PENSIERI, POESIE

A.

Mi hai vista piangere. Disperata senza confini. Hai ascoltato la mia voglia di diventare pazza perché pensavo di non avere più nulla da dire, da dare. Ora, seppur flebile, non pazzia ma follia entra in punta di piedi per accendere un lume con il quale cercare ciò che ancora deve divenire.

 

B.

I suoi occhi tinti di obliquo andarono a rannicchiarsi nell’angolo più lontano della stanza; quella azzurra, dove tutto può accadere senza vergogna. Tradirono così la morbidezza del suo corpo che invece si trovava al centro di quella stessa stanza, sprofondato nel blu di una sedia che cercava di darle un tono. Sfiorai appena quello sguardo e il vento freddo del nord fece il suo ingresso portando con se la sensazione di essere “uno di due” avvolgendola nel segreto che aveva finalmente ritrovato.

 

C.

Trovò le scarpe. Quelle rosse. le piacevano perché: ”mi fanno apparire alta!”-diceva, E lo disse anche quella mattina prima di uscire…non prestai attenzione perché l’abitudine al suono di quelle parole mi distraeva.

 

D.

Il morire fece il suo ingresso nella stanza. Fu Lisa a veicolarlo. Sveva l’acchiappò e le chiese: ”Come pensi che morirai?”. Lisa salì su un autobus, quello senza un autista (questa volta poteva condurlo da sola) e rispose :” felice, anche se non so che contenuto abbia la felicità”

 

 

E.

Un insieme di faccende complicate si muove nel mio pensiero incrociando quanto di più triste si possa trovare: un luogo, un tempo dove tutto è così fermo che agita la sensazione di non essere qui. Un’immagine vicina ma sconosciuta mi fissa: è l’anima che guarda il mio corpo ma sono gli occhi proiettati sul finestrino che le chiedono aiuto! Il contorno nero accentua il verde dell’iride come quel confine al quale spesso vado: mi sembra così lontano il giorno in cui ebbi la sensazione d’aver conosciuto l’abisso; talvolta vorrei rivederlo: solo un attimo, solo per essere sicura. Poi l’innocenza mi richiama sulla riva sabbiosa e calda dove ad attendermi occhi colorati mi cercano e non esitano: ma dove eri finita?

 

 

 

F.

C’è poi quel tempo che sembra eternamente breve. Questa brevità sarà eterna perché nel momento esatto in cui lo penserai, quel tempo sarà nuovamente tuo. Ma solo per quel momento, quello esatto. Quello tuo. Soli lì, per un attimo di tempo, riuscirai a sentire chi sei.

 

 

G.

Curiosamente raccolse la moneta. Valeva poco, nulla per la precisione. Affondò lo sguardo nel bronzo e nell’acciaio che un tempo nel legarsi in un movimento circolare, ne garantivano l’importanza. Si ritrovò nel “quando” anche lei si sentiva importante e fiera: del corpo, dei viaggi, della serenità fragile conquistata con forte determinazione. Solo allora riconobbe il luogo fatto di spazio senza tempo. Poi qualcosa di diverso sfumò il pensiero e l’ancorò ad una croce che maestosa prolungava verso un soffitto senza dimensione. Si ritrovò sola nell’eco fredda della cattedrale di una città fatta di pietra antica.

 

 

H.

Nulla passa inosservato. Tutto al setaccio! Mentre dimentichi la borsa sotto alla panchina di ghiaccio è finita la benzina; accosti e non trovi più la tua identità. Lacrime disperate scivolano sul fondale del nulla, nessuno ne  sente il rumore stridulo che striscia nelle acque stagne dell’infelicità.

 

I.

Non c’era alcun dubbio: quel giorno si sarebbe recata a casa di Luca per ritrovare se stessa. Cosa che accadde da lì a qualche mese. Quel pomeriggio pioveva ma era determinata e quando le labbra si toccarono sparì l’indifferenza alla vita e comparve l’amore per ciò che aveva dimenticato.