura
che avevo incontrato il giorno prima, pensai dentro di me: sarà uno di quei tanti artisti di strada
che si incontrano a Firenze!
Arrivato a ponte Vecchio suonai il campanello della fermata e aspettai che l’autobus si arrestasse
al punto solito prestabilito all’altezza di una edicola.
Scesi e mi avviai verso la via che porta a piazza della Signoria , distratto dalla bellezza dei luoghi
mentre passavo vicino al punto dove fu bruciato il Savonarola, con le spalle rivolte alla enorme statua del Nettuno posta di fronte a Palazzo Vecchio, allungai lo sguardo verso la loggia dei Lanzi
e precisamente sotto la statua del Perseo, che in mano tien la testa recisa di medusa, di Benvenuto
Cellini e chiaramente distinsi nuovamente quell’uomo vestito di nero che agitando con garbo il bastone a me si rivolgeva quasi a far cenno che lo seguissi.
Incuriosito e spinto da un non so che di mistico presentimento alzi il passo per raggiungerlo
ma egli con passi più veloci dei miei si avviò versi gli Uffizzi puntando verso il lungarno.
Senza esitazione gli corsi dietro e in poco tempo mi ritrovai in piazza dei cavalleggeri
dove a sede la Biblioteca nazionale Centrale.
Asciugatami la fronte dal sudore che mi aveva invaso, visto la corsa fatta,
vidi sotto l’arco centrale,dei tre che compongono la facciata, quello strano individuo che
fermo come una statua mi sorrideva .
D’improvviso un raggio di sole mi accecò e una volta passato l’abbagliamento sotto l’arco non vidi
più alcuno.
Sconcertato dai fatti mi balenò in testa l’idea che forse avrei potuto fare delle ricerche
sulle famiglie nobili vissute a Firenze nel 1850.
Così dopo essermi dato una piccola sistemata al mio abbigliamento entrai dentro e attuai quello che mi ero prefisso.
Finalmente tra una miriade di pubblicazioni venne fuori quello che mi interessava:
la Granduchessa Maria Alexandrova e suo marito Alessio Alexandrov avevano vissuto a Firenze
tra il 1840 e il 1880; trovai queste date grazie al fatto che in quel periodo avevano acquistato
sulle colline di Fiesole un antica villa oggi divenuta un museo che racchiude una ampia collezione
di lanterne magiche e tutto era riportato nella storia dei proprietari della villa stessa.
Felice delle mie scoperte decisi di prendermi una pausa visto che oramai era già passato il mezzodi,
mi avviai verso il duomo e entrai in un ristorante con vista sul sul campanile di Giotto.
La giornata del cinque maggio 1999 terminò per me mangiando una buona bistecca e delle patatine fritte, visto che passai il resto del pomeriggio dormendo nel mio letto provato dalla precedente notte insonne e dagli eventi.
La mattina dopo la sveglia suono puntualmente alle sei, mi alzai ansioso di leggere il libro che
avevo preso in prestito dalla biblioteca.
Esso descriveva la storia della antica villa e un succinto racconto dei proprietari che si erano succeduti nel tempo.
La particolarità di quella costruzione non risiedeva tanto nella struttura architettonica , che richiamava lo stile romanico fiorentino tanto da farla assomigliare ad una chiesa , quanto nella presenza al suo interno di un orologio a muro costruito da un artista molto noto per le sue opere,
un tale Guidobaldo de i Guiscardini di Monte Lupo mastro orologiaio vissuto nel 1800.
Dal libro si evinceva che nel 1841 la granduchessa aveva commissionato la sua costruzione all’interno della sala maggiore della villa, uno stanzone adibito ai grandi ricevimenti
che era solita dare,o almeno cosi era scritto!
Cosa interessante era che detto orologio segnava le fasi lunari , indicando ore e mesi
nello stesso cerchio con un sol numero, con la scritta del mese al di fuori del cerchio segnata da una
lancetta supplementare. All’interno di esso vi era poi scolpita la scritta Luna.
Altro particolare era l’indicazione delle fasi lunari solo per quando si verificava il quarto di luna e
al lato dell’orologio in verticale una serie di caselle con i giorni del mese indicati da una asta che scorreva su e giù.
Negli scritti non trovai altre indicazioni sul funzionamento del meccanismo, vi era un accenno
