Il risveglio della Madre

Rotea da milioni di anni,

camminiamo sulla sua pelle indifferenti.

Inconsapevoli che noi siamo Lei

e Lei è noi.

Il Suo risveglio è il nostro risveglio

Il Suo respiro è il nostro respiro

Il Suo movimento è il nostro movimento.

Preghiamo il Padre e dimentichiamo la Madre.

Con infinito amore ci nutre e ci accoglie.

Ci abbraccia e ci consola

con fiori profumati e frutti dolcissimi

voli di uccelli e prati verdi

fiumi impetuosi e mari immensi.

Rotea da milioni di anni

e ci sopporta ancora.

Aspetta il nostro risveglio

la nostra attenzione

il nostro Amore.


Il rito della mietitura

Nell’antichità o meglio nella preistoria ogni gesto della vita era “rito” nulla poteva essere fatto pensando ad altro.

La sopravvivenza dipendeva dall’attenzione totale in ogni azione o non azione.

La parola doveva essere unica e non interpretabile diversamente dal suo significato vero.

Il silenzio e l’immobilità non potevano essere altro che silenzio e immobilità in una foresta pericolosa.

Non c’era bisogno di mantra o preghiere o riti o meditazioni perché tutta la vita era nell’attenzione.

Credo che il progredire della civiltà umana abbia portato con s oltre a una sopravvivenza più facile, un’organizzazione sociale che delega a un capo religioso l’organizzazione di riti e l’intercessione con la Divinità.

Il rito è un bisogno spirituale irrinunciabile e riprendere il contatto con il potere del gesto significa liberarsi dalla necessità di intermediari e trovare nei gesti quotidiani il rapporto diretto con l’Esistenza.

Seminare e raccogliere riporta il gesto a migliaia di persone che prima di me e dentro di me l’hanno fatto nei millenni della storia umana e che da sempre hanno collegato questa fatica al mistero della vita, al ritmo circolare del seme che nel buio della terra germoglia,  si innalza alla luce del cielo, fiorisce, dona frutti e semi che ritornano alla terra, come tutti noi.

La morte del grano preannuncia la sua rinascita e tutti i popoli rurali antichi l’hanno celebrata nel ritrovarsi insieme nel gesto della mietitura che era allo stesso tempo lavoro e festa.


Il lupo nero

Ho fatto un sogno. Sono in una casa, nel cortile ci sono due grandi cani, tipo pastore tedesco, uno nero legato alla catena, uno bianco libero. Decido di far fare un giro a entrambi e libero quello alla catena. E’ abbastanza ubbidiente, non scappa, però quando i due si trovano vicini si guardano con odio e ringhiano. Ho paura di aver fatto un guaio, si potrebbero azzannare da un momento all’altro. Cerco di distrarli e attiro quello bianco dentro una stanza della casa poi esco e chiudo la porta. Dopo vado a cercare l’altro, lo chiamo e lo riporto alla sua catena. Entro nella casa a parlare con le presenze senza volto che la abitano e cerco di spiegare che non va bene tenere due cani così, uno libero e uno legato perché si crea invidia e odio.

Mi sveglio.

 

Passano i giorni ma quel cane nero

non mi lascia più,

forse è un lupo.

Ritorno al mio stato acquoso,

cado come pioggia, bagno la sua pelliccia

mi lascio bere da lui.

E’ riconoscente per la libertà

che ho voluto dargli.

Sono nel cielo, nel fiume,

su di lui, dentro di lui,

siamo la stessa cosa, siamo liberi.

Non c’è più casa, né catena

c’è un bosco,

un lupo che corre sotto la pioggia

corro con lui.

La pioggia finisce

si aprono le nuvole ai raggi del sole

si aprono odorose le viole.

Ritorno donna.

Il lupo mi guarda, io guardo lui.

Il profumo delle viole ci avvolge

accorrono i bombi

cantano i merli.

Stabiliamo un patto:

lotterò per la sua libertà,

lui lotterà per la mia.