Cosa voglio fare da grande
Sin da piccola ho sempre sognato di fare qualcosa per la gente che ha bisogno di stare in compagnia, per le persone che non riescono a buttare fuori tutto quello che hanno dentro…qualcuno penserà sicuramente che il mio desiderio sarebbe quello di diventare psicologa, ma non lo è.
Ad esser sincera non mi piacciono neanche le persone che svolgono questo mestiere, li vedo troppo impiccioni. A me piace che una cosa mi viene detta perchè si ha fiducia in me e, non per lo strizza cervelli che magari sarei.
Fino all’età dei 10 anni mi piaceva fare l’infermiera, come mi appassionava questo lavoro, non so perchè, però mi piaceva molto.
Sognavo sempre (ogni qual volta, aprivano la porta della mia stanza, dov’ero ricoverata periodicamente per subire interventi chirurgici agli arti superiori e inferiori) di vedere entrare uno alla volta (uno dei miei bei fustoni dei miei fratelli), con un bel mazzo di fiori, per chiedermi di sposarli…davvero non scherzo, non sapevo ancora che non si potesse fare tra fratelli.
Gli anni passavano, io crescevo sempre di più e i miei progetti di vita cambiavano quasi in continuazione. Dipendeva dalle cose che vedevo fare agli altri, se mi piaceva dicevo che era anche il mio sogno, sennò non ci pensavo neanche lontanamente.
La mia vita da sognatrice continuò ancora per poco. Più grande diventavo e più i miei sogni iniziavano a svanire. Vedevo tutto nero, credevo che per me non ci fosse più alcuna speranza, i medici avevano detto a mia madre che sarebbe stato inutile continuare ad operarmi, che era stato fatto tutto il possibile per me, anzi che per la diagnosi che ho, avevo fatto passi da gigante.
Allora tornammo a casa senza aggiungere altro. Rimanemmo tutti male (dopo la notizia ricevuta)… ma io “fortunatamente” ho una famiglia splendida, che è sempre riuscita a non farmi pesare i problemi che ho, ed esser stata trattata sempre come una bambina “normale” come gli altri. La vita per noi continuava, io andavo a scuola, i miei genitori e miei fratelli continuavano con il proprio lavoro. Dopo qualche anno sentimmo parlare di un altro medico. Prendemmo un appuntamento per fare una visita, ci riuscimmo e dopo che mi visitò, ci fece capire che operandomi al braccio c’era la possibilità di riuscire a dargli la funzione giusta nel riuscire ad adoperarla normalmente. Eravamo tutti così felici, finalmente una piccola porta di “speranza” iniziava ad aprirsi. Dalla contentezza iniziai anch’io a farmi qualche progettino nella mia testa! Arrivò il giorno “tanto atteso” dell’intervento, tutti immaginavamo che una volta uscita dalla sala operatoria avessimo avuto delle belle notizie. Ma purtroppo le cose non andarono così.. Ci furono delle complicazioni, lo specialista, quando feci la visita, non si accorse che io ero priva di muscolo. Uscì dalla sala operatoria, mentre io ero ancora sotto i ferri, per parlare con mia madre e dirle la complicazione, disse anche però che forse nulla era perduto, le ha spiegato che se lui mi avesse collegato un tendine della caviglia al braccio, io avrei avuto lo stesso il risultato dichiarato, solo che prima di farlo aveva bisogno del suo consenso. Mia madre gli disse che il medico era lui, quindi se credeva che quella sarebbe stata la cosa migliore da fare per me, di farla essendo che io ero ancora sotto sedativi. L’operazione continuò, ma l’esito purtroppo (per me) non fu quello che disse. E questo è stato il mio primo intervento andato in fumo.
Iniziai a non aver più fiducia in loro, ma cercavo comunque di non buttarmi giù del tutto. Cercai di dimenticare il tutto il prima possibile, mi ripetevo a me stessa: <<la vita continua>>.
Passarono un po’ di anni dopo l’intervento, mentre guardavamo la tv con mia madre vedemmo un’intervista ad un chirurgo che sembrava davvero adatto al mio caso, perché fece vedere un bimbo come era riuscito a camminare senza tutori alle gambe dopo averlo operato e dopo tanta riabilitazione. E’ stata una bella sensazione x me vedere quei suoi miglioramenti. Mia madre mentre lo guardava mi disse: <<Non sarebbe bello che tutto questo accadesse anche a te?>> Non le risposi, perché dentro di me avevo ancora quella paura che potevo ri prendere un’altra delusione. E nel fra tempo che ci pensavo la conduttrice del programma fece apparire sullo schermo il numero della clinica, per dare la possibilità alle persone da casa che volevano contattarlo. Noi prendemmo subito carta e penna “dall’entusiasmo” che ci sarebbe stata nuovamente una nuova speranza. Il giorno dopo ci mettemmo all’opera nel chiamare la clinica per cercare di riuscire a fissare un appuntamento. Riuscimmo a fissare la visita, mi dissero che dovevo andare li con tutta la mia cartella clinica. In attesa che il medico arrivasse la tensione mia e dei miei credo fosse a mille. Dopo aver guardato tutte le mie carte e visitata, mi guardò dritta negli occhi dicendomi: <<Giusi, tu davvero vuoi camminare sola con le tue gambe?>> Io naturalmente gli risposi di si! Che sarebbe stato il mio sogno più grande da voler realizzare. E lui (sempre con un tono molto rassicurante) mi disse: <<Allora, io dal 2000 inizierò a farti il primo intervento!>> Mi spiegò tutto il percorso lungo che avrei dovuto affrontare, sottolineandomi sempre che dovevo armarmi di grande pazienza perché sarebbe sta una cosa molto dolorosa, ma che avrebbe avuto il risultato tanto atteso.
