L’ALBA DI CERRÈ

 

È notte, tarda.
Poche stelle ad illuminare l’atmosfera della stanza chiusa dal vetro del piccolo lucernario.
Pertugio d’ovatta trasparente sul mondo addormentato.
Nessun avviso di tempeste, solo rade nubi lente.
Notte quieta di inizio estate.
Le creature del giorno riposano in assenza della luce diurna, quelle della notte cantano in lontananza la loro
presenza. Squittii, struscii, acuti cinguettii, un poco cupi e velati di mistero.
Chiusa nella stanza, protetta dalla notte, immagino il mondo lì fuori, i campi, i boschi … guardo un cielo che
è tela scura su cui dipingere i pensieri, traccia pulita sulla quale registrare tutti i suoni che non mi lasciano
sola.
Rare passano le auto, c’è chi non s’aspetta il doppio tornante ampio, qui vicino a casa mia, e sento i motori
grattare per la marcia inserita di fretta.
Puntuali nel loro perenne ritardo di dieci minuti rimbombano i rintocchi, allarmi metallici delle nuove
campane di Cerrè.
Non rimpiango la solitudine, nemica della mente turbata, amica nelle sere dove la pace abbraccia la mano
sulla penna nel trascrivere su carta sottili parole nere o il corpo a librarsi in una danza intima.
Domani, domenica, niente scuola. Sono di veglia ed attendo l’alba, il sole che quasi sempre spunta sopra il
monte lasciando in ombra l’Ara del Lupo e colpendo sulla destra il castello di Carpineti.
Questo sembra cavalcare le montagne, svetta nel paesaggio e domina ancora la vallata, oggi padrone di
piccoli centri urbani, signore di industrie sorte ai suoi piedi, lungo il fiume rimasto amico, solo invecchiato.
Passano i giorni e sono sempre indaffarati, densi di impegni. Il tempo passa, scivola via e con le unghie lo
afferro per fermarne il fluire, ma, inconsistente, non ne resta ferito e mi travolge, fatto di istanti veloci che
solcano il mio viso per le ore rubate al sonno.

 

