Il momento molto originale del dolore

(7 agosto 2010)

E’ dura la vita per Satana
Deve realizzare sempre novità
per ingannare l’uomo

Deve appostarsi per incastrarlo,
con la mutevolezza
di trappole inaspettate

Come può permettersi
di riesumare espedienti già visti,
che l’uomo ha metabolizzato

e che lo condurrebbero
pericolosamente
alla noia,

se non addirittura all’aborrita
riflessione spirituale?

Povero Satana,
costretto a sapere fin dalla creazione
che il suo tempo finirà

Si arrabbia,
diviso fra la fulminante, stratosferica
multiforme genialità
per confondere i figli di Dio

e la terribile, sottile
e…maligna stizza,

accorpata a un terrore
cosmico e atomico,

che un dì potrebbe trasformarsi
lui, attore e agitatore di millenni
di potere sull’uomo,

non nel piccolo, non nel limitato,
non nell’impotente,
ma nel nulla

cioè qualcosa che non sente più,
non ha più vita,
né godimento, rabbia, ambizioni,

la incommensurabile, inimmaginabile
sensazione che non saprà,
e non si ricorderà,
di essere mai esistito

Povero Satana,
costretto a subire l’acida erosione
di questa livida angoscia!

Non penserà,
non ricorderà di averlo fatto,

non avrà più la coscienza
di essere stato

il più grande mestatore
dei destini umani

Quale orribile punizione,
Lucifero!

Dio, il grande creatore
anche dell’immensa bontà,

e se davvero ti giocasse
uno scherzo del genere?

Se ti togliesse
qualsiasi straccio
di individualità cellulare,

di coerenza sensoria, elettrica,
subatomica, cosmica o spirituale,
di esserci?

Come puoi architettare il male, ora,
con tale prospettiva?

O forse ci dai dentro
sapendo che fine farai

per non pensare
al tuo allontanamento definitivo
dall’aggregazione dell’esistente,

dei buoni o cattivi,
dei belli e dei brutti,

tranquilli o nervosi,
altruisti o assassini,

tutto,
purché viventi?

Prova a chiedere perdono a Dio

Lasciaci in pace

Forse così otterrai da lui
lo scambio contrattuale

con qualche forma di vita
semplice, bella o regredita
Che importa?

Pensaci,
e dacci requie

Dio l’ha capito da sempre
che l’avresti fatto

E pace, una volta,
una volta per sempre
fra tutti noi,

amico Satana!

Nell’estate e nel sole

(15-21 agosto 2010)


Vieni e ascoltami

Non pensare,
non scrivere

L’ascolto sia col cuore,
lo sguardo sia con la mente

Prendi l’occasione
di decidere

fra me
e il tuo accappatoio,

fra il mio raggio
che fende le nubi,

fra il tuo orecchio
che ascolta la mia
pioggia di serenità

e il rozzo scuotersi
di traffico nell’arenile,

sordo a ogni ambizione
e speranza

Non ci siamo
No, non ci sei

Dove vanno
i sogni eterici del tuo io
colpiti dal mal di pancia?

Dov’è la pratolina
fresca e ospitale
della tua anima

di fronte all’ape
spumeggiante di verità

del mio onnipervadente alveare
di mistico miele?

Prova a caricarti
della più insana,

folle e irrefrenabile
degenerazione sociale,

buttati nel mare dell’isolamento
e frangi, con la tua onda
di scorrettezza,

la bulimica frenesia
di una comunità
gretta e ombrosa

Non piegarti
alla paffuta seduzione
di un richiamo smargiasso,

non cedere
alla grassa improntitudine
dell’anonimato spirituale,

scoperchiati dall’otre ipnotico
di una mercanzia
aulica ma insipida

e brucia, dentro
la caldaia aurea

del tuo fuoco
di mistici affetti,

l’esagitata torta
di mille leccornie
caduche e sdolcinate

Eccola, l’ora!
Ecco qualcuno che mira
al centro del destino!

