Una Giornata Amara

“Ma come, non lo sai? C’è stato il funerale una settimana fa”. La voce di Corrado era

poco chiara, la telefonata si interruppe, non c’era più campo. Avevo però compreso bene

le ultime parole e mi sentivo preso da una delusione e da una melanconia profonda.

L’appuntamento con il terapeuta era fissato il 10 dicembre. Proprio quella mattina una

telefonata mi aveva avvisato di non tener conto perché il dottore quel giorno sarebbe

stato ricoverato per accertamenti. “Sarà come l’altra volta; ci incontreremo fra venti giorni,

al massimo un mese” ho subito pensato.

L’incontro con il terapeuta era divenuto un’abitudine gradita. Il rapporto, iniziato in

sordina, col passare del tempo si era ampliato e davvero tra noi non c’erano più segreti.

Con lui ero a mio agio ed ero sincero quando gli riferivo pensieri, sentimenti e prospettive

di vita. Lui ascoltava con grande attenzione, interveniva con domande per meglio chiarire

i vari aspetti e io dovevo purtroppo rilevare che i suoi interventi erano davvero pertinenti e

appropriati. Data la grande esperienza e la capacità di analizzare i problemi, le proposte

che presentava con la massima semplicità erano quelle giuste, adatte per me, sicure per affrontare

serenamente i giorni futuri.

Con mia moglie ci sono stati momenti sereni, soprattutto quando abbiamo affittato una

baita, proprio in riva al torrente, in montagna. Era in uno stato d’abbandono, da anni

nessuno l’aveva abitata. Insieme l’abbiamo messa in ordine, passando l’estate a pulirla,

verniciare gli infissi, renderla accogliente; poi c’erano i lavori fuori, il grande prato da

tagliare, il bosco da curare. Alla fine divenne un gioiellino, apprezzato anche dagli amici

che, di tanto in tanto, arrivavano a trovarci.

A casa invece sembravamo due estranei. Non avevamo più un dialogo; per di più lei era

tormentata dall’idea che io la tradissi con altre ed era sempre sospettosa, controllava il

telefono, voleva sapere dove andavo. Era totalmente convinta delle sue idee. Ormai dormivamo in

camere separate. Le figlie, ormai adulte e fuori casa, non volevano prendere posizione a favore di

lei o di me; soffrivano però di questa situazione. Una sera organizzarono un incontro: noi due e

loro due. La maggiore fece il riassunto della situazione e poi brutalmente ci disse che, piuttosto di

continuare così, era meglio una separazione.

Qualche giorno dopo lei mi propose di andare insieme da un terapeuta. Per non aprire

nuove polemiche, ho accettato. Così sono iniziate le sedute, prima insieme e poi

ciascuno per conto suo.

In un incontro comune il terapeuta decise di fare il punto della situazione. Rilevò la

diversità dei nostri caratteri, mi fece notare che io davvero avevo un’amicizia particolare

con un’altra donna, forse anche spinto dalle continue insinuazioni di mia moglie. Quello

che però mi colpì molto fu l’analisi sul nostro matrimonio, a suo giudizio morto da anni,

almeno da quando i figli erano usciti di casa. Io meditavo su queste cose, mia moglie

invece contestò tutto e ci fu uno scontro verbale violento col terapeuta. Da quel giorno

non vi furono più incontri comuni, anzi lei si rifiutò di tornarci. Continuai da solo.

Praticamente eravamo separati in casa.

Il terapeuta si preoccupava del mio lavoro, della mia solitudine assolutamente da

combattere e del futuro che mi attendeva.

Mi propose di organizzare ancora un incontro a tre; avrebbe proposto una separazione di

un anno, le regole le avrebbe scritte lui; alla fine ci saremmo incontrati e avremmo fatto il

punto. Con mia grande sorpresa mia moglie accettò l’incontro; sembrava anche

favorevole alla proposta. Telefonai al terapeuta e a metà agosto andammo da lui. Con

calma presentò la sua idea, per altro sperimentata già con altri suoi assistiti. Alla fine mia

moglie riprese a contestare e uscì dalla stanza. Non se ne fece niente, qualche giorno dopo

arrivò la lettera del suo avvocato che chiedeva la separazione legale.

A Natale il terapeuta era a casa, ma non stava bene. Verso metà gennaio ho telefonato al

suo numero privato: nessuna risposta. Qualche giorno dopo ho riprovato e una voce ha

risposto che il dottore era stato ricoverato ancora il giorno prima, si sperava in bene.

Adesso c’è la telefonata di Corrado. Il mio terapeuta non c’è più. È morto il 28 gennaio.


 

Gioia e Dolori

Mancano due mesi al matrimonio. Tutto procede secondo programma. Sonia, una delle

migliori amiche di Adele, wedding planer, si occupa dei minimi dettagli, naturalmente

dopo aver sentito i pareri dei due sposi.

