Il mio faro

Non sono mai stata su una grande nave, non ho mai solcato il mare perdendo di vista la terra.

O forse sì… qualche breve viaggio riaffiora alla memoria.

Ricordo ancora la mia traversata da bambina, sul traghetto verso le isole Tremiti, con i miei genitori.

Conservo una foto di me, buffa bambola imbronciata, sulla scaletta di un ponte, un abitino rosa a palloncino gonfio di vento, un foularino stretto sotto al mento ad intrappolare i ricci allora ribelli e il faccino rabbuiato, perché il mal di mare aveva già prodotto i suoi effetti e delle isole Tremiti non m’importava un granché!

Mi torna in mente poi l’immagine di me ragazzina, timida e smilza, un lui di cui non ricordo il nome, tranne che fosse bruno e scapigliato, alto, occhi neri, siciliano, un po’ meno ragazzino di me.

Mi fece indossare un giubbino piuttosto ingombrante, sul bikini verde a fiorellini blu, mi trasportò letteralmente sul suo guscio a vela, mentre strillavo fra me e me tutta la paura del mondo, ma fingendo sorridevo sotto il sole d’agosto, perché lui era un giovane marinaio provetto e mi piaceva il suo sorriso.

Fu la passeggiata in mare meno romantica che si possa immaginare e fortunatamente il mio stomaco, messo alla prova dalle onde e dalle manovre veliche del mio bel marinaio, resse sino al ritorno in spiaggia fra scogli e gabbiani svolazzanti, imbarazzati più di me.

Per fortuna le vacanze erano terminate e del mio bel siciliano e della sua vela ho solo un vago ricordo.

Un altro viaggio a bordo di un motoscafo sbuffante, con un comandante affatto galante, noncurante del mio essere aggrappata alle paratie come una cozza ad uno scoglio, sino a quando finalmente volgendo lo sguardo su di me, si accorse che avevo perso all’improvviso la mia splendida abbronzatura.

Chissà perché gli uomini alla guida di un guscio in mare, piccolo o grande che sia, acquistano spavalderia e sicurezza che la terraferma loro sottrae.

Quella sensazione di sospensione, di galleggiamento, di paura per la perdita di un punto di riferimento in terra che ho provato in quelle situazioni, mi ritorna oggi nei sensi.

Come allora sento il vuoto sotto di me e il mare che allora mi sospingeva in superficie sotto il legno dei gusci, oggi è diventato l’immenso miscuglio di eventi che mi sballotta fra flutti e schizzi di vita.

Sobbalzo e ripiombo giù cercando appigli a paratie sempre più improbabili.

Non sono più la ragazzina imbranata e sognante del guscio a vela, nemmeno la giovinetta sul motoscafo del capitano muscoloso e selvaggio e il mal di mare dei tempi andati, oggi è il mal di vivere che agita i miei.

Onde e onde ho solcato da quei giorni e mi ritrovo a desiderare un approdo tranquillo, un angolo di sabbia e mare verde in cui finalmente abbandonare tutti i natanti con cui ho cercato di attraversare il mio oceano.

Questo mio oceano ha mille sfumature di verde, di blu profondo o il colore di un limaccioso fondale, ha il profumo di alghe fresche e vitali o l’odore di erbe in disfacimento su scogli puntuti e minacciosi.

Ho negli occhi e nel cuore il desiderio dell’orizzonte che si allarga davanti a me, quando all’alba in estate ritrovo un po’ di pace, accoccolata sulla riva sabbiosa dell’unico angolo di paradiso in cui il silenzio può regnare sovrano, davanti alla mia casa al mare.

Ritrovare la rotta non è mai stato semplice dopo tante bufere.

Oggi ho solo voglia di posare i piedi per terra.

Mi torna in mente il mio grande amore, anni tra gioie e baruffe, in un mare tempestoso.

Era un transatlantico o un peschereccio malmesso?

Cercarsi e perdersi e ritrovarsi, perdersi ancora una volta, per sempre, come fra flutti minacciosi e schiumanti, sconfitti da orgoglio e paure, rancori e parole non dette.

Forse la stanchezza di anime irrequiete ha contribuito al naufragio di quel viaggio intrapreso tanti anni fa, lui ed io troppo ingenui, disincantati, spavaldi, pieni di luce negli occhi e speranze nel cuore, naviganti in cerca di avventura o di un segreto tesoro.

E’ stato un viaggio lungo e faticoso, nell’oceano più insidioso che io possa aver immaginato.

Nel buio di notti tempestose si può perdere di vista un lontano faro chiamato Amore.

Oggi ho bisogno di un approdo ai piedi di un faro chiamato Serenità.


La mia valigia

Quante volte ti ho riempita di sogni e speranze, cara valigia blu?

Quante volte ho ripiegato in te stanchezza e affanni,

riempiendo i tuoi angoli di pensieri da lasciare in riva al mare,

da seminare in campi di grano assolati,

colma sempre tu di desideri e aspettative,

per lunghi viaggi

per brevi fine settimana inaspettati e lieti.

Ora sei qui davanti a me,

trabocchi di nuvole di seta e sbuffi di cotone,

di svolazzanti tocchi di stoffe e imbarazzanti trasparenze,

di ricordi che tornano carezzando quell’abito speciale per un giorno speciale,

di sorrisi e colori accesi dell’estate passata.

Cara vecchia valigia blu

non è ancora tempo di riporti in soffitta,

hai ancora da raccogliere momenti vita e profumati racconti delle mie giornate.

Ancora il desiderio di rapide fughe dai giorni sempre uguali

mi porta a tenerti accanto a me, ricolma di sogni e di mille se…

Scriveremo insieme una storia,

da riporre nel cassetto per i figli e i nipoti che verranno.

Sarà il regalo segreto per loro,

quando tu ed io saremo polveroso ricordo nella soffitta della memoria.


Ottobrata nel Borgo

Muovo lenti incerti increduli passi lungo il viale finalmente silenzioso e muto d’umane voci,

fra pesanti antichi pini, rami stanchi di oleandri sfioriti e mirti rinascenti.

S’affacciano finestre dormienti a celare festanti fantasmi dell’estate passata.

Inonda i sensi il profumo lieve di fiori tardivi nella macchia nascosta,

liberi dalla prepotente calura del sole troppo vicino.

Sboccia allo sguardo non più ferito da tanta luce,

l’immagine dell’incantato borgo dei miei ricordi più lieti,

terso nell’aria di un tiepido ottobre,

svettano cime d’improbabili piumaggi nei giardini ormai incolti.

Esplode nel cuore l’immenso orizzonte sul mare placato,

libero da insulti e fluttuanti amorfe figure,

lì in fondo al viale si apre inaspettato fra prepotenti rami striscianti.

Perdo ogni limite reale,

immersa nel lieve schiumare di onde sul bagnasciuga ricamato da mille piccole conchiglie,

come fiori di madreperla dispersi da mani di sirene misteriose,

liete di tanto silenzio ritrovato.

E ritrovo qui il senso del mio vivere,

cullata dal loro sommesso e fatato canto,

soffiato fra le dune sabbiose,

colme di piccole profumate vite nascoste,

fra voli di immensi gabbiani bianchi e minuscoli furtivi passeri.