Raccogli in piena armonia
di luce e amore

la rigogliosa messe nella vallata
di divina abbondanza,

afferra la perla iridescente
dai multiformi raggi
di inenarrabile beatitudine

Non negare,
non dimenticare

Io sono qui,
dietro e dentro di te

Sporgiti dal sipario,
sgombra la scena

dall’erba sudata
delle tue sofferenze pulsanti

e calati nel mistero,
non più reale

ma disciolto nel mare
della mia eternità gloriosa

Un salto ancora
e la mia schiena
curva di amorosa attenzione

si chinerà
sulla tua ansia di conoscermi

Vedimi, scorgimi,
in quel che prima
era buio alla tua vista,

brancolante
nel silenzio al tuo udito,

gorgoglio impetuoso
nel tuo cervello

dalla goffa
e tentacolare ricerca

Sono io,
sono qui,
e sempre sarò

nella delicata eccellenza
della tua individualità,

nella fulgida ed eterna
perfezione della tua anima.


a mia madre

che veglia su di me
con il suo equilibrio
la sua discrezione
la sua serenità

di lassù

Luigi Recami

 

Era il grullo del paese…

Racconto

Capitolo I

Gosto, considerato il grullo del paese, stava girando in bicicletta, come suo solito senza scopo, a caso, e passò davanti alla sede dei sindacati; vide un cartello con alcune parole piccole e poi, in grande: “SCIOPERO A OLTRANZA”. Piuttosto scarso di cultura sindacale, ma anche generale, Gosto rimuginò fra sé: “oltranza…dove sarà? Dev’essere un paese qui vicino; strano, li conosco tutti. Mah!“. Tornato a casa ne parlò con la moglie; lei, mezza sorda, capì appena sciopero ma confuse oltranza con S. Costanza, una frazione realmente esistente nei paraggi, e gli disse: “Come non lo sai! E’ una vita che giri da queste parti e ancora non conosci i paesi? Poveri noi!”.
Gosto era scombussolato, non ci si raccapezzava, ma reagì e per dimostrare di essere all’altezza della situazione prese dei fogli di giornale, ci scrisse sopra col pennarello ”sciopero a oltranza” e li appiccicò un po’ dappertutto sulla macchina; poi ci montò su e cominciò a girare il paese. Davanti alla canonica trovò il parroco e gli gridò: “Don Gino, guardi, guardi qui!”. Il curato, in avanti con l’età e mezzo cieco, vide a malapena la macchina e gli sembrò di scorgere la scritta ”povero in vacanza”; pensando che si riferisse a Gosto, disse fra sé: ”E’ proprio grullo!”, poi, rivolto a lui: ”Vai, vai, figliolo, divertiti ma non alzare troppo il gomito!”.
Nel frattempo la moglie di Gosto, rimasta sola in casa, ripensò all’accaduto. “Sciopero a S. Costanza? Ma se son due vacche e tre galline! Che sciopero fanno? Contro chi? “.
Gosto intanto era arrivato al bar, con i soliti quattro sfaticati in servizio permanente effettivo ai tavolini, e lì esplose: “Ma lo sapete dello sciopero a oltranza? Io ci vado subito, chi mi ci accompagna?”. ”Dove vai, Gosto?” gli chiese uno che, come gli altri, era disfatto dall’alcool, se non peggio. “A oltranza, briaco!” gli rispose lui, che ormai era su di giri perché gli sembrava di essere uno dei pochi a conoscere la grande novità; solo che quel dannato posto non aveva ancora capito dov’era. Un altro degli stanziali bofonchiò al primo: “Ma non l’hai capito che Gosto fa sciopero perché ci ha il mal di panza? Fra un paio di giorni e tre cacate torna come prima!”.