Quel sabato Adele aveva deciso di passarlo a Vercelli; dopo pranzo avrebbe fatto una

passeggiata in centro con sua mamma.

Adele conosce bene Vercelli: una piccola, ma graziosa città, tranquilla e vivibile; si può

visitare tutta a piedi. Le piace molto la basilica di Sant’Andrea, chiesa in stile romanico

gotico che si vede arrivando in treno, molto bella, con il suo chiostro e il salone

duecentesco. Poi San Bernardo, detta Madonna degli infermi, che è l’unione di due

chiese; di fronte c’è la chiesa di San Marco, già mercato coperto; qui oggi vengono

organizzate mostre di arte moderna. All’interno della chiesa si stanno scoprendo degli

affreschi molto interessanti. Si arriva poi in piazza Cavour con i suoi portici, e piazza

mercato con la sede del primo municipio. A breve distanza due musei: la pinacoteca

Borgogna, con tele che vanno dal xiv secolo al xx, e il museo Leone legato alla storia

della città. Vicino alla prefettura si trova la chiesa di San Cristoforo, con affreschi di

Gaudenzio Ferraris e il duomo con il museo diocesano.

Oggi però Adele vuole semplicemente passeggiare in centro con sua mamma; così da via

Lanino, qui sta la casa dei genitori, presto arrivano a Piazza Cavour.

È aprile e la giornata è calda; molta gente passeggia. All’inizio del porticato, a sinistra, c’è

il salone di Marta. “ Aspettami, solo un minuto. Faccio un salto per il prossimo

appuntamento”. “Tranquilla, mamma, vai. Io intanto vado a prendere le sigarette”. Uscita

dal tabaccaio, squilla il telefono: è Sonia. “Ciao, Sonia. Tutto bene? Che fai di bello oggi?

Lavori?” “Sì, Adele. Con il matrimonio di oggi faccio le prove per il tuo. La preparazione

va avanti e proprio come lo sto immaginando. Purtroppo però ti telefono per una notizia

molto triste. Mi hanno informato che la nostra amica Rachele non c’è più. Ha avuto un

incidente ed è finita con la macchina in un torrente. Sono ancora incredula, purtroppo è

vero.”. Adele non riesce a parlare; si sente svuotata, tutto le gira attorno, si sente

mancare. Per fortuna vicino c’è una panchina, si siede. Arriva Anna, la mamma,

sorridente. Si avvicina di corsa, Adele in lacrime l’abbraccia. “Mamma, è morta Rachele!”

“Adele, sei sicura? Cosa è successo?” “Non so, mi ha chiamato Sonia e mi ha detto che

ha avuto un incidente ed è finita in un torrente. Proprio come quel sogno che avevo fatto,

ricordi? Ma là ero io la morta.”

Adele lentamente si riprende. “Adesso richiamo Sonia”. “Sonia, scusami, sono stata

proprio male, da svenire. Tu cosa sai?” “Non ho molte notizie. Mi ha chiamato Massimo e

mi ha dato questa notizia, ma non ho particolari. Quando finisco questo servizio, andrò a

sentire direttamente i genitori di Rachele. Ti informerò, stai certa. Per fortuna che sei con

tua mamma! Ci sentiamo.” È vero! Avere accanto la mamma che condivide il tuo dolore e

ti conforta è per Adele un appoggio solido e sicuro. “Stai un po’ meglio? Andiamo a

prendere qualcosa, ne hai bisogno.” A braccetto, madre e figlia si dirigono verso il News

Cafè, al n. 1 di Piazza Cavour. Adele prende un ginseng piccolo e intanto invia messaggi

alle amiche, nessuno però ha notizie: bisogna aspettare.

“Che dici, Adele, facciamo un giro, così un po’ ti distrai?” “Sì, mamma, così non continuo

a pensare, tanto non posso fare nulla. Stasera a Torino poi potrò avere notizie e sentire

Giorgio e le mie amiche”. Anna è curiosa dei preparativi per le nozze e i loro discorsi

prendono questa direzione. Adele racconta quanto sta organizzando Sonia: sarà un

matrimonio molto curato, la chiesa, l’hotel, tutti i minimi dettagli. Per provare l’abito, Adele

vuole essere accompagnata dalla mamma; aspetta solo la conferma dell’appuntamento,

previsto per il prossimo giovedì. Verso le 17 arrivano in via Lanino e a casa. Papà è in

giardino, le vede e si affretta ad aprire il cancello. Adele in lacrime gli racconta di

Rachele. La vita spesso è proprio amara. Adele decide di tornare prima a Torino, col

treno delle ore 18,10, così può vedere qualche amica e stare con Giorgio.