sulla storia di quella famiglia che vi descrivo cosi come riportata:
Arrivati a Firenze, da San Pietroburgo imparentati con lo zar Alessandro II, il Granduca Alessio
svolgeva funzioni di console, la granduchessa astrofisica e studiosa dei fenomeni dell’occulto
molto nota nell’ambiente universitario e nei salotti culturali della città scomparve in circostanze misteriose la notte del 10 maggio 1849; dopo poco tempo il granduca si disfò della villa e andò
ai servigi dell’imperatore d’Austria a Vienna come consigliere, essendo un suo cugino.
Cominciavo ad avere indicazioni più chiare per decifrare l’indovinello contenuto nel manoscritto.
Ma la nebbia si sarebbe diradata solo nei giorni seguenti come appresso descriverò.
Era il sei maggio del 1999.
Eravamo al sette di maggio e nelle mie mani avevo le indicazioni di una villa con un
un orologio astronomico, un piccolo manoscritto e il nome di una granduchessa e infine il libro
di astronomia acquistato alla bancarella. Dovevo unire tutti questi elementi per risolvere l’enigma che il destino mi aveva posto davanti.
Quel giorno però sarebbe accaduto qualcosa che avrebbe messo tutti i tasselli del puzzle al loro posto.
Per riposare la mente e riordinare le idee alle dieci del mattino decisi di scendere in strada e fare un passeggiata ristoratrice guardando in giro fra negozi e bancarelle.
Giunto all’altezza di piazza san Jacopino, presi dalla pasticceria il mio solito strudel di mele e un bicchiere di latte macchiato e mi accomodai su di un sedia fuori dal locale, mentre ero intento a gustare le mie golosità preferite vidi chiaramente dalla altra parte della strada quel signore con l’abito scuro che nuovamente sembrava guardare me , egli si trovava sulla soglia della bottega del rigattiere.
Posai con foga il bicchiere sul tavolo e inghiottito il dolce, che scese giù per l’esofago come un macigno, mi precipitai verso l’entrata del negozio, ma una volta dentro non vidi più quella figura
anzi il rigattiere mi guardò in modo un po strano , mi ricomposi e cercando di rimettere in piedi la situazione chiesi se per caso avesse un vecchio mappamondo, nella furia fu la prima cosa che mi venne in mente.
Per mia sfortuna nella bottega ve ne era uno ed altro non potei fare che acquistarlo!
Tornai cosi un po affranto a casa con il mio bel mappamondo.
Arrivato su, lo posai sul tavolo e con relativa indifferenza stavo per metterlo in un angolo quando ,
preso dalla mia solita pignoleria vidi che traballava un po , decisi allora di metterlo a posto.
Smontai la parte inferiore, sfilai la base e dal suo interno scivolò un tubo di rame;
pensando facesse parte del meccanismo interno lo raccolsi ma nel prenderlo notai che era più
pesante di quello che avrebbe dovuto essere.
Con mia grande meraviglia vidi che all’interno vi erano dei fogli arrotolati con cura e con l’aiuto di un piccolo punteruolo li tirai fuori, erano tenuti insieme da un piccolo laccetto rosso .
Lo slegai e nello srotolare quel pacchettino altra sorpresa venne fuori si presentò davanti ai miei occhi un piccolo cameo rosa !
Presi in mano quella spilla la girai e m’accorsi che dietro recava una iscrizione, con l’ausilio della mia lente d’ingrandimento questa frase lessi:
nel quarto il tutto.
Ancora ricorrevano queste frasi: il quarto, come un tormento mi perseguitava!
Stavolta però con calma decisi di sedermi e leggere quei fogli.
Ecco allora che la nebbia si diradò e la strada maestra che portava alla soluzione imboccai.
Essi erano uno cartiglio d’amore fra il professore Brinstone e la granduchessa Maria Alexandrova.
Dalla loro lettura appresi che i due frequentando lo stesso circolo letterario si erano innamorati
e avevano iniziato a scambiarsi una serie di lettere d’amore in cui parlavano spesso di un argomento
che li univa : lo studio delle fasi lunari!
Il professore le aveva regalato il cameo ed il resto lo capirete leggendo anche voi quello che lessi
io nell’ultima lettera inviata dalla granduchessa all’amato :

