IL VOLO DEL COLIBRI’
L’attraversamento del fiume
prevede più tappe, ciascuna scandita
dal ritmo dell’acqua che pettina la ghiaia
distesa come una lucertola al sole
una ghiaia di pietra viva
che somiglia a te, amore mio,
quando fingi d’ascoltarmi
e invece guardi altrove con la mente.
Ho accarezzato per anni un desiderio
dal quale non riuscivo a discostarmi
così m’inchiodavo al mio destino
girovago di ipocondriaco affacciato
sulla notte.
Godevo di quel poco che mi dava
l’impronta d’un segreto scavata
nelle profondità del tuo mistero.
Ma non c’è nulla oltre il tuo viso
di cera dura, forse solo un fremito
simile al volo d’un colibrì
che si rifugia in un abbraccio di foglie
e resta lì guardingo ad aspettare
che cessi la tempesta.
Oh ci sarai puoi scommetterci da subito
perché gli anni rotolano silenziosi
e quello che resta indietro è rumore
assiduo di conchiglie spazzate dalla risacca.
Per me ci sarai che ti seguo ora
come la scia d’un meteorite prima
che impatti al suolo deflagrando.
Ho abbandonato ogni mio dubbio e vigilo
perplesso se confluire in quest’attesa
o lasciarmi condurre da altri venti
prima che canti il gallo alla mattina.
Cresce l’anima e disgemma frutti
ancora acerbi al gusto.
Volerò lontano da questi frammenti
che mi piovono addosso come schegge
di granata e il cuore è uno stantuffo
impazzito che cerca il luogo adatto
per riposare tutte le sue lacrime.
In questo solamente io confido
scivolando leggero come piuma
turate le orecchie come se uno sconquasso
di rocce stesse piombando giù a valle.
Ho chiuso gli occhi a mio padre
ma mi resta il suo grido di pietra
che il confine sottile della vita
gli ha stampato sulle labbra.
Ho elaborato il mio lutto
con cura certosina ma non è finita –
tutto è ancora da ridiscutere.
A volte mi sembra di sorridere
ma non sono io, è la mia controfigura
che mi guarda dall’alto
in grandangolo.
Vorrei che tutto si sciogliesse in fondo
sedimentando come un grumo amorfo,
che smettessero di sbattere queste ali
spiumate, che l’orizzonte si richiudesse.
Altra storia è la vita dal disegno
che se ne fa sul vetro appannato
dal vapor acqueo d’una bollitura
ormai giunta al punto del non ritorno.
Onde lontane frusciano e le cogli
con una scia di senso se ancora il senso
può soccorrere questa tua ricerca.
E’ ombra il tuo buttarti a ventre molle
sul corso dei giorni come se la faccenda
ti riguardasse appena.
E tu sei anima che non si solleva.
Eppure la poesia è punta di labbro
che assapora il segreto del dire
e non dire e così scivola lenta
nell’imbuto dei giorni.
E’ finito il tempo che ne godevo
come si fa d’un sorso schioccato
tra il palato e l’ugola in attesa
di chi sa cosa.
La penna s’impunta sul margine
del foglio e le icone lampeggiano
sul video segnato da strane
interferenze.
La mia storia non ha peso né grumi
da sciogliere, contro un muro
di gomma sbatto le ali
di continuo, ostinato
come un colibrì impazzito.
BERLINO
. 1 .
Si chinano i girasoli al soffio lieve
della brezza estiva dello Sprea,
la città risorta accoglie turisti
distratti sul lungofiume opalino
solcato da ponti bruni di ferro.
Lontano, un alito di note annusa il cielo
frugato da guglie e grattacieli e io apro
il mantello e verso il frutto dei miei anni,
la notte tiepida che cresce dentro
come un estraneo e cerca spazi
dove allargarsi, per trovare un modo
di restare se stessa malgrado tutto.
Città di chimere che chiudono un’era
e mille nuove spalancano come se nascere
non fosse fatica e morte che increspa
le pieghe profonde dell’essere, città
di venti di guerra spettrali trionfi,
città avvitata sui suoi errori
chiave d’infinito, città pallida
come vi nasce e ancora sconosce
quale arcano sortilegio ne trasfigura
l’indole barbarica in danza
folle di suoni e di colori in piazza.
. 2 .
Ancora da lembi di macerie
l’odio vomita i rantoli di fuoco
che inghiottirono la città stretta a pugno
sui suoi corridoi di morte.
La testa dell’aquila è caduta
ma le impronte degli artigli non si cancellano
ancora dai resti del Muro.