 

Il Coordinatore

Eugenio si rilassava. Seduto sulla sua poltrona di vimini sotto il portico, osservava il suo

giardino e in particolare quella giovane pianta che per la prima volta aveva su un rametto

esterno tre prugne. Osservava la forma delle foglie e i tre frutti che si avviavano a

maturazione. La sua mente però seguiva un filo logico netto.

Due giorni prima era venuto a trovarlo la sua vicina di casa; non aveva potuto evitarla e

alla fine l’aveva ascoltata e le aveva promesso di interessarsi. Eugenio aveva lasciato la

polizia a sessant’anni e ora collaborava di tanto in tanto con un’agenzia di investigazioni.

“Conosce mio marito, signor Eugenio,” le aveva detto Alda, la sua vicina. “Bene! da un po’ di

tempo lo vedo strano, spesso arrabbiato, non sereno. Ho pensato che abbia problemi sul lavoro, sa

lui è responsabile di quei corsi che fanno per gli adulti. Avrà trovato un’altra?” “Ma, signora Alda,

perché pensa subito a queste cose! Senta io faccio qualche lavoretto per hobby, per tenermi un po’

impegnato. Voglio tranquillizzarla, farò qualche indagine, vedremo gli esiti. In più non si

preoccupi, non costerà nulla, non ho spese, è un lavoro piuttosto semplice, mi pare”.

Eugenio raccoglieva i suoi pensieri; sapeva che esistevano quei corsi per adulti, dove si

tenevano, ma le informazioni che aveva erano proprio scarse. Conosceva il marito di

Alda, ma il loro rapporto era limitato ai saluti nelle rare occasioni in cui si incontravano.

Doveva raccogliere le prime informazioni.

Il lunedì, verso le undici, si avviò a piedi verso il palazzo dove si tenevano i corsi. Arrivato,

scoprì che, quasi di fronte, c’era un bar che aveva anche molti tavolini e sedie nel

giardino accanto. Era l’ideale! Entrò e chiese un caffè. Al banco c’erano due donne, una

piuttosto anziana, l’altra invece giovane e fresca con un colore di capelli improbabile. Il

caffè arrivò subito e Eugenio notò la gentilezza e la cordialità delle due. Chiacchieravano

volentieri con altri clienti, sicuramente abituali. Bene! Aveva una buona base di partenza.

Uscì, andò a sedersi fuori e si accese una sigaretta. Poco dopo uscì a fumare anche la

barista giovane. Eugenio approfittò subito della situazione. “Anche lei ha questo bel

vizio?” “Sì! Non ne ho tanti, ma a questo non so rinunciare.” “È davvero un bel posto,

ordinato, piacevole. Complimenti!” “Grazie. Cerchiamo di tenerlo bene e di trattare bene i

nostri clienti.” “Lei sicuramente lo sa: i corsi per adulti si tengono in quel palazzo di

fronte?” “Sì. È una scuola. Al mattino ci sono i ragazzi, al pomeriggio invece si svolgono i

corsi per gli adulti. Gli insegnanti e molti adulti vengono spesso qui.” “Sono molti gli

studenti adulti?” “Sì perché ci sono molti stranieri che vengono per imparare l’italiano, mi

sembra che ci sia anche qualche corso al mattino, e molti italiani che frequentano per tre

anni per avere poi la maturità. Mezz’ora fa c’era qui il direttore di questi corsi”. “Grazie,

davvero gentile! Arrivederci”.

Eugenio aveva pronto il suo piano: sarebbe tornato al bar nel tardo pomeriggio; avrebbe

potuto così vedere e parlare con qualche studente. Intanto uscirono dalla scuola tre

professoresse, due si diressero verso il bar, l’altra invece recuperò la bicicletta, che era

legata ad un’inferriata, e se ne andò. Eugenio, a pochi passi di distanza, non poté non

osservarla: piuttosto bassa di statura, capelli trascurati con il ricordo di un biondo,

espressione più malinconica che triste, magra.

Verso le diciotto Eugenio tornò al bar; si sedette fuori e ordinò una birra. Adesso lo servì

un giovane barista. Non combinò niente. Al bar vennero alla spicciolata solo pochi

studenti che consumavano e tornavano subito a scuola.

Fu molto più fortunato la sera successiva. Vennero al bar e si sedettero fuori molti giovani

e adulti di una classe; avevano avuto il permesso per un intervallo. Uno commentava la

verifica di matematica appena svolta. Arrivò anche il professore di matematica che si

sedette poco distante da Eugenio. Uno studente si avvicinò “Scusi, prof., posso

sedermi?” “Che c’è, Andrea?” “Ci sono un po’ di cose ingiuste, non da parte sua. Credo sia

giusto che lei sappia”. “Dimmi, non aver paura”. “Ha notato quella ragazza bionda in penultima

fila? è entrata dieci minuti dopo, ha fatto il compito in poco più di mezz’ora e poi se n’è andata”.

