Le variabili
Siamo noi le pericolose variabili
di questo mondo,
capaci di invàdere gli istanti
e rendere deserta l’eternità,
di piroettare tra inquietudine e indifferenza.
Noi che navighiamo in una pozza d’odio
e rinunciamo a un mare d’amore.
Siamo noi, con gli sguardi distratti
e i cuori incantati dal passato sfiorito
e dall’ acerbo futuro.
Così quel bocciolo presente,
abbandonato nel deserto
delle nostre fragilità,
incredulo fiore, si chiede,
perché mai nessuno lo colga.
I mostruosi non so
Nella solitudine dell’alba
si risvegliano tutti
i non so della vita.
Non so
che sembrano sogni
smarriti
confusi
incerti
con il loro non senso.
Il silenzio non basta
a tenerli a bada
prima che arrivino
gesti e parole.
E’ un non sapere
ingenuo
innocuo
sordo.
Poi invece diviene
Non so
di un mare in tempesta
Non so
di un uragano di voci e pensieri.
Il giorno che cresce
contorna con ricami folli
di punto croce
quei non so
e appaiono mostri.
Io stessa divengo
un orrendo
incarnato
non so.
Un abisso cupo
un vuoto letale
con l’anima, come un fazzoletto,
stretta in un nodo,
per ricordare
che voglio andar via,
via da questo passaggio di tenebre
senza luce in fondo.
Ma invece
resto qui
e la sera
chiudo i miei conti
con il giorno.
Uno in meno per abbracciare
per stare insieme
per sperare.
Si perché la speranza
è proporzionale
alla vita che resta.
Cuore
Muto e cieco
il buio
orfano di sogni,
dove nei piccoli fori
dell’alba cresce
l’edera del giorno.
Vado
Si!
Vado
tra le foglie scure
scalando il risveglio.
Piantando pensieri
- chiodi sottili -
Respingendo
i ritratti
del mondo in attesa
strappo radici
e salgo.
E poi l’eco del cuore
di coraggio ostinato,
ripete:
ama!
Il silenzio dentro
Il silenzio dentro
incessantemente
racconta storie
che a volte
non ricordo se mie,
oppure di una che c’é stata
in un tempo
pieno di nebbie
e rugiada.
Camminava
con tacchi a spillo
nell’erba alta
per raggiungere un amore,
qualcuno che come lei
non c’è più.
Entrambi sono stati
dentro un’unica vita,
breve e intensa
come una giornata di primavera.
Entrambi hanno creduto
di dimenticare
col calare della notte.
Ma ci sono luci
che non si possono spegnere,
mai.
E mentre lascio spazio
al silenzio dentro,
fuori scorre,
il rumore della vita adesso.
Via Bari
E’ vuota la mia via
che porta il sud nel nome.
Alberata di sentinelle,
d’inverno cariche di neve.
I bei giganti coi lunghi rami
mossi dal vento,
picchiavano sui vetri
della mia stanza.
Una a una son cadute
le basse casette
con gli orti e i giardini.
Le macerie han rinchiuso il vicolo
dove abitava l’amica mia piccina.
Poi han tagliato i tronchi
e strappato le radici.
Ora è vuota la mia casa d’infanzia.
Vuota come la via.
Vuota di noi.
Non passerò più di qua.
Non per fermarmi.
Non qui, dove ho amato
l’unico angelo della mia vita.
E’ un vuoto estraneo
dentro quei muri
che muti serbano così tanta vita
e parole e risa e pianti.
La nostalgia mi prende
per quella gioventù,
per quel passato,
sepolti dal presente.
Non c’è ragione ormai
per levare lo sguardo
sui balconi rossi di gerani
a cercare volti amati,
né per sperare d’incontrare
quei cari fantasmi
di questa o l’altra vita.
Se dici che la mia vita è una commedia
Un punto di luce
lì centrale
nel nero assoluto di un palcoscenico,
orfano di quinte e fondali.
I miei piedi nudi
sentono il legno incrinarsi
scricchiolio d’ignoto.
Buio e oscurità
solo quella spia luminosa
senza origine alcuna
e questa notte intorno
scenografia senza stelle.
Eppure io vedo il luogo
dove il mio corpo può stendersi
e lentamente divenire germoglio
senza nome
senza voce.
Non ho battute
Sono attrice vuota
Graffio questo legno ogni giorno
e poi lo accarezzo e schegge
attraversano le mie mani
scorrono col sangue fino al cuore,
spine velenose
di un maleficio eterno
che nemmeno la morte può risolvere.
Perché rinascerò
attrice della mia vita
senza un volto ingenuo
già corrotto
da passate interpretazioni.
Dunque io son
la fortunata
che mai più scenderà
da questo luogo di finzione?
Urlerò la tragedia, il dramma
Attraverserò la scena della commedia
dei nostri giorni.
Non saprò quanto ignara o conscia.
Nelle tenebre anonime
saprò cambiare, trasformarmi
e come un camaleonte confondermi.
Io, attrice di ruoli cangianti
per trattare le umane molteplicità.
Se sto recitando,
allora almeno datemi costumi variopinti
e truccatemi bene
che se dovessi specchiarmi
non abbia da riconoscermi.
Mannenquin
Portava un abito
per tagliare il vento,
per svoltare disinvolta
gli angoli aguzzi delle strade.
Fatto d’un tessuto
amaro e fitto,
pressato dai sui passi.
Lo portava lungo,
per ricoprire
il cammino
oscuro e rosso
delle tante ferite.
Vestiva un abito
come una lama d’argento,
per riflettere il sole,
per segnarsi i contorni
d’una via impervia.
Senza fori,
senza bottoni,
come un liscio sipario
su di un palco vuoto
e si nascondeva al mondo.
Chiamami
Chiamami
con mille e più nomi
tanti quanti quei fitti rami
di foreste eterne e aperte al cielo.
Chiamami
Per quelle di noi franate
nella trincea dei giorni.
Vigili al mondo
Intrise di stanchezza
Le noi inclini
all’attenzione
all’ansia
al desiderio e al sogno.
Tutti quei nomi
iscritti
pronunciati
poi dimenticati.
Chiamami
semmai
in ordine alfabetico.
Prima o poi
avrai risposta.
O forse già
alla A di amore.
Mio cuore
Cuore,
cuore mio
animale notturno
con ali troppo grandi,
fai un rumore assordante,
come di tuoni estivi.
Sta fermo ch’io possa dormire,
ch’io occupi luoghi silenziosi.
Oppure immobile
osserva quei sogni a metà
tra sonno e follia
ch’io non trovi più risveglio.
Cuore,
cuore mio
di petali schiacciati,
tra pagine lette e pagine scritte.
Hai macchiato così tante parole!
Ora il tuo suono
mi fora il respiro
e rimbalza come l’eco di mille tamburi
Non cercare una strada.
Resta quieto,
c’è tanto Nulla qui fuori.