Finitudine

Ho imparato che il dolore

quasi mai viene a nuocere:

il corpo è un abito,

tenuto insieme da molti aghi

e questa è l’agopuntura

del fachiro!

Penserai che l’amore sia faticoso,

ma, credimi, non è così!

E’ solo che il batticuore

lo ricordi dopo una corsa.

Cerca di avere sempre fretta,

ma imparala da chi davvero

ha poco tempo.

Dimmi, hai mai osservato i vecchi?

Sono davvero impazienti, loro,

non sprecano nessun attimo

ed è proprio per questo

che il loro incedere

è sempre così lento.

Vi incontrerete

quando il fogliame si dirada

e, svelando le trappole dei rami,

inizia la grande fuga degli uccelli;

quando in due giorni passa l’anno,

come spostandosi di pochi metri nel Pacifico

chiunque sarebbe potuto nascere l’in domani

e quando noi ce la tiriamo da profondi,

ma, a ben vedere,

questo andare oltre l’esteriorità

è solo un piccolo spogliarello

per capire, appena, se ci piace un volto,

un volto che, se non si copre a dovere,

il freddo davvero rende rosso,

ma non di certo per pudore o per imbarazzo;

o magari al matrimonio degli aranci,

quando le donne attendono

il lancio del bouquet;

o nei giorni in cui le pietre

danno spessore al loro fiato

per comunicare il loro essere viventi.

Ricordati, però,

che non c’è sacrificio più grande

di una bacio:

tra le tue e le sue labbra

c’è ancora respiro,

ma il tocco può avvenire solo quando

ci si priva di quell’aria

e allora -sì- che è giusto

che l’amore sia punito nell’Inferno,

essendo il bacio

un tentato suicidio.

Non disperare…

perché è la nostra imperfezione

a renderci Dei:

il nostro sapere,

non arrivando mai alla fine,

sarà molto più infinito

di quello contenuto

in qualsiasi coscienza divina.


 

Orto

Da ogni terrazza la visione è nuova:

verdure che ansimano per il caldo,

un’orchestra d’animali che suona

per gli zucchini radunati al ballo,

nelle loro larghe gonne arancioni.

Ecco il battesimo delle insalate

e visi invidiosi dei peperoni,

verdi come carnagioni malate,

che spiano la gioia della nascita.

Trovi nasi da clown appesi ai rami

perché quando scende la notte capita

che chi passa li lasci sugli stami,

forse un ubriaco o chi aveva freddo,

ma li erediterà qualche politico

con la necessità d’un nuovo aspetto

per acciuffare tutti i voti in bilico.

Mentre si ustionano ancora un po’ al Sole,

più in là penzolano le melanzane,

dicono di essere insane dal nome,

sono occhiaie viola e lacrime strane,

mai accompagnate da un paio d’occhi,

possono solo appoggiarsi a bastoni

come le tanto stanche ore ai rintocchi

degli immensi campanili dei duomi

che questa notte indicano il Cigno.

Nel posto con la migliore visuale

una stende gli uncinetti del ragno:

le sole reti che fanno volare

d’angolo in angolo ondeggiano al vento.

Vorrebbe andare come il ragno a strisce

o come quando l’aria entra nel guanto.

Controlla le fragole ancora in fasce

sotto la coperta di rete rossa.

Aria aromatica di salvia e timo,

un lombrico s’imbroglia la matassa,

mentre sfarfalla d’aghi il rosmarino.

Sull’albero del fico gocce nere

addensano stalattiti di zucchero,

ovunque il prato è fresco di barbiere

mentre alle angurie cresce fino al bavero,

palloni che faranno da tamburi

nella musica dolce che disseta

quel momento che saranno maturi

o gonfiati da una bocca segreta.

Dal pesco sederi di Cherubini

pendono sul contadino che dorme

tra i suoi figli spiantati nei cestini

e i tassi dentro le tane diurne.

Ha il viso scuro e la barba di un giorno,

buccia di kiwi un po’ affaticata,

le lacrime han trovato soggiorno

sopra la sua pelle bonificata.

Pronto a esercitare la sua maieutica,

ancora, senza croci né orologi,

e pur avendo un’opinione scettica

e legga “mai più” sopra i necrologi

nel cuore c’è una preghiera alla moglie

che da un po’ non lo aspetta più per cena

nelle orecchie parole che raccoglie

dall’orto che solo lo rasserena.

Nel bicchiere si specchia il temporale,

ma grazie alla poesia della natura,

questa sera si sente meno male,

rassicurato da una voce oscura,

che parla senza parole ma ha senso

non come quelle preghiere in latino,

che diceva nelle nubi di incenso

ogni domenica presto al mattino.

 

Avendo visto Dio anche dentro un rudere,

adesso sente davvero di credere.


 

Un petalo

E’ vero,

tutti dobbiamo morire,

ma se succede che è un figlio,

che è stato solo figlio,

allora scivola come un petalo

sulla terra.

E’ vero,

cade verticale,

allontanandosi dalle stelle,

nello stesso identico modo

di un frutto maturo,

ma a sua differenza

non c’è nulla che continui oltre sé,

lui scivola che era rosa,

scivola sfiorendo la vita, la bellezza,

scivola sotto la pioggia

attaccato solo per un punto,

anche lui simile a una lacrima,

scivola per amore

nel dubbio del m’ama o non m’ama

e senza sapere mai

se sarebbe stato amore.