Enigma!

Come significarla questa vita che un dì m’appare peste e l’altro sogno?

Dardo scagliato a caso sul bersaglio?

Dopo il brillio e la tenebra siam tutti e sol buon terra da vivaio

composto in maggioranza al giacimento da cumuli di spento agglomerato

Nell’insignificanza del trascorso e l’incipienza del mio non vissuto

che dal presente attendo

vorrei trovar a un alfabeto nuovo il senso al giorno umano

Se è opera artigiana di natura o astrale sfacimento del buon Dio

Oppur di polpo astratto che ciecamente spruzza tra le branchie inchiostro nero

Non è un accanimento d’intelletto!

Da sol cristalleria nell’universo accetto l’acrimonia del destino

Ma della vita servo e morte schiavo chiedo alla massa che sovrasta il lembo

un’accezion all’esistenza d’uomo nella fugata e l’esserci affine ad un’insetto

Anco se con più lume e assai più sfarzo!

Qualcuno mi sa dir sul grande viaggio?

Se da diverse guise dall’atomo all’impero abbiam la stessa meta da obiettivo

vertigine e illusione del diverso son forse al trono dove sta il cervello?

Poscia decollo ascesa ed atterraggio dura l’indugio d’ingiusto ordinamento

Senza futuro e identico lo scopo mi sa di presa in giro

la dote con l’ingegno se dall’amico geco sorte non differisco!


La barriera

Ardon le fronde affastellate ed arse sul crinale aduso al camposanto

che par sollevar capo nei pinnacoli di marmo!

Velata nella bruma la strada bianca tarda a farsi vera

Non quieto il vento mesce nembo a nembo

S’agita il cipresso le morte effigi guardano un eco piange giunto da lontano

Tra cippi di vanità e mercenari fiori tombe crepate disabitate croci

Opere umane d’un freddo distacco

Eppur fu vita vera quanto offerto! E penso al nodo

al seguito d’umano votato al non ritorno e la conferma in tale servitù mi fa iracondo

E svelerei ogni cosa al greve arcano che fa di lor groviglio!

E stornerei all’inerzia e all’abulia la gigantesca alcova che fa di me coniglio!

Gettando sfida agli occhi vorrei schiodar quei cofani agli avelli ma l’uscio schiuderei al fetor dei corpi

Nell’intimo cammino del corso interminabile del morto là c’è rimasto poco

E pur vuoto di vento nel mio vaneggiamento sventolebber cenci nel sepolcro

Nella follia mescolerei le ceneri agiterei sol crine al mio delirio

Eppur so paradosso più là del mio pensier da forsennato

fa assai volume e grave corpulenza mattone di confine ed il cancello

Inconsciamente attaccano castigo son specchio di prigione!

E’ desiderio acceso carpir l’erroneo senso d’insistere del muro di calcine

Cavate le barriere! Sbrecciate tal confine tra ciò che è stato e quello che saremo!

Essendo noi la parte più insicura il fabbricato vallo che ci scinde

a questo sanguinoso appuntamento vela l’inganno e il vero opaca in noi l’origine e la fine

E’ trancio del cordone ombelicale che unisce in noi genesi e conclusione

Pur con età diverse vita e la morte in fondo son germane!

E per natura è giusto anco saper della saggezza c’anima il mortorio

Nel vincolar allo spento mani allacciate al ventre grascia ubertà e ricchezze

Tiranno prepotente e vessatore è tal l’unico loco che in cucce disuguali consola pur beffardo miserie

e le ingiustizie!


Affronto al Vate

Il versificator ha badile in mano per far becchino e seppellirmi vivo!

E’ vero non so dir in vena di canto come un narrare omerico

Né esser sirena per trainarlo nell’oblioso incanto

Eppur poco leggiadro sempre sorprendo il palpito a qualcuno

Ad un cane randagio che urina a schizzo per marcarmi il luogo!

Ma a volte son pennino vanitoso! E rendo necessario dar tributo

per la poesia moderna che ha passo dello spettro

Non lacera più il velo scodinzolando nega mutamento senza fissarti in viso

Per me è gemma preziosa! Moltiplicando il taglio del diamante voglio sfamare l’anima

Indi dal segmento rammagliato donar barbaglio che irraggi ad essa l’angolo più buio

Voglio sfregiare il complice silenzio su chi è obbligato all’unico deflusso

Ove c’è la cascata dopo il varco e giunge a fondovalle da affogato

Al seno avvelenato poppo il tossico io son lo scolatoio del discorso

Sul non veduto e sul dimenticato sull’infinitesimo e su tanto sul differente e sull’equiparato

Poroso muro assorbo e non tacendo seppur in verbo di nano sputo l’amar del mondo

Ma strofinato ho forse troppo fosforo! La bocca è nella polvere dietro la nuca il cielo

T’imploro oh Vate non calare il torchio! M’è insuperato cruccio e da rimorso l’aver osato affronto

Sedotto dal tuo soffio sappi t’ho letto in un baglior di sguardo al punto tal che andai a odiare il sonno

Devi saper giammai son stato ghiotto d’aver forma di bronzo nel commiato

In quello che m’attende oltre il sipario con la materia smarrirò anche il senso

E come la carcassa aduno al cesso onde evitar diverso effetto al peto

rientro nel perimetro chiudendomi all’indotto da strozzato

Ma ancora tu oh pennacchio vanerello!

