Foglio straccio

Che ragazza strana.

Siede in un bar sorseggiando il suo thè caldo mentre fuori

il sole estivo

riscalda ogni cosa.

Scrive.

Cosa non so.

Muove freneticamente la mano come se non avesse più tempo.

Il foglio stropicciato subisce la sua furia improvvisa e conserva l’inchiostro.

Poi

Improvvisamente,

si ferma.

Lo sguardo rivolto alle scale,

l’evidente attesa nei suoi occhi.

Ma nulla accade.

Siede a un grande tavolo, da sola, con la sua penna.

Fissa la sedia vuota di fronte a sè, forse, consapevole che

la solitudine

una volta abbandonata

non si può rivivere e sopportare.

Siede immobile.

La penna abbandonata sull’angolo del tavolo.

Il foglio straccio piegato male, nella tasca.

Il rumore di un oggetto leggero che cade

rotola

e s’incastra sotto un’altra sedia.

Le sue mani immobili

non lo recuperano.

Quante cose ha già perso

la penna è solo l’ennesima.

Si porta la tazza alle labbra

ma non beve.

Una goccia fredda

la scotta.

Le brucia l’anima.

La lascia scorrere giù

fino a toccare il pavimento.

Forse

si domanda il perché di quel male.

Asciuga quegli occhi tanto grandi quanto vuoti.

Che ragazza strana.

Indossa gli occhiali da sole ma cammina nell’ombra.

 

Sono proprio una ragazza strana.

 


Bianco anonimo

Come un piatto in ceramica spaccato a metà.

Mi riaccosto all’altra parte di me nascondendo lo squarcio.

Non rimane che un leggero segno, sbiadito, sul bianco lucido.

Non sono che una crepa della mia stessa vita, l’esistere in modo riparato, raccogliendo le schegge e ferendomi con esse.

Sono sparsa ovunque ma non sono da nessuna parte.

Tu sei li che mi guardi cadere, come un soldato a riposo, non mi raccogli, non tenti di salvarmi.

Non sei più in guerra.

Non sono che un piatto di ceramica che cade, sostituibile

di un bianco anonimo.

Bianco come il foglio della nostra storia che hai perso chissà dove.

Parole tacite e silenzi urlati.

Suoni, profumi e fotografie.

Il tuo sguardo indifferente e il mio infrangermi a terra

fingendo sia un volo verso il cielo

e non una caduta verso l’oblio.

Sono in pezzi ma viva, ho ancora battito

ma tu, Anima, non sei umano.

Sei demone.

Sei condanna.

La mia.

Non ti riconosco e cerco il cuore nel tuo sguardo.

Sembra ieri eppur il tempo è scorso veloce, incessantemente ed inesorabilmente.

Sembra ieri, quel giorno di sole, quando mi hai detto: “ci vediamo lunedì, ti amo”.

Sembra ieri la felicità.

Sembra domani un nuovo giorno.

Ti guardo allontanarti.

Sei sempre più lontano.

Mi ricompongo.

Realizzo che non son altro che un presente vivo di ricordi pulsanti.


Il cavaliere

Ho il corpo che cammina nel presente

gli occhi rivolti al futuro

il cuore nel passato.

Mi sento fragile

schiacciata dal peso della realtà.

I capelli sciolti come le promesse.

Il cellulare che squilla

rumori, suoni potenti

e il silenzio nella mia testa.

Gli occhi serrati e le mani libere

per stringerne altre

che non ci sono.

Mi addormento.

Nei miei sogni ci sei sempre

con la tua armatura luccicante

che mi proteggi e mi culli

come la bambina

ch’ero e che, forse,

sono.

Tu sei il cavaliere di un’infanzia finita presto.

L’eroe di una storia che non racconterò mai.