Dove sei, vita? Ti chiama il popolo
dei dispersi dai vagoni che corrono
ai campi di sterminio, la cenere che
presto è diventato il loro miracolo e tu
sei notte, città proteiforme, gioco
d’ombre cinesi nella quiete assorta
d’un immobile pomeriggio d’agosto.
. 3 .
Vorrebbero spingerti fuori
ma la carrozza è sprangata e lunghe file
raccolte si piegano sotto l’onda
del convoglio e valli e laghi e distese
di niente trapassano i vagoni.
Vorrebbero che non esistessi
prima ancora di esistere, così le
tue parole non sferzerebbero la coscienza
di chi non sapeva di possederne una.
Ma oggi è andata così e non è
un giorno come un altro; il memoriale
di morte ha segnato un punto
a favore dei figli di Caino
e mentre il treno sferraglia portando
il suo carico d’odio e lacrime lontano
da casa, tu, piccola donna di
sempre, sogni il futuro lo tracci
con il sangue sul vetro che non c’è
a dividere l’ora dal domani
e chiedi a me a noi tutti a chi
verrà ancora a respirare
il verde dei prati tiepidi di sole
fino a quando si potrà chiamare terra
questo formicaio impazzito che
dilaga in ogni direzione guidato
dall’istinto di tenebra che lo acceca.
. 4 .
La partenza è come scoppio di grida
di rondini e artisti di strada
rumoreggia anche il cielo velato
da cenci di nuvole incerte. Fuori,
nell’emiciclo di Aleksanderplatz, la luminaria
è caduta, rimangono strascichi
di coriandoli echi di trombe e
tamburi. Mai fu ricordo foriero
di tanta realtà sul crocevia
immenso mistilingue dove cilindri
di ferro e cemento si sposano
a nastri d’asfalto roventi
di sole e di ruote. Lascia
cadere il pegno dei giorni sudati,
viatico sia al ritorno leggera
foschia che t’induca a ripensare
Berlino presente memoria di sogni consunti
sui verdi marciapiedi delle Strasse.
OLTRE IL MURO
. 1 .
Nero è il fondo degli occhi
che guardarono oltre la siepe
in un meriggio di maestrale
vegliato da stracci di cielo violaceo
mentre stormi impauriti di passeri
tentavano voli obliqui
tra l’aiuola livida e la staccionata
e tu sfogliavi un libro
attenta a che il vento ne strappasse
le pagine a brani dalle dita.
. 2 .
Naviga a vista il guscio di fortuna
che ruppe gli indugi dopo lunghe notti
ormeggiate a filo di sponda
incerto se soprassedere ancora
gli occhi sempre fissi all’orizzonte
di cartavetro screziato da voli radenti
d’albatri e nubi di recente pioggia
o se prendere il mare annunciato
dal respiro inquieto della risacca
ventre d’umori che irrompono adesso
inondando il pontile di fiotti
pullulanti di creature degli abissi.
. 3 .
Non scivolò inutile la notte
sui fianchi flessuosi della sera
accompagnando il vortice leggero
d’un altro ballo al lume delle stelle
tu e lei soli la dama dei vent’anni
rimasta tale e quale nell’effigie
del cameo che porti appeso al collo
lei ti domanda dove sei stato
in tutto questo tempo e tu non rispondi
mentre a danzare è rimasta la luna
che riflette due ombre ormai sbiadite.
. 4.
Malgrado tutto il tempo è galantuomo
si rasserenano giorni di tempesta
sullo sfondo monotono di noria
che tira acqua da un pozzo profondo,
la terra odora di muschio e frutta appena
colta e canta un’eco di ruscello;
nessuno può dirmi chi son diventato
meglio di questo coro di colombi
che tubano alla notte che non scende
e il passato è pietra adamantina
pudori celati sotto una veste corta
fotogrammi scanditi dal ritmo secco
di due remi che indugiano allo scalmo.
. 5 .
Roccia spessa è il tuo cuore
quando scorre la feccia dei ricordi
sedimento che resta in fondo al greto
d’un torrente spazzato da alluvioni
e la notte ti guarda da lontano
come una madre che con pazienza attende
il ritorno del figlio sulla soglia.
. 6 .
I nomadi del deserto si sono accampati
occhi azzurri confitti nella luce
soffia il ghibli asciugando ogni cosa
presto verrà l’ombra gravida di giorni
sepolti sotto il manto della sabbia.
. 7 .
Feria d’agosto sospesa
in linea di fumo che stinge
il cielo è uno scherzo di luci
fantasmagoria rutilante di scoppi
sull’arenile fuochi si estinguono
in guizzi acuti di lapilli
l’acqua scura beve bagnanti
in slancio gioioso di festa
aspettano l’alba raccolti
al chiarore morente dei bivacchi.