E se dopo il trapasso vigesse in seno a umano tutto scemo precetto assurdo il qual per sortilegio

mi riconosca sommo artista pseudo? Nella gran notte pur se sfilacciato andrei a gioir nei viali al cimitero con lapide ostentata a documento!

Certo non Dario Fo né Pirandello Carducci la Deledda o Salvator Quasimodo

Senza obliare Eugenio al quale basico e scabro m’hanno unito

Turbando il sonno all’arnie fatte a loculo innalzerei il mio Nobel del Letterato Scarso!


La speranza

Lei non riposa mai né al buio e all’ora albina

Quando il rondone rade tra le mura o il pettirosso brulica di vita tra le neve

Ed alla svolta d’un qualunque giorno sotto la pioggia  o in confidenza al sole

a piè sospinto o lenta m’apparirà sul ciglio a precedere la notte

Sempre decisa all’atto irreparabile parrà appostata a caso

Quieta al suo asilo d’ombra senza saluto o cenno

e i passi soli e insieme saranno stati  invano

Inclino alla mia fine là serberò per me ogni lamento ma chiederò un soccorso

“Oh mietitore tristo togli la pietra al cuore ti voglio senza falce e senza teschio  

con il mantello nero solo a coprir pietose le carni nel mio freddo!”

Pur tuttavia sarà dolente l’ora e tremerò d’angoscia tra pullular di pianto  

Amaramente sopraffatto il corpo in vene occulte fuggirà disperso

e nel purpureo fasto la guglia scandirà mesta il tempo giunto

Arriveranno i mesi senza foglie ma un  giusto non morir col morir mio

E il mondo attorno s’andrà a posar distratto e scorrerà la vita e nelle città il chiasso

Come nei giorni simili già a questo!

Nel giorno nuovo in cui la notte culmina oltre l’effige persa in mille croci

e il nome per l’eterno abbandonato che rimarrà di me privo di sguardo?

Il certo d’oltretomba reso necessario mi fa aggranfiare a un segno

Allo sperar che l’anima pirata si tenga appesa a un filo nel suo vuoto

Non vista e non perita canora gridar in cielo a squarciagola

“Sono aldilà del termine nel tempo sconfinato a ribadir l’incontro col passato!”


L’inutile ricchezza  

Vertigini in cemento che sembrano rubarci dalla terra

Suolo che fugge città senza foreste e senza piazze

solo a misura d’omo deus ex machina

Centauro novello conquibus in metà tronco e all’altro belva

e non esiste limite che sazia da paradiso a bolgia  

Dall’apice di luce all’ipogeo nel pozzo pirateggiante sulla gran moltitudine vivente

E la ricchezza rara fa da giogo tenendo in scacco ai troppi le miserie

Pur principale artefice d’umana dannazione non l’addolora l’abisso di dolore

né il pallido del giorno del mondo crocifisso a cui conto il costato

Né la morte plenaria l’orrore pianto a lacrime finite

e il sangue sulla terra e l’ombra lieve dei bimbi di guerra raminghi verso l’ultima solitudine

Senza virtù né fede in se non vede legge

Par segua itinerario sovrumano ed a stregua di Dio non  basta suolo

E tempo stilla tempo il ventre è vincitore sul cervello

Cade malinconia cade miseria l’insidia del serpente è sulle strade

Né chiese  minareti e sinagoghe più lo sciamano non invoca prece  

Carni insepolte riucciso il Reincarnato con più vite

Distrutto il focolare non c’è più amore che ripara il male  

gli infanti alle capezze fan gli asini da mole

Estinte le memorie matura il non sapere dentro le stanze ignote germina malseme

Nel vecchio ormai prevale la libidine senza pietate e amore violenza su fanciulle bocche in fiore

Onta all’onesto percosso dalla sorte  vanto del vile tenute per il crine teste mozze    

Più non più diroccia l’acqua  alla sorgente non c’è rugiada che placa le arsure   

Nel mare senza spume  i passi dello sherpa sul fondale

Per ogni dove cadono rovine  le mutile metropoli riflesse senza guglie   

Ogni diversa luce non scorre con le ore  a mano a mano cedono i segni delle vite

Gli alberi megere i rami dita adunche  artigli in sommo avverso lune piene

Le orbite deserte non han più piedi l’albe il buio ora è impossibile a forare

Non si distinguon merde da foglie macerate

Il lume ormai languisce le notti mani fredde

Lo scarabeo è supino cede lo sguardo all’ultimo mortale   

Sull’orlo d’un dirupo morso da cani bradi   

un uomo  sempre in vita è l’ agognata preda!