Addì 10 maggio 1849.

Amor mio non più è tempo
di gioia, l’alito scuro della
morte soffia su di noi.
Conserva con cura
il dono tuo che ti rendo
e quando centocinquanta
saranno le porte del nostro
amore si schiuderanno
nel nuovo quarto
di luna.

Ancor non tutto era per me chiaro, mi rimanevano tre cose da metter al loro posto!
La sera era giunta e le mie gambe avevano bisogno di riposo.
Cosi passo anche quella giornata.
Come mio solito mi svegliai alle sei del mattino, anche quel giorno andai a prendere
la mia fetta di strudel e con calma finalmente aspettai l’autobus delle sette.
La mia meta era la biblioteca; una volta arrivato cercai immediatamente indicazioni
sui docenti universitari del 1849 della facoltà di astronomia, trovai abbastanza facilmente
il nome del professor Brinstone ma la cosa che mi colpì e che pochi giorni dopo che la granduchessa era scomparsa egli era morto suicida tuffandosi in Arno!
Il terz’ ultimo dei tre tasselli era andato al suo posto, restavano gli ultimi due.
Finita la ricerca sul professore il mio obiettivo era trovare un libro della fasi lunari degli ultimi
150 anni, riuscii nell’impresa senza non poca fatica e anche questo tassello misi al suo posto.
L’ultima via per arrivare alla risoluzione era trovare il modo di entrare durante le ore della
notte nella villa museo.
Tornai a casa e sotto la luce della luna seduto sul letto fini di comporre il mio puzzle!
Anche la giornata dell’otto maggio era passata.
Alle sei del mattino scaramanticamente feci tutti quei gesti che ero solito fare, le mie solite scarpe,
la mia solita colazione e tutti quei gesti che mi accompagnavano ogni giorno a quell’ora.
Andai di corsa alla fermata del sei in piazza san Jacopino presi l’autobus e scesi a ponte vecchio,
di là poi sali sul n° 7 che portava direttamente al centro di Fiesole.
Durante il tragitto mi rilassai guardando le verdi colline che circondano Firenze.
Arrivato a destinazione entrai nell’androne della villa comprai un biglietto da 5000 lire
che comprendeva anche la visita al parco e discorrendo gentilmente con l’unica guida che vi era gli
raccontai della mia passione per le lanterne magiche.
Nel giro delle stanze l’ultima ad essere visitata fu proprio quella che cercavo : il salone delle feste con l’orologio costruito su di una parete che dominava l’intera sala.!
La mia ansia saliva ma dovevo rimanere calmo.
Salutai la guida e facendo finta di uscire tornai dentro scavalcando una finestrella a piano terra,aperta per il caldo , protetto da una alta siepe che ne nascondeva la vista.
Durante la visita avevo notato una piccolo ripostiglio attiguo all’entrata, in modo fulmineo
apri la porticina d’ingresso e mi nascosi fra le scope che vi erano all’interno.