Com’ero felice nel aver ascoltato quelle parole, finalmente iniziavo di nuovo a fantasticare con i miei pensieri. Non mi interessava che avrei sofferto, per me contava solo il risultato che avrei ottenuto. Pensavo già, che finalmente potevo andare a comprare un paio di scarpe in un negozio e non più da un ortopedico, entrambe della stessa altezza, senza alcun bisogno di rialzo. Pensavo anche alla mia mamma, che non avrebbe più dovuto fare i servizi di casa da sola, perchè finalmente l’avrei potuta aiutare io. Era come se già avessi toccato solo con un dito il mio futuro. Mi vedevo diplomata, laureata, con un lavoro già alle porte, un auto tutta mia e un domani anche con un principe azzurro tutto mio, con la quale finalmente avrei potuto formare una famiglia tutta mia, con tanti bimbi che avrebbero gironzolato per la casa mentre i nonni cercavano di farli stare buoni.
Finalmente, dopo un anno esatto, arrivò quella chiamata tanto attesa per l’intervento. Partimmo, e dopo due giorni di esami vari, mi operò. Quella mattina avevo un’ansia addosso indescrivibile e tanta paura, non molto per l’operazione, ma per l’anestesia. Per me era e lo è tutt’ora un trauma addormentarmi con la paura di non svegliarmi più, anche se so benissimo che è impossibile che accada ad una persona che non ha problemi cardio respiratori, però il panico c’era lo stesso.
Fortunatamente (come sempre) prima di entrare in sala avevo i miei genitori che mi davano conforto e coraggio, la mia mamma mi ricordo che mi disse: <<Topolino mio, entra rilassata con il pensiero che ad aspettarti che ci siamo noi, che ti vogliamo tanto bene!>> Allora, anche se avevo qualche lacrima, mi armai di coraggio e cercai di addormentarmi con le sue parole.
L’intervento durò otto nove ore circa, all’uscita il medico sembrava fosse positivo, quindi si pensava che era andato tutto bene. Tanto dolore (normale dopo un intervento) in tutta la gamba dopo il risveglio, come molta fame! Di solito dopo un lungo intervento, sarebbe consigliato (alle persone normali) bere per tutto il giorno solo un pò di thè caldo, io invece non ne volevo proprio sapere di thè, ma più tosto di un bel paninone con pomodori secchi o melanzane sott’olio. Allora, la mia mamma (conoscendomi e non sopportandomi soffrire anche dalla fame) mi ha dato una bella rosellina di pane, meno male che non ho avuto alcuna reazione di nausea.
Per sei mesi ho dovuto tenere dei ferri (chiamati lizerof) alla gamba, entravano da una parte e uscivano dall’altra, ogni mattina il mio papà doveve girare con una chiavetta i miei bulloni per poi vedere il risultato dell’allungamento, addrizzamento del ginocchio e piede, e ogni fine settimana doveva farmi la medicazione, togliermi tutte le garzine disinfettarmi e togliermi le crosticine che si formavano fuori, per evitare che mi potesse venire qualche infezione. Conclusione della mia sofferenza dei sei mesi? Negativa… gamba accorciata, ginocchio e piede rimasto come prima e in più, dopo avermi tolto i ferri, frattura incidentale alla caviglia, non creduta subito dai medici e infermieri, piede diventato viola dopo due giorni di frattura non soccorsa, dopo ingessata finalmente, per altri quattro mesi. Terminata la degenza e tolto il gesso, mi chiamarono a visita per vedere i risultati, speravo che mi dicesse qualcosa di concreto, di serio e invece le sue parole sono state: <<Hai delle belle gambe, dai Giusi, alzati dalla sedia che adesso puo camminare…>> inizialmente credevamo (io e mio fratello) che stesse scherzando, invece, appena mi stava tirando per mettermi in piedi con forza, abbiamo capito che faceva sul serio. Mio fratello lo allontanò da me con forza e mi portò via da quello studio distrutti. I miei sogni distrutti in mille pezzi peggio della volta precedente, stavo malissimo, avevo perso la fiducia totalmente in loro, li vedevo come tanti macellai capaci solo di illudere la gente. Niente negozi di scarpe, niente poter aiutare mia madre con i servizi di casa, non mi rimaneva più niente di niente, mi sentivo inutile per loro, tutto il mio dolore lo tenevo dentro, e anche se le persone che mi vogliono bene cercavano di non farmelo pesare, cercando di starmi tutti vicino il più possibile, mi sentivo insignificante. Non sopportavo per niente parlare di loro, credevo fossero tutti uguali, capaci solo di fare sperimenti sulla gente. Non volevo più prendere l’argomento (operazione).
Poi con il passare degli anni, riflettendoci bene, secondo me, da qualche parte del mondo c’è un vero specialista per me, per la mia diagnosi, e un giorno riuscirò a trovarlo, così finalmente risolverò, almeno una minima parte dei miei problemi.
Come esiste l’ortopedico, il fisiatra, e tanti altri specialisti per ogni categoria, sicuro che ci sarà anche uno bravo per la mia. E come sono arrivata a realizzare sogni più realizzabili, riuscirò anche in questo mio intento.
E dopo di che, mi piacerebbe aprire un centro per le persone che non credono più ad un qualcosa, che troppe volte hanno preso delle delusioni e non riescono più ad avere la forza di crederci, di sperare che ancora possono riuscirci.
Cercare di fargli capire, che nella vita bisogna saper attendere il momento giusto per realizzare il proprio sogno.
Una volta arrivata anche a questo obiettivo, spero che la mia famiglia sia orgogliosa di me (più del solito).
Crescendo ho imparato che bisogna credere al 100% in quello che si vuole, e tutto filerà per il verso giusto.