FUMO

Il fumo, che si staccava dalla sigaretta appoggiata nel posacenere sul tavolino all’esterno del bar, era molto più interessante delle parole che Giuseppe stava ascoltando. A parlargli era Elisa, la sua attuale e quasi ex ragazza, era un rapporto che come la sigaretta, destinato a terminare, a consumarsi. E sempre come quella sigaretta avrebbe lasciato segni nella sua vita.
Elisa era ancora lì a vomitare parole ad un Giuseppe disattento,  a fantasticare col fumo della sigaretta, lei avrebbe potuto dire qualsiasi cosa scioccante e lui non avrebbe ascoltato, non avrebbe colto la gravità o l’importanza di quelle parole, che come fumo uscivano dalla bocca di lei per perdