Come lo dicono i “pazzi”.

Omaggio a tutti i pazienti psichiatrici.

La pazzia è il crocevia tra il bene e il male; è il mescolarsi della morte e della vita, perennemente in conflitto; è la personificazione delle mille lotte quotidiane, che si manifestano nell’unica persona del pazzo, è l’energia che esplode o implode, consumandone l’esistenza, estinguendone la personalità;
è la ricerca spasmodica del senso vero delle cose, nel paradosso che invece ti confonde; è l’anelito a cercare le spiegazioni, che “tutti sanno e nessuno sa”; è la sete di chiarezza offuscata dalla confusione; è la ricerca di una coerenza nell’abisso del caos.
Non pensate che sia una fuga: è l’esito doloroso del dramma umano, che si riassume nella pazzia di uno solamente, specchio in cui si riflette la società impazzita.
In fondo il pazzo vuole solamente vivere!

I pazzi non hanno fede! I pazzi hanno sete!

Loro hanno perso il senso del tempo e dello spazio.

Non vanno avanti come pecore, ma bussano, bussano sempre a porte diverse, nel tentativo di ritrovare la strada che hanno perso.

Non fanno finta di non sapere, perché sanno, hanno scoperto qualcosa che non può essere nascosto, sebbene siano messi a tacere da quelli che hanno scelto di non sapere.

Sono dei rivoluzionari degli schemi, ma non lo sanno fare democraticamente: democraticamente si commerciano persone, democraticamente si processano gli assassini, democraticamente si uccidono i feti.

I pazzi vedono anche quello che gli altri non vedono, e le chiamano allucinazioni!

I pazzi si soffermano sulle cose molto tempo, senza riuscire a trovare il perché, e li chiamano deliri!

I pazzi si rinchiudono in se stessi, per difendersi da chi li considera asociali!

I pazzi sono ipercinetici perché sanno di aver perso molto tempo, ed è l’ora di agire!

I pazzi cercano un abbraccio e invece gli danno le pastiglie!

I pazzi non hanno fede…hanno sete…sete di verità!

Non cedono, hanno il senso della giustizia, ma si comportano male!

Non vanno in discoteca: a quell’ora dormono e poi dormono ancora! È meglio che dormano, così fumano di meno e stanno calmi!

Quando rompono qualcosa, li legano, quando dicono una parola di troppo, li sedano, quando piangono, gli danno le pastiglie di antidepressivo.

Loro non “vanno a prostitute” perché delle volte non riescono nemmeno ad aprire le gambe per farsi il bidét: si vergognano!

Se invece vanno in giro senza vestiti, tutti si scandalizzano, anche se poi, questi “tutti”, collezionano film porno!

I pazzi hanno capito, che in fondo sono solo dei pezzi di carne che si muovono, che sbraitano e che si agitano.

Non possono vivere la loro pazzia con dignità, perché è proprio la pazzia che gliela toglie!

I pazzi hanno fatto un viaggio nella coscienza ed hanno capito troppe cose in un momento solo, per questo non sanno contenerle, per questo sono incontinenti!

Loro non sanno mai che ora sia, hanno l’orologio sempre fermo, nell’istante in cui si sono persi di vista.

Alcuni devono portare il pannolone come gli anziani incontinenti…ed hanno solo trent’anni!

Non si dominano, ritornano sempre ad essere bambini!

I pazzi quando non riescono a dormire scrivono poesie.

Quando stanno bene, stupiscono tutti in tutto, quando stanno male, non riescono nemmeno a metter su’ una moca per il caffè.

Tutti hanno paura dei pazzi perché sono imprevedibili e inattendibili, dicono una cosa e ne fanno un’altra. Non ci si può fidar di loro!

I pazzi hanno gli occhiali sporchi: si dimenticano di lavarli…in fondo sono solo lacrime!

A volte quando vanno in chiesa, mettono gli occhiali da sole: c’è troppa luce!

Se vanno in campagna, sentendo il cinguettìo degli uccelli si accorgono di essere ancora vivi.

Vorrebbero fare una bella corsa, ma sono “legati” dagli psicofarmaci.

Quando fanno l’amore dicono all’altro di sbrigarsi, tanto loro non provano niente: sono sedati!

Se gli si fa un regalo arrossiscono, se te lo fanno, sicuramente è opera delle loro mani: non hanno i soldi per comprarlo.

Quello che la gente non sa è che i pazzi soffrono, soffrono per quello che dicono e non andrebbe detto; soffrono per quello che fanno e non andrebbe fatto.

Vorrebbero essere quelle brave persone che erano prima di ammalarsi, ma non ci riescono perché in loro qualcosa si è rotto, forse per sempre.

I pazzi quando amano, amano in modo pazzo, danno tutto, anima corpo mente: quello che molti non sanno fare più.

I pazzi si sentono sempre inferiori agli altri perché non sono capaci di vivere stando in equilibrio e adeguandosi alle “leggi” del “mondo”.

Vengono sempre messi nell’angolo perché fanno fare brutta figura: dicono cose fuori luogo ed hanno comportamenti poco consoni alle situazioni.

Consumano la loro esistenza vagando per le vie, in cerca di qualcosa da fare o qualcuno da incontrare.

Si commuovono facilmente e quando piangono gli si dice che è inutile.

Hanno smarrito il senso della buona educazione, vanno via senza salutare.

Si sentono sempre fuori dal cerchio.

….Eppure una volta erano delle “schegge” in matematica!

Hanno doti creative e quando realizzano un’idea, non sanno contenersi dall’entusiasmo.

Sono poco stimati perché quello che veramente sono è imbottigliato in se stessi dalla paura di osare.

Sono degli idealisti, ecco perché vanno ancora in psicoterapia…per riacciuffare il senso della realtà e guarire.

I loro sogni sono nella loro mente, sono troppo timorosi perché possano realizzarli.

Sono stati puniti molte volte con le “medicine” per il solo fatto di aver esagerato.

Quando si arrabbiano, sparano a raffica parole inascoltate.

Se ricevono una carezza gli vengono i brividi.

Quando s’innamorano, sanno che nessuno li prenderà.

Tutti gli fanno da maestri e loro si sentono ancor più infimi, avrebbero tante cose da insegnare, ma non hanno voce in capitolo.

Quando dicono la loro, gli rispondono che sono paranoie.
Rinunciano a molte cose, anche se le vorrebbero.

Non gliene va una buona!

Si sentono falliti, perché così come sono, potrebbero realizzare solo un millesimo di ciò che sarebbe possibile, se non fossero pazzi.

Hanno molti rimpianti.

Ritengono di non saper vivere, anziché considerarsi semplicemente ammalati.

Devono rientrare negli schemi se desiderano considerazione, altrimenti, anche se hanno ragione, passano sempre dalla parte del torto!

Non sanno fare a meno degli altri, sono continuamente dipendenti.

Non dite: “Pazzo!” a un pazzo, lo diventerebbe.

Semplicemente soffrono in modo “alternativo” rispetto al consueto, per questo sono considerati pazzi!


Il Pianto Del Colombo.

Il pianto del colombo
è un lamento dolcissimo e sordo,
come di un bambino che si culla nel suo dolore;
come di una donna, che geme di un piacere immenso,
tanto da solleticarle l’anima, fino a dolersi;
come il pentimento di un codardo o di un disertore,
che aveva sognato per tutta la vita, di riuscire nel suo intento.

Il pianto del colombo
infastidisce chi ha smesso di piangere
perché non crede più:
è quindi, un inutile capriccio!

Eppure il colombo
è una creatura modesta nel suo volo,
semplicemente delicata,
dalle piume leggere che il vento scompiglia,
dalle zampettine veloci e dal passo corto e repentino,
come una giapponesina dai piedini fasciati;
è un essere,
che quando è contento,
fa vibrare la sua ugola come un tamburello burlone.

Il pianto del colombo
è l’esito di un dolore infilzante, come un ago pungente, affilato,
che t’immobilizza nel tuo infinitesimale fulcro vitale,
mostrandoti incorniciato in un quadretto,
circondato da sguardi ignari e attoniti,
quasi adoranti
per tanto inutile soffrire.
Il colombo
non può fare a meno di emettere il suo suono, dolcemente cantilenante
come una giaculatoria, dondolando la sua voce:
è un modo per alleviare il suo stesso dolore, cullandolo e cullandosi,
accompagnato e lavato
da fiotti di lacrime cristalline interminabili,
che scorrono come fiumi placidi,
verso un mare d’incomprensione.

Il pianto del colombo
è un’atroce preghiera, agli orecchi dei “paghi”.
Quando il colombo si comporta così, è evitato, scacciato, deriso,
quasi emettesse ultrasuoni impercettibili e silenziosi, ma assordanti da ascoltare
per i cuori induriti.
Non è capriccioso, il colombo,
è semplicemente sensibile a ogni alito di vento
che arruffa le sue leggerissime piume:
lui si gira,
infilando la sua testolina sotto le sue ali candide,
e col suo becco si ripulisce e risistema,
da ogni piccola macchia e disordine.


L’Araba Fenice.

Come l’Araba Fenice è il nostro amore,
così come siamo noi:
sprofondati negli abissi del dolore,
annichiliti senza più aria da masticare,
senza più niente da voler inghiottire,
sazi dal peso dell’indigenza.
Risaliamo,
quasi contro natura,
come una lacrima dall’unico occhio piangente,
che, colando verso terra,
ritorna indietro, come risucchiata,
e rischiara lo sguardo,
ormai stanco di essere spento.
Amore mio,
che faccio piangere di commozione e mai sorridere!
Amore mio,
a te,
che hai scritto di me tanto,
e non ti ho mai risposto per iscritto!
Amore mio,
dagli occhi verdi bottiglia, smeraldini, olivastri,
azzurri laguna, d’oro incandescente,
cangianti come le maree,
tristi, immensi, sebbene minuscoli e pungenti e acuti.
Amore mio,
che hai avuto il coraggio di chiamarmi:
“amore mio!”
Il nostro sé: è perduto,
intorbidito e confuso, celato,
dalle sfaccettature di una personalità diamantina,
risultato,
delle nostre tante morti e rinascite,
dai baratri attraversati,
dai guadi di fiumi profondi,
dai bivi di strade incontaminate, che solo noi conosciamo;
e ritrovato mille volte,
nei nostri sguardi intrecciati, come due amanti folli;
e perso ancora;
lavato,
nelle nostre lacrime repentine,
unico effetto visibile
del nostro fremito viscerale d’Amore;
partorito,
da una sola parola sussurrata nell’orecchio,
ma straripante di sentimenti purissimi;
sbiadito,
come fa la pioggia d’inverno, colando sui vetri.
amore mio,
forse primo, vero ma ultimo,
amore mio,
al quale scrivo l’ultima poesia d’amore,
dopo tante poesie, che non hanno avuto ritorno
di poesia.
Come l’Araba Fenice, rinasci!
con l’ennesima tua poesia, per me.