Laura Mechelli

Racconti


A spasso col Grande Sconosciuto per i monti e per le valli del Trentino

 

Eccomi giunta, dopo tante ore di treno, in questa piccola stazione, quando una voce dal tipico accento trentino, mi è arrivata all’orecchio: «Asiago, signori, Asiago!».

Sono scesa e lo scenario dolomitico mi si è presentato agli occhi in tutto il suo splendore. Ho cominciato a camminare con passo svelto, perché il freddo pungeva, ma, in realtà, lo sentivo poco assorta com’ero nei miei pensieri. Mi trovavo in uno dei tanti luoghi cari ai nostri nonni e che subito mi hanno portato a spaziare con la fantasia in un tempo relativamente lontano. Avevo inteso e letto racconti riguardo questa terra e, finalmente, mi ci trovavo a vagabondare su una stradicciola che portava ad una collinetta fiancheggiata da alti abeti. Camminavo, ed un passo cadenzato mi accompagnava, pesante e chiodato. Mi sono voltata, ma non c’era nessuno, e ho proseguito finché un’ombra mi ha affiancato, e l’ho visto. Era un fante, con la divisa a brandelli, pieno di ferite, il viso scavato dalla fame e dai patimenti. Ho accennato a parlare, ma Egli mi ha detto di tacere, perché già sapeva cosa gli avrei chiesto. Ed allora ha iniziato a parlare con una voce che sembrava venire da tanto lontano e che, strano, aveva in sé tutti i dialetti della nostra terra. «Tu non sai niente di me e di questi luoghi carichi di storie e di ricordi, perché sei figlia di mio figlio e appartieni ad un tempo lontano dal mio; forse qualcosa è giunto fino a te, ma solo attraverso i libri».

Improvvisamente sono inciampata su una pietra e l’incanto è finito, lasciandomi come stordita, circondata da un rumoroso silenzio. Ho ripreso il cammino, è riapparsa quell’ombra ed è riecheggiato di nuovo il rumore dei passi. Ma in quel momento erano più d’uno: infatti lo Sconosciuto era seguito da un altro fante, che non era italiano, ma austriaco. Ho sentito questa voce gutturale chiedere al nostro soldato: «Valeva la pena scannarsi, per questi quattro sassi pidocchiosi del Carso?».

Sono giunta alla collina e al mio fante, che ancora m’accompagnava, ho fatto la domanda che mi è uscita di getto dalle labbra: «Ma tu, chi sei che non riesco a vedere bene se sei un ardito, un marinaio, un aviatore?». La risposta non ha soddisfatto la mia curiosità. Egli ha detto: «Sono uno del Piave, dell’Adamello, del Grappa, del Pasubio, di Monte Nero, di Caporetto. Ti basta?». Non mi bastava, ma ho capito subito cosa intendeva e ho continuato: «Sei uno del Trincerone, della Trincea delle Frasche, del Monte Corno, della cima del Sei Busi, del Cristallo, del Podgora, del Sabotino, sei uno delle dodici battaglie dell’Isonzo, ed ora riposi in Campidoglio, sei l’Italia intera».

Appena ho terminato di pronunciare quelle parole, la visione improvvisamente è sparita, e con essa il sogno. Davanti a me, in lontananza, si stagliavano maestose le Tre Cime di Lavaredo. Persa in quel paesaggio, stringendomi nel mio cappotto come a darmi conforto, ho pensato con commozione alla risposta che aveva dato poco prima il nostro Grande Sconosciuto al martire austriaco: che sì, valeva proprio la pena scannarsi per quei quattro sassi pidocchiosi del Carso.

 

Laura Mechelli