Ma Gosto non li sentiva già più perché era ripartito verso il municipio, dove sperava di vedere il sindaco; invece vide uscire il segretario comunale e frenò bruscamente accanto a lui. “Ragioniere, almeno lei ci va allo sciopero a oltranza?”. L’uomo, che era stato assunto dal Comune in forza di una legge sugli handicappati perché balbuziente, farfugliò: “C…c…come dici, G…G…Gosto?”. ”E’…è…è che v…v…volevo sapere”, s’impuntò anche Gosto, senza accorgersene, poi si riprese: “Ma lei oltranza lo sa dov’è?”. L’altro, che il cervello ce l’aveva a posto, voleva rispondergli che oltranza è una “questione di tempo” ma dalla bocca gli uscì un fritto misto che Gosto intese: “Bestione, ti tengo!”. Colpito e offeso, Gosto borbottò: “Ma vi inalberate per nulla, voi!” e ripartì con una sgommata.
Mentre era fermo a un semaforo in attesa del verde, gli si avvicinò un vu’ cumprà con dei fazzoletti in mano. Gosto, che ormai non pensava che a trovare quel buco di paese sconosciuto, gli fece un gesto di alt con la mano: ”Lasciami, ci ho da andare a oltranza!”. Il nero, che un po’ di italiano lo capiva, soprattutto negli aspetti più “pittoreschi”, credette che Gosto volesse andare dalla ganza e si spostò verso altri lidi.
Il povero giovane era ormai sudato, gli sembrava che tutti ce l’avessero con lui ma era deciso, anzi incaponito, a presentarsi allo sciopero in quel di oltranza con la macchina piena di cartelli inneggianti al grande evento. Ma sciopero per cosa? Non importa, contava l’esserci e dimostrare che lui non era quel coglione che tutti pensavano.
Ormai era giunto sul viale che costeggiava la ferrovia; sorpassò un trattore che trainava un carro di elettrodomestici rottamati e si accostò al marciapiede vicino all’ingresso della stazione. Una ventina di metri più in là, il capostazione stava conversando piacevolmente con la giovane cassiera del bar, entrambi appoggiati a una fioriera. “Guarda chi c’è, ciao Gosto!” gli fece il capostazione appena lo vide e la ragazza gli accennò un sorriso, più di compatimento e di circostanza che d’altro. Gosto alzò la voce per farsi sentire: “C’è uno sciopero, devo andare a oltranza; lei che li conosce tutti, mi dice dov’è questo posto?” In quel momento il fischio di un treno coprì le parole di Gosto e così il capostazione intese: “C’è uno sciopero, devo andare in Brianza”; al che, con uno sguardo di ammiccamento alla ragazza, rispose: “Non ci andare, è pericoloso, e con quella macchina non ci arriverai mai!” e giù una risata, mentre la ragazza si nascondeva la bocca con la mano per non farsi vedere a ridere anche lei.
Il capostazione era l’ultima speranza di Gosto per trovare il luogo del suo trionfo, del suo riscatto, dove avrebbe lasciato a bocca aperta tutti i buzzurri maldicenti del paese. Mestamente rimise in moto e si avviò a casa, facendo un lungo giro per scaricare il malumore accumulato. Così arrivò fino al mercatino e lì si ricordò che la moglie gli aveva chiesto di comprarle dei pomodori, qualche frutto, un po’ di odori.
Aveva appena chiuso la macchina che si trovò alle spalle di un uomo tracagnotto, in divisa. Lo riconobbe dalla voce: “Maresciallo, anche lei a fare spese, eh?”. “Gosto, che piacere! Sì, son qui perché mia moglie sta portando fuori la nipotina. Come va, Gosto?”, e lui, un po’ rinfrancato: “Ho saputo che c’è uno sciopero, ma non qui, e volevo partecipare; sa, tutti mi dicono che non faccio niente; ma questa volta…”. “Bene, Gosto, io non entro in merito, ma se va bene a te va bene anche per me; e dove lo fanno?”