“L’’INIZIALE”

Stai lì seduto su quella seggiola
le mani giunte che toccano il naso,
lo sguardo perso nel rumore muto che ti circonda.
Li senti?
Voci che ridacchiano,
un pallone che vola dalla mano di un bambino capriccioso
e il vento del tuo desiderio
che sibila una lettera: quell’iniziale.
Un improvviso momento di perdizione,
un’impavida voglia di alzarsi, di partire e poi…
e poi ti riaccomodi ad osservare quella quotidianità così confortevole,
ad indossare la solita viltà e annuisci, al richiamo di una voce consueta e poco appetibile.


 “SENSO UNICO”

Non stropicciarti per chi non sa cogliere le ciglia senza rimmel,
per chi non sa pescare nello stomaco stagnante l’unico bozzolo rimasto,
o per chi non sa accarezzare il vuoto.
Non ne vale la pena.
Fa’ che l’unico peccato sia la tua assenza.
Solo questo, unicamente questo.


“NEI TUOI OCCHI”

Nei tuoi occhi meravigliosi
si intersecano immagini idilliache
che lambiscono una bramosia osteggiata dalla ragione.
E’ come un’ancora che trattiene un aquilone in volo.
Lì, attendo timidamente che il filo si spezzi
e che si libri nel vortice celestiale.


 

INCONTRIAMOCI LA

Incontriamoci tra il cielo e il mare.
Aggrappiamoci alle ali dei gabbiani,
teniamoci stretti per mano
sfidiamo il sole senza mai chiudere gli occhi
accarezziamo l’orizzonte.
Incontriamoci in quel limbo meraviglioso,
noi siamo magneti blanditi
l’un con l’altra,
bruciati dal fuoco dell’inferno
e abbagliati dai raggi paradisiaci.
Incontriamoci nei peggiori sogni e nei migliori incubi.
Incontriamoci subito perché mi esplode il petto:
è un turbinio di scosse, di schegge
che s’intaccano nelle viscere del mio essere.
E’ un’inspiegabile apnea che dura attimi infiniti.
Io e te.
Noi due soli.


 

COSTUME

Fateci indossare quell’abito che tanto vi aggrada.
E’ di seta indiana,
fluisce sul perimetro di un corpo imperfetto.
E il trucco?
Camuffa una sola ruga che una volta squarciava il viso.
Si chiamava sorriso.
Il cappello invece, meglio senza?
Raccogliamo questi capelli con un nastro.
Un nastro d’organza
che avvolge idee
pigre, labili chnecessitano di un cocchiere.
Le scarpe non le calziamo più
dobbiamo camminare scalzi senza lasciare impronte.
Allora?
Vi garba tutto?
Assaporateci in fretta e badate bene:
inizieremo presto a spogliarci di questo costume,
obbrobrio ridicolo.
Fatevene una ragione.
Noi siamo gli unici artefici senza alcun artificio.
Ci caliamo in nessuna sceneggiatura
privi di teatralità.
Pessimi attori incapaci che non siamo altro!


Gocce di Temporale

Appannato è il vetro da cui osservo il temporale
che tuona ininterrottamente.
E quelle gocce di pioggia che scivolano di fronte a me
si rincorrono fino a ricongiungersi
in fondo, sul telaio di questa finestra.
In un tutt’uno.
Nude gocce che si ritrovano dopo una vita di vacuità emotiva,
dopo una battaglia tra il fatalismo e la maestria.
Dopo una latitanza di intenzioni.
Dopo essersi ritrovati stremati,
sul telaio di un abisso spettacolare.


Beata Beatitudine

Beato chi l’ha trovato quel coraggio
laggiù in mezzo a un groviglio di ossigeno
vicino al mulinello di un torrente in piena
straripante di foga e di rivalsa.
Beato chi ha trovato il soffio dello scirocco
che ha sommerso con la sabbia
una lastra di ghiaccio per scolpirne un monumento di sacralità.
Beato chi ha trovato respirando dalla bocca
quel sospiro al sapore di vita.
Beato chi ha trovato un raggio fuggito dal sole distratto
amante della luna piena che imponente,
sovrasta la notte profonda.
E quelle stelle creature magnifiche
che distolgono il pubblico dai pensieri avvilenti.
Beato chi ha trovato il senso,
nemico assennato di domande troppo facili per essere poste
e troppo complesse per essere risposte.
Beato chi ha trovato l’essenza della purezza,
muta di sillabe e stridente di luce.
Beato chi ha trovato l’agognato amore,
dolce metà di una mela morsa,
calamita di poli uguali, similitudini di affinità mentali.
Beato chi ha trovato se stesso
senza accendere un fiammifero
in uno specchio frantumato dalla perdizione e dalla paura.


Cavalli Selvaggi

Un cavallo allo stato brado corre all’impazzata varcando linee
immaginarie, parallele perpendicolari di un itinerario fantasticato
Una criniera nera, arruffata, folta
ove non è possibile attraccare delle redini.
La coda oscillante che scaccia i pericoli
e fa da perno per non cedere alla vertigine.
Zoccoli lisi, consumati da un cammino spesso insidioso
di strade sterrate che si aggrovigliano
sotto un lungo tappeto rosso.
Poi, finalmente il riposo in un’oasi dove può abbeverarsi.
E una mano lieve, morbida che accarezza il suo dorso
lambisce un’inaspettata arrendevolezza sopita, tenera.
Sagace questa mano di chi ha teso la dolcezza
su un’ indomabile selvaticità.
Eccellente intento di distinguersi dalla codardia
di chi bistratta anime dalla natura incorporea
libere e girovaghe, svincolate dalle etichette populiste.
Noi cavalli selvaggi temiamo le vostre paure così delineate
da farci imbizzarrire e fuggire tra la polvere della vostra inezia.
Il nostro è un corpo degno di essere sellato
da chi supera il garrese della nostra profondità
da chi acciuffa con un lazo di delicatezza,
un frammento svolazzante dell’energia
che sprigioniamo generosamente.