AUTOBIOGRAFIA PROFESSIONALE

La luce filtrava tra le vecchie persiane rotte senza che si potesse vederne la sorgente lontana. I bimbi dormivano. Lei no. Giulia non riusciva a prendere sonno e giocherellava con le mani della maestra che, dolcemente l’accarezzava per trasmettergli quel senso di pace che l’avrebbe indotta a chiudere i suoi occhioni azzurri.

“Maestra! Mormorò ad un tratto la bambina, con voce sottile, per non disturbare il sonno dei suoi compagni, maestra, ma come fanno tanti colori a stare in un puntino così piccolo?”

Il brillante nelle mani della maestra rinfrangeva la luce del raggio di sole. La maestra mormorò alla bambina “ssssss, i bambini stanno dormendo, ne parleremo quando ti svegli”. Giulia incuriosita, con la voce ancor più sottile, non demorde, per lei era una domanda importante “Questa mattina io non riuscivo a far stare tutti i colori di Arlecchino sul foglio, ma guarda!!! Qui dentro ci sono tutti. Li vedi?”. Quasi ad accertarsi che anche la maestra vedesse quello spettacolo, ripetè la domanda e la maestra rispose “è una magia, una magia della luce, dopo te lo spiego”. La parola magia evocò nella mente della bambina un qualcosa di dolce, rilassante e i suoi occhi lentamente si chiusero. Si addormentò.

 

Intanto nel silenzio, improbabile inquilino di una scuola dell’infanzia se non durante il sonno pomeridiano, la maestra cominciò a riflettere su come può essere profondo il pensiero di un bambino, seppur piccolo.

Giulia era una bambina “normale”- che brutta parola detta da una insegnante! Ma a ripensarci, ancor oggi, c’è da chiedersi come abbia pensato, a soli quattro anni, che fosse impossibile, improbabile, poter mettere tanti colori insieme in un luccichio così brillante e in un puntino così piccolo. Lei aveva compreso che era nascosto un segreto speciale, certo non conosceva né le leggi della fisica, né quelle scientifiche, né quelle ottiche… ma conosceva il tormento del dubbio, la possibilità della domanda, il sapore della ricerca, la meraviglia della scoperta, sì, perché a questo era abituata.

Queste e tante altre domande che i bambini ogni giorno si fanno, ci fanno (se gliene diamo la possibilità), sono l’oltre, il cambiamento, il futuro. Il bambino che vuole sapere, vuole conoscere, rappresenta il principio generatore di scoperta, di novità, di cambiamento.

Sicuramente sia Giulia, oppure Marco che un mattino arrivò e chiese “chi ha rubato la luna, maestra, stanotte non c’era più”, sia quel bambino che pare svuotato, senza perché, tutti, si aspettano una risposta, e aspettano di esser presi per mano per andare a scovare dove stanno nascoste le domande, o le risposte, in quel gioco combinatorio di fantasia e realtà che dovrebbe dar vita ad ogni quotidiana esperienza nella scuola dell’infanzia e non solo.

 

La risposta a Giulia non ci fu quel pomeriggio, ma la maestra invitò i bambini a portare a scuola oggetti di vetro, cristallo, specchi, bolle… ed il giorno successivo a scuola se ne scovarono altri ed iniziò un gioco, un gioco di luci. Le luci scappavano, i raggi si spostavano, i colori si rincorrevano dal soffitto al pavimento, di parete in parete, scomparivano, riapparivano, si spostavano, in un gioco singolare che forse non riuscì quel giorno a far comprendere a Giulia come i colori potevano stare rinchiusi in un puntino così piccolo, ma certamente avranno aiutato Giulia e i suoi amici a capire le meraviglie di un riflesso di luce.

Emozioni mai raccontate, forse, ma vissute, certamente.

Risposta giammai posseduta quel giorno, ma che un giorno, chissà, quasi per caso, Giulia avrà ritrovato nei suoi pensieri.