Sospeso là tra culmine ed abisso

vuole elargir ricchezze a cui convenne per riaver l’estinto riproporsi di nascite e di morti!

Prova a pagar da testimonio stanco la fine al suo infinito!


La metamorfosi dei rivoluzionari

 

Senza pietà privo di assolvimento ma chi eravate voi tuonò mio figlio!

Dammi risposta fammi da torcia senza riluttanza

Vissuto col vivente ora compara e forse avrò risposta alla demenza ed anco all’ignoranza

che assai conflagra in questa buia era

Regalami una pausa del tuo corso!Provaste voi ad invertire il senso?

Lacera il velo alla stagione che poco riproponi  spesso con indulgenza

se non con ammirazione

E svolgi le pellicole sdrucite ridesta dal  lor sonno quelle forme

Dona la sveglia e fammi alzare gli occhi ch’è desiderio spinto il paragone!

Repressa in lei la parte inturgidita fu dalla torba inerte della schiatta

figlia di stile nuovo che nacque erba moderna senza tempra

Certo ai primordi tutta prese volume a destra  a manca e pronunziò le accuse

verso l’uomo potente muro da sbriciolar per liberar la neo anarchia nascente    

Vibrò nell’aria e penetrò nel folto brama di mutamento

E noi ci aprimmo in toto a quel richiamo per risaltar le  voci d’ipogeo

Ma poi spiegati in volo noi fummo solo ansiosi di risplendere

con i miglior distesi sotto al segno di croce

Caddero maschere identiche le danze

Ripetizione eterna del vizio d’uomo subdolo prima il denaro indi la par conditio

Modus operandi abietto in quanto noi non privi di scibile e criterio

Non prezzolati pria gridammo liberi poscia corrotti ora cantiam noi stessi

E voi che disperate anche le grazie senza  famiglia un tempo gran forziere

scagliati a catapulta agonizzate

Ed io mi sento verme a paragone!


Poco alla volta

Da una specola osservo in tra le stelle le guglie col motore nucleare

destine a macerare nel brodo interstellare

Uscendo dallo speco non credo illuminare l’universo

al nostro gene sia davvero scempio

Colare nel suo abisso entrar alle conoscenze

bruci certezze della dopomorte rompa la fedeltà col trascendente

Consumi contumacia volontaria all’anima gentile

E’ la porzione torba della razza che m’aduggia!

La parte della specie che ha sverginato in toto la natura

rubando l’occhio al falco il muscolo al ghepardo

le fauci al coccodrillo a iena l’appetito

Con urli di battaglia disseminando il morto sanguificato ha ogni radice al globo

E  disertato il grembo che nel sereno pur sorride poco!

Entrando nel futuro del tempo che ci attende avete calcolato il lavoro cadaverico?

Lei brucerà da avverso luna ed astro nel nome dell’antico o nuovo conio!

Piuttosto che avventure all’irto poggio occorre fabbricar la nuova storia

Prima che scenda l’ombra e fugga l’ora c’abbia pietà di sorte alla bisogna

E nel vissuto faccia contrappeso al tribolato di chi la morte non rilascia visto

Chieda più cielo pel mondo miserabile di pane laddove cova il male a dismisure

A giorno alto e tramutata l’anima risolveremo i luminosi incanti  

Ed allo spazio propria e  misteriosa infinitudine!


L’ineluttabilità di vita e morte

 

E’ col suo andare alto bella la vita dona luce al buio

Eternità all’effimero la fiamma senza fuoco

Calore nell’inverno bellezza all’imperfetto

Consesso di farfalle nell’autunno

E serri a te le volte delle palpebre d’empireo e del muro di soffitto

perché rimanga tutto straniato dal contorno nell’esilio

Poi coll’alterno nel lucido inganno soggiunge il mutamento

Gelo d’estate caducità all’eterno

E a primavera tra perite foglie ecco larva Narciso

Quanto una faccia ch’abbia perso il volto

ambisci a fianco annuziatore nero che veli le pupille dell’essere tuo stanco       

Amore malinteso sia l’esistenza turpe o seducente sa d’ambiguo

Tra l’ispido e l’amaro calcando le parole più del giusto

E’ paradosso!

Ma pur in sapor d’iniquo e pietra di sepolcro è ciò che da la morte a tutti è probo!

Da cieca quanto talpa spesso t’appare pazza e insinua il  sospetto

che la caduta al suo nero cospetto non sia dovuta alla memoria conscia del vissuto

Ma a un sentenziar di bingo  

E alla lettura del verdetto ovvio c’è tumulto

Io nulla vedo estraneo dal passato!

O per viltà o per comodo sono respinto e attratto

Nei possessivi limiti non so chi m’ è più presso!

Tra chi concede fiato e chi lascia alla gola l’ombra del capestro

Da ospite in silenzio voglio sperar che dal travaglio agonico

nasca in un giorno d’anime spirito imperituro!