Devo dire che ebbi abbastanza fortuna in questo in quanto quella villa non aveva telecamere di sorveglianza, vista la scarsità dei mezzi economici per il suo mantenimento, e la fondazione che la
gestiva poteva a malapena pagare una guida non vi era nemmeno un custode notturno.
Ma torniamo a me, mi accostai con la testa al muro e presi un leggero sonno tranquillo : avevo impostato la sveglia del mio orologio alle 4,30 del mattino.
Puntuale essa suono ed io iniziai la fine del mio viaggio!
Entrai nel salone grande, spalancai una finestra che in una sera limpida come quella ancora faceva filtrare la luce della luna, comunque con me avevo una torcia , mi avvicinai all’orologio presi un tavolino lo posizionai sotto dei esso e aspettai che battesse la 5 del mattino.
Era il 10 maggio del 1999.
Quando le cinque scoccarono con solerzia avvicinai le mani alla scritta luna ,con la destra tirai fuori dalla tasca il cameo della granduchessa che avevo portato con me lo posizionai sotto il cerchio delle cinque dove si notava una piccola fessura che combaciava perfettamente con il cameo,
con la mano sinistra spinsi la quarta lettera della parola luna e come d’incanto dal muro di fianco all’orologio si spalanco una porticina!
Erano le cinque del mattino del 10 maggio 1999 cento cinquanta anni dopo la morte della granduchessa .A quella ora esattamente un secolo e mezzo prima e cioè alle cinque del 10 maggio del 1849 il quarto di luna era tramontato!
Saltai giù dal tavolo con timore entrai in quella buia stanza e sotto la luce della mia torcia apparve lo scheletro d’una dama incorniciato da un gran vestito da ballo, che ancora conservava le sue fattezze e con sul teschio un gran cappello bianco da cui si intravedevano bionde ciocche di capelli scender giù a coprir i poveri resti.
Esso era adagiato su di un piccolo lettino sembrava dormisse un sonno senza fine accanto su una seggiola una piccola boccetta che non v’è dubbio fosse di veleno!
La granduchessa aveva fatto ricavare all’interno della parete dove vi erano i meccanismi dell’orologio una piccolissima stanza segreta di cui solo lei ne era a conoscenza!
L’anima di Maria Alexandrova finalmente era libera dopo centocinquanta anni.
Avverti un rumore, mi voltai : era la porta che allo scoccare dell’ora successiva si richiudeva lentamente, con un balzo venni fuori ed essa si richiuse conservando per sempre il suo segreto.
Con calma prima che facesse alba uscii da dove ero entrato scavalcai il cancello d’ingresso e nell’aria fresca del mattino mi tuffai con i miei pensieri.
Aspettai l’autobus delle 7 lo presi e per l’ennesima volta scesi a ponte vecchio.
Una volta giù volsi lo sguardo sul ponte e con velata tristezza , mentre una lacrima scendeva dai miei occhi vidi sotto gli archi due sfuggenti figure ,un uomo e una donna che avvolti da una leggera foschia mattutina tenedosi per mano nell’acque d’argento dell’arno si specchiavano!