. 8 .
No il tempo non fu generoso
con te da cascami di mare
sbatacchiato sulla corona di scogli
dove cresceva la voglia di vivere
scrutando l’azzurro oltre il bianco
delle nuvole di recente pioggia.
. 9 .
Ubriaco di luce nottetempo
scorre il natante sopra schiume scure
che guardano slanci di pendici
striate di quarzo ocra e vermiglio
dinanzi al mare dove l’otre di Eolo
vomitò tutti i suoi venti
e il silenzio ronzante è cadenza
di millenni immobili vegliati
da un cielo ancora esterrefatto
dal sorgere di mondi in successione
spinti oltre l’acque come mostri neri
a punteggiare la distesa azzurra
d’una preistoria senza uomo.
. 10 .
E non fu storia la tua
chiusa tra pareti bianche
di calce senza occhi
di finestre solo in alto un abbaino
a rischiarare la conta delle ore
il flusso immarcescibile dei dubbi
che sempre abitarono i tuoi sogni
costretti a stare al passo col respiro
grosso dell’età che incalzava?
. 11 .
Ti divorerà l’ombra
al crollare dell’argine del torrente
e nude le mani si spaccheranno
inutili a opporsi all’urto dell’onda
nessun sole riuscirà a scaldarti
nessun sorriso potrà risvegliarti
dal sonno di piombo che precipita
avvolgendo ogni cosa e dovunque
in un battito d’ali di farfalla
che dura un attimo
lungo quanto l’eternità.
. 12 .
Niente fermerà la furia
acefala incontenibile
che oltre gli uomini risale
verso cime nebbiose
spazzate da venti gelidi
dove parole non giungono
e in giri di danza vorticosi
s’avvitano i destini d’un mondo
che in lampante vertigine appassisce.
. 13 .
Il vuoto regna sovrano
per anni luce di mondi
sospesi in orbite improbabili
ubriache di scie di polveri
inalate nell’attimo eterno
che diede la stura ai millenni.
. 14 .
Del mistero si prende gioco
l’anno che marcia a passo di danza
volteggiando come libellula
a tratti e ad altri soffermandosi
per dosare in esatto baricentro
le forze che lo sospingono
oltre il confine facile del dubbio
di trascolorare inutile
tra getti d’anima e rituffi di ragione.
. 15 .
L’ocra del tufo della cattedrale
esplode nel cristallo azzurro
oltre il flusso sinuoso
dei carruggi compressi tra la cinta
e il pulsare fervido del centro
onda crescente di vite
chiuse nel ventre immobile del tempo
che conobbe la scossa viscerale
del sisma sorto da epicentro oscuro
votato a distruggere l’anima
d’una terra indomabile che il drago
infilzato dal suo santo patrono
assunse a simbolo della riscossa
dalle macerie distese a drappo
sul cuore ancora fragile del vallo.
. 16 .
Controfigura in carta
danza senza posa
dietro il paralume che finge
passi piroette acrobazie
ma la luce è già fioca
sfuma la sagoma
votata a trionfi effimeri
forse era soltanto il volo basso
d’una falena ignara
del suo destino di stella cadente.
. 17 .
E Tu verrai a rinnovare
le foglie che il tronco
ha steso al suolo
in tappeto frusciante
che il vento scompone
frastaglia rimuove solleva
col moto proprio
degli astri e dei pianeti
sfere immobili che chiudono
in sintesi sola
le forze eterne del cosmo.
. 18 .
Vale la mezza misura
il conto rabberciato
del dare e dell’avere
spingersi oltre inquieta
rompe equilibri consolidati
che tornano utili al consenso
perché il mediocre è garanzia
di pavida inerzia
a braccia conserte in attesa
che cambi tutto per non cambiare nulla.
. 19 .
Sei la fine e l’inizio
il volo oltre frontiera
e l’attesa serena del rendiconto
domani potrebbe non esserci
altro da mettere sul tappeto
se non il vuoto lasciato dalla Tua assenza
quando ci si sbilancia appesi
a un lato solo del filo che corre
sull’acqua torbida del fiume.
. 20 .
Non cambia l’uomo
grumo chiuso di verità taciute
salto nel buio vile oppure intrepida
sfida al destino (o al caso poco importa)
non cambia il suo cuore di vetro
il suo piegarsi all’ignoto
ma l’anima quella no
non ha spazi né limiti
quando si offre al gioco
di notte delle stelle.