“Sì! e allora?” “Vedrà che prenderà almeno otto. Ieri lei ha fatto vedere la traccia del compito al

coordinatore?” “Sì, me l’ha chiesta per farsi un’idea del programma fatto.” “Tutto chiaro! Se ne è

fatta una copia, stamattina è venuto a scuola e si è fatto aiutare da quella prof del mattino, quella

bionda, magra e poi stasera ha passato il compito fatto alla ragazza”. “Ma no, non credo che faccia

queste cose!” “Certo che le fa; noi sappiamo che è un po’ che ha messo gli occhi su quella e non si

fa scrupoli. Sappiamo anche che c’è stato del tenero tra lui e quella prof. Mi hanno detto che

quando lui ha dovuto assentarsi, lei l’ha sostituito in classe”. “Questa storia non mi piace. Domani

vado dal dirigente”.

Eugenio aveva preso buona nota di tutto il discorso. Era perplesso: il suo vicino era

davvero uno senza scrupoli? C’era in ballo un’altra donna? Da quanto ascoltato poteva

pensare che con la professoressa la storia fosse finita, restava forse un reciproco rapporto

di interesse. Ma con la studentessa?

Il lunedì successivo Eugenio era nel giardino del bar. Verso le 18,30 arrivò il professore di

matematica con un collega. Si sedettero ad un tavolino vicino. Il professore di matematica

raccontava la storia che Eugenio già conosceva e dell’incontro che aveva avuto con il dirigente.

Sperava di essere ascoltato e al limite di ricevere consigli preziosi. L’incontro invece era stato

breve e deludente. Il dirigente chiaramente gli disse che non voleva grane, che aveva fiducia nel

coordinatore e che pensasse ad insegnare decentemente la matematica. Il collega cercava di

consolare l’amico, davvero triste. Arrivò una ragazza che entrò nel bar. “Ecco è lei!” indicò il

professore. Eugenio riuscì a fare una foto. Adesso doveva avere maggiori elementi sulla

professoressa e sulla studentessa per arrivare a delle conclusioni.

La barista più anziana fu una grande fonte di informazioni sulla professoressa. Da anni in

quella scuola, sola con figli adulti, tutta casa e scuola e sempre in bicicletta. Non giravano voci di

compagnie maschili. Altre notizie gli arrivarono da un impiegato della scuola, un tempo vicino di

casa. Dopo un periodo in cui lei non sopportava il coordinatore, c’era stato un avvicinamento tra i

due, forse qualcosa di più, ma ora i rapporti erano solo di tipo lavorativo.

Due giorni dopo, verso le 18, Eugenio era seduto ad un tavolo nel giardino del bar.

Aveva una birra davanti e seguiva il fumo della sigaretta. Faceva il punto della sua indagine.

Arrivò Andrea insieme ad un amico. Misero la testa dentro il bar e poi uscirono in giardino.

Eugenio riconobbe Enrico, il figlio di un carabiniere suo amico, che, quando lo vide, subito si

avvicinò per salutarlo. Si fermarono così allo stesso tavolo. Enrico gli raccontò che frequentava il

terzo anno e tra qualche mese avrebbe avuto l’esame di stato; il suo amico Andrea invece era al

secondo. Eugenio si dimostrava molto interessato e ascoltava con partecipazione quanto

raccontavano i due giovani: come funzionava la scuola, le materie che dovevano studiare, le

difficoltà per lo studio difficile da riprendere dopo anni, il poco tempo a disposizione per studiare

ed esercitarsi, il rapporto con i professori.

“E il coordinatore o direttore che cosa fa?” Eugenio guardava Andrea. “Ah! Quello! Comanda a

più non posso e controlla tutto quello che gli interessa. Bisogna essergli amici. Lui coordina tutta

l’attività dei corsi: calendario, orari, attività, lavoro degli insegnanti, le nostre presenze. Noi siamo

fortunati, non l’abbiamo come insegnante.” “E con le studentesse? Siete maggiorenni, ma…” “Ma,

Eugenio,” era Enrico ad intervenire, “il coordinatore ha sempre avuto la fama di provarci. Da

quello che sappiamo non deve avere mai combinato niente con le studentesse.” “Ma no, Enrico!

Guarda che passa la soluzione dei compiti a qualcuna! Una fa la poverina che non capisce la

matematica, piange, va da lui a chiedere aiuto e lui ci pensa. Può esserci altro tra loro? No! alla

fine lui resta con un pugno di mosche; la poverina, anche bellina, ha già il suo maschio. Viene a

prenderla tutte le sere.”

Andrea aveva appena dato ad Eugenio la soluzione delle sue indagini.