Però stanotte attendo l’alba con animo tranquillo. Non mi manca nulla (e mi manca tutto).
Cerco quel pensiero che mi calma nel petto, immagino l’abbraccio e inganno i sensi per un magico istante.
Mi soffermo a guardare oltre la finestra, le luci delle case, dei lampioni, le strade illuminate dalle auto
gareggiano con le stelle, le prime più intense e vicine, le altre ci sovrastano nella loro apparente piccolezza e
misteriosa maestà.
Cavola, da qui non vedo le tue luci, ti nascondi dietro il primo monte e lasci che io immagini la tua lontana
visione notturna, eppure sei la cittadella più vicina a riempirsi di gioventù la sera, Cerrè in questo, ed altro,
manca.
Cerrè, sei il mio paese, dove la vita brulica verdeggiante, rigogliosa e meno urbana, però qui non ho amici,
né la scuola. Sei il mio paese dei sogni, il posto natio della mia anima, l’infanzia a metà. Ti ho diviso con un
altro posto, costretta, ma non ho tradito il legame, i ricordi che a te mi legano più di qualunque altro luogo.
Quasi mai sono qui, ma ti porto dentro.
Metafora di fuga, rifugio, quiete.
Freddo e zitto il mio paese tutto l’inverno, poi s’ammanta di colori la primavera ed odora di erba tagliata,
fieno secco, infine letame nella stagione più calda.
Sono dove voglio, ma la nostalgia conduce altrove la mente per addormentarsi tra la sensazione di mani
desiderate che mi coccolano e stringono a sé, come la cosa più cara, come se la lontananza fisica non potesse
nulla contro l’amore.
Canta il gallo, intona la sua melodia sgraziata la gazza sulla quercia vicina a questa finestra.
La notte dorme, è mattina.
Il sole, ancora fanciullo, porta un abito confetto, rosso pallido e albicocca che si confonde con l’azzurro
chiaro del cielo oggi sereno.
Quella stanza protettrice è prigione per la voglia di uscire a passeggiare e riempire occhi e polmoni con i
colori pittoreschi.
Scarpe alte sopra la caviglia, pantaloni lunghi e comodi, block notes, chiavi.
Cà ad Ròma, Armignone, dal 1958 si erge sulla strada. Intorno, poco nascosta al limitare del bosco c’è l’
altalena, sopra di questa la casetta sull’albero. In realtà sull’altalena si siedono i cacciatori ed i cercatori di
funghi quando passano di lì, ma solo io e mio padre possiamo dire come sia fatta la casa di legno. Entrambi
l’abbiamo costruita con anni di progetti virtuali e starà lì finché uno dei due non vorrà abbatterla, il suo legno
è ancora giovane, non come la vecchia altalena, marcia ed instabile.
La strada sale. Tre salite, cinque curve: sulla destra la Chiesa.
Domenica, ci sarà la Messa delle dieci.
Poco distante tace la casa delle persone divise tra anima e corpo, eppure associo la dimora dei morti alla
meta di svariati pomeriggi d’infanzia, brevi momenti intensi di ritrovo in se stessi e di saluto a quei cari,
conosciuti con le parole dei parenti stretti.
Si divide il percorso, mentre il sole inizia a crescere più alto.
Verso Cerrè, di case più fitte, la strada si fa più ripida.
Mio paese cosa mai offri se non più una scuola, né più il fornaio che passava un tempo sul suo furgoncino?
Solo un barettino, che però, la sera, si trasforma in posto alternativo per palati curiosi, cene di famiglia o
romantiche, intime degustazioni di piccoli piatti per gli innamorati. La Cantoria.
Solo paesaggi? Solo ricordi?
M’incammino in direzione di Vignola, passo davanti al caseificio ed un forte puzzo mi invade le narici …
affretto il passo.
Ecco la carraia che parte dalla curva e sale lungo il confine del campo, delimitata da cespugli di rovi.
L’erba non è ancora stata tagliata. Si scorge qua e là, nelle zone più ombrose un po’ di muschio.
Mi è inevitabile non pensare a questi occhi di muschio chiaro, velati d’acqua di ruscello e picchiettati di terra
scura. Quando con la testa sul mio grembo guardano nel vuoto, poi osservano dritte le mie iridi, il riflesso dei
miei verdi-nocciola si confonde nel dolce sguardo.
Seguendo il sentiero entro nel bosco e continuo a salire verso un punto sempre più elevato.
Rovi, rami che intralciano il passaggio, ragnatele, api.
Piccole margherite, farfalle, castagni verdi, scorci sul paesaggio attorno.
Ritrovo la breve radura cercata, meta della corta passeggiata. All’ombra dei cerri posso osservare il bosco
che scende ripido e s’infossa ai piedi di questo e del monte vicino per poi risalire, alternato a campi coltivati,
sino a casa mia. Appena riesco, corro in questo posto dove scrivo e posso danzare lentamente, simile
nell’arte ad una geisha, nel prestare attenzione al singolo dito, al mostrare il polso con sensualità … qui, dove
nessuno può vedermi, se non attraverso il mio racconto.
Sdraiata sul tappeto soffice d’erba fresca socchiudo gli occhi e ascolto il venticello irregolare che gioca con
le mie lunghe ciocche castane.