. Gosto, temendo di dire al maresciallo una grullata delle sue e per non far la figura di uno che non conosce i paesi vicini, come aveva detto sua moglie, cominciò a tergiversare, a girarci intorno: “E’ là, oltre, oltra…”, poi strascicò confusamente un “anza”. Sperava che il maresciallo afferrasse subito il nome del paese e lo dicesse prima di lui, bello chiaro. Invece il militare, che comandava da poco la stazione dei carabinieri e non conosceva ancora tutte le località e le frazioni della zona, non intuì un bel nulla; ma siccome sentiva su di sé gli occhi della gente e non voleva dimostrarsi impreparato su una cosa così banale, disse a Gosto: “Ah sì, quello là, oltre… l’ansa”. Per l’appunto il fiume vicino al paese, lì nei pressi, faceva una curva e il maresciallo trovò buono attaccarsi a quella scusa per giustificare la sua ignoranza. Senza dilungarsi per non essere scoperto, si sbrigò a salutare: “Gosto, poi fammi sapere com’è andata, eh!, e tanti saluti anche a tua moglie”.
Gosto sentì qualcosa che saliva dentro di lui, ebbe un moto di ribellione e cominciò a parlare da solo mentre si allontanava: “Ma porca miseria! Porca di una miseria! Ma questo bastardo di paese chi l’ha messo al mondo? Dove lo vanno a fare questo stronzo di sciopero? Ma io torno a casa e mi metto a letto, anzi, telefono subito al dottore che mi dia una medicina prima che mi venga un coccolone”.
Il dottore! Già, l’unica persona istruita che gli rimaneva da consultare. Avrebbe dovuto pensarci prima. “Va be’”, si disse, “ora lo chiamo di corsa”. Si attaccò al cellulare, uno smartphone dell’ultimo grido che gli aveva regalato suo nipote quindicenne; “così farai bella figura con gli amici”, gli aveva detto, ma Gosto lo usava solo per telefonare; gli sms, Internet, la musica, i social networks erano per lui il pianeta Marte; anche con la pressione sui tasti non se la cavava bene perché aveva le dita grosse. Chiamò subito il medico ma il telefono era occupato e prima di trovarlo libero ce ne volle. Ma alla fine la voce cordiale del dottore risuonò dall’altro capo: “Gosto! Ma che piacere sentirti! E’ un bel pezzo che non ti fai vivo, per fortuna, naturalmente. E allora?”. Il dottore aveva una particolare predilezione per Gosto; l’aveva preso a benvolere perché sapeva della sua fama di sprovveduto in paese e di quanto cercavano di prendersi gioco di lui. Gosto riemerse dal pozzo di depressione dove ormai era caduto e disse tutto d’un fiato: “Dottore, io sto bene, magari stavo meglio prima, a me basta che mi dica dov’è il paese di oltranza”. Il dottore, con voce un po’ lontana, rispose: “Scusa Gosto, mi son dovuto spostare un attimo perché mi suona il cellulare. Cosa dicevi? Non ho capito…un paese?”; “Sì”, gli fece eco Gosto, “è un paese qui vicino, ma io…”. Gosto capì che l’altro stava discutendo animatamente con qualcuno all’altro telefono e rimase in attesa. Poco dopo gli arrivò la voce un po’ affannata del medico: “Gosto, scusa, scusami tanto, ma mi hanno detto ora che ho un paziente in grave crisi cardiaca. Devo scappare. Gosto chiamami, risentiamoci presto”.
Gosto cominciò ad avvertire la disperazione che calava su di lui. Si dette un pugno in testa, poi minacciò qualcuno nell’aria e cominciò a sragionare, cosa non rara per lui, un suo talento naturale, ma stavolta il copyright apparteneva a qualcun altro: “Sciopero qua, sciopero là, venghino signori, inizia lo sciopero e dove, dove lo fanno? In quella Merdaccia in provincia di Puzzonia, vicino al mio paese. E dov’è? Chi lo sa? Chi lo saaa?”.
Poi si sentì meglio e capì che quella storia doveva finire. Tornò a casa e trovò la moglie che lo accolse impaurita; non l’aveva mai visto in quello stato: curvo, gli occhi che guardano ma non vedono, le mani che sbagliano la presa. Gosto era sempre stato un pezzo d’uomo, con una salute da far invidia a un naturopata, ma aveva accumulato improvvisamente trent’anni sulla schiena, sul capo, sulla camminata.
Ma il peggio doveva ancora avvenire!