Sunto del mistero:
il libro era un compendio di astronomia regalato dal prof. Brinstone
all’amata , che prima di suicidarsi vi aveva nascosto dentro il manoscritto
L’uomo che mi seguiva era il prof Brinstone.
La granduchessa aveva fatto recapitare al prof. il cameo prima di morire
Il prof. nascose le sue lettere d’amore e il cameo all’interno del mappamondo.
Avevo scoperto che il dieci maggio del 1849 il quarto di luna tramontò alle ore 5 del mattino e che 150 anni dopo si sarebbe verificata la stessa coincidenza
Chiave : premere la quarta lettera della parola luna alle ore
cinque del 10 maggio del 1999 inserendo contemporaneamente il cameo nella apposita fessura
sotto il n° 5 dell’orologio che rappresentava sia la quinta ora del giorno sia il quinto mese dell’anno

E chissà che visitando Firenze un giorno non scorgiate in riva all’arno i due amanti che nell’acque
ancor si specchiano.


 

Il giardino incantato

V’era un tempo, tanti tanti anni fa, quando sulla terra gli uomini vivevano nelle caverne, in cui nello universo infinito protetto da miliardi di luminose stelle, esisteva un mondo incantato ; fatto
di laghi sterminati, di verdi foreste, di altissime montagne, di mari color smeraldo, di fiumi incontaminati, popolato da tantissimi animaletti buffi e da omini piccoli piccoli.
Di quel mondo voglio raccontarvi, prima che la luce della candela che illumina questo vecchio libro
che ora nelle mia soffita sto leggendo per voi, si spenga .
Soffiava forte il vento, la buia notte era illuminata da miliardi di astri celesti ed io, seduto su di una sedia a dondolo, un antico scritto di nome “ Il giardino incantato” sotto una fioca luce avevo nelle
mie mani. D’improvviso la burrasca spalancò la finestra , una grande luce rischiarò la soffitta e davanti a me, con l’aria di uno che volesse interrogarmi apparve come d’incanto un piccolo essere con un grande cappello a punta sulla testa di color verde che guardondomi con i suoi grandi occhi azzurri disse allungando la mano:
vieni ti porterò in un luogo dove non estistono le ore e non si invecchia mai, ma sbrigati non abbiamo molto tempo, la candela come vedi sta per consumarsi!
Rimasi stupito per un po, ma poi anch’io allungai la mano verso di lui e senza rendermene conto
caddi in un profondissimo sonno.
Quando mi svegliai una dolcissima musica cullava le mie orecchie e un fantastico mondo si spalancò davanti ai miei occhi: un lago immenso vedevo e verdi boschi lontano lo incorniciavano e uccelli in un cielo terso e animali che correvano liberi nei prati e piccoli omini che tagliavano la legna cantando e suonando. Un sentimento bellissimo mi pervase e i miei pensieri, che fino ad allora erano stati come quelli di tutti gli abitanti della terra ,divennero puri, limpidi, l’odio era scomparso dal mio cuore, non provavo dolore, rabbia, paura, solo amore sentivo !
Mentre ero colto da questa estasi uno strano scoiattolino si avvicinò e con una vocina fina fina mi disse: signore vuole una bella ghianda, io sono sazio ne ho già mangiate tante ! Qui ne troverà quante ne vuole.
Lo accarezzai teneramete e per non essere scortese ne assaggiai una, meraviglia fu!Era buonissima e sapeva di zucchero filato con il sapor di frutti di bosco!
Mi alzai in piedi e le mie scarpe fluttuavano sul terreno il mio corpo non aveva peso ed io potevo
raccogliere i frutti sui rami più alti degli alberi.
Pensai dentro di me: vorrei viver qui per sempre !
E come d’incanto, mentre ero perso in quel luogo fantastico ,sentii una dolce voce che a me si rivolgeva e che diceva:
svegliati figlio mio io sono il tuo Creatore, hai visto come è bello il mio mondo?
Perchè allora voi umani avete distrutto quello che io avevo donato a voi?
Impaurito risposi: mio Signore io non ho colpe cosa mai posso fare da solo contro tutti!
La voce allora disse: tu ora al tuo posto tornerai e ricorda che un giorno camminando
per la strada se un mendicante troverai che con stracciate vesti ti guarda e la sua mano allunga
verso di te , non lo scacciare anzi donagli un po del tuo tempo, perchè quell’uomo sarò io.
Se così farai forse qualcun altro seguirà il gesto tuo ed io compiaciuto di ciò salverò la terra.
Altro non ricordo se non di essermi ritrovato nella soffitta della mia casa!
Il vento era cessato, le stelle brillavano come mai nel cielo, la candela era nuovamente intera!
Mi guardai in giro e mettendo sotto il braccio il libro che stavo leggendo scesi le scale che portavano su alla soffitta e andai a dormire sperando che quello che avevo vissuto non fosse stato
solo un sogno!

Dell’ amor terreno spesso ci compiaciamo, ma altrettanto spesso di quello celeste dovremmo occuparci , di spirto divino siam fatti e il mondo la nostra materiale dimora è, finche Lui vorrà.
Più cura dovremmo aver del creato e degli esseri che tuttti lo popolano.


 

Pioggia …di malinconia

Sotto l’arco del cielo
a dormire va
placida sui plumbei cirri.
Riposa fin ché
svegliata dal vento
giù viene
a bagnar
le nostre debolezze.
A volte tenera ci accompagna
altre altera e triste
angoscia da.
Conto non tien
dell’animo umano!
A suo modo a noi
si mostra.
Rivolto sù lo sguardo
con alma curiosa
la scrutiamo.
E steso il palmo
della mano,
l’accarezziamo
nella sua umida
essenza!
Così
in angusti
giacigli stesi,
liberi
vorremo essere
e come essa
fare
il bello
e
il cattivo tempo.

( giù nel cuore nostro
lenta
scende,
si posa……
la malinconia…)