Domenica, a sera potrò rivederti.
Arriverai, ti aspetto. Non sono Arianna, né Cerrè l’isola sperduta di Asso.
Resta solo da coprire l’attesa, fino a sera.
Questa mattina trascorre lieta, senza i tanti affanni, piena di pensieri, sereni.
Pellegrina per gioco, ridiscendo il monte, per un altro sentiero, un’altra carraia.
Finisce il bosco e mi ritrovo nel vecchio campo sportivo dietro la Chiesa. Spuntano timidi ciuffi d’erba
ingiallita dove il sole colpisce più forte. Rettangolo soleggiato, l’unica zona d’ombra resta vicina alla strada,
proprio sotto l’edificio sacro (ora che il sole ormai volge verso ovest), riparando la pedana in cemento grigia
e liscia.
Un piccolo palco, è perfetta per esercitarsi in evoluzioni, giri in punta di piedi, adagi e variazioni. Manca la
musica, la porto dentro. Nella tua attesa.
Suonano perfette le note di quell’armoniosa melodia scritta apposta per me, quasi per cullarmi, ninna nanna
prima di dormire, musica per un buon risveglio mattutino.
Come un canto dentro che si libera in un suono flebile, ma dolce, e scuote le mie braccia, quasi spiccassi il
volo. Volteggio sulle punte, prendo con forza lo slancio e salto nell’aria vuota: si fa complice e mi sorregge,
qualora io mi lasci sostenere. Abbandono la paura e ora torno al movimento lento, ascolto il mio respiro e la
minima favella di rabbia e tensione rimasta si sprigiona in scintille che mi irradiano sino alle dita.
Ora posso danzare, ora, serena, e non mi accorgo di ogni pensiero, sento solo di esserci per davvero, sono me
stessa ballando tra movenze e parole. Solo un’immagine meravigliosa vedo con gli occhi velati
dall’emozione che mi pervade. Ti sento più vicino, stai correndo da me.
Ultima pirouette del manège, alzo il braccio proteso al cielo e l’altro parallelo al suolo equilibra e chiudo il
giro con imperfetta eleganza. Il capo lievemente chinato porto più in alto e vedo te.
Sei qui per me, io per te. Nel mio paese. Tanta strada per ritrovarsi, scoprirmi nella mia vera natura, le mie
origini.
Entrambi nati e vissuti fin da piccoli lontani dal luogo cui far ritorno periodicamente. Luogo chiamato casa,
portato via, altrove e ricreato nuovo, diverso.

Vicino, ancora di più. Mi sfiori, la mia danza si fonde in abbraccio con la tua musica.
Parole, spontanei passi studiati.
Danzerò finché, stremata, non arriverà la sera. Mi accompagni, segui i miei volteggi, mi allontano in
diagonale per correre da te con tre arabesque, salto …
Mani calde mi afferrano per la vita e potenti mi sollevano in aria. Cieca mi fido e mi lascio abbandonare, in
questa tenera presa.
Sospesa sento solo la tua presenza e la danza non è che mezzo per raggiungerti e sfiorarti a mia volta.
Piano le punte sentono il suolo. Un bacio suggella l’istante, adesso eterno, immortalato come in una
fotografia.
Insieme attenderemo questa altra notte. Quando si affacciano le stelle curiose.
Spogliarsi dell’abito del giorno e rivestirsi di calda luce.
Luci del paesaggio e stelle … le lucciole ballerine sembrano il legame tra terra e cielo, ci avvolgono con la
loro scia intermittente. Il tuo abbraccio, ogni tuo bacio mi proteggono, abbandonato sulle mie ginocchia ti
carezzo tra felici sospiri.
Paese mio, sono qui, ma in verità sono lontana, portata via in una tempesta di emozioni.
Stretti l’uno all’altra assaporiamo il venticello fattosi brezza gentile.
Gli occhi, pertugio sull’anima, rompono la barriera di vetro sottile. La notte buia non ci nasconde i colori,
anzi il chiaroscuro dell’orizzonte acquista le più diverse cromie.
La notte per gli amanti, il giorno per gli innamorati.
Assieme aspetteremo il sorgere del nuovo sole per svegliarci accanto, piena del tuo profumo intenso, ancora
addosso quell’aura di luce donata dalla notte con te condivisa.


 

Osservando le mie foglie spente
Credevi le radici secche
Eppure tra i rami disadorni
Hai intravisto gemme audaci

Il bianco tra i miei capelli bruni
Come magnolie in boccia
I solchi sotto gli occhi
Culle per la notte nera

Profumo d’ambra e di tigli
In un’alba a ciel sereno
Accarezzata dalla brezza
L’azzurro tinto di vermiglio

Il mio rosso che danzava
La tela nuda e la tua calma
Un abbraccio e la paura

Il freddo mi segnava il viso
Matasse di lana pungente
Per uscire dal labirinto

Un filo tra siepi di parole
Il silenzio ed il tepore

La bellezza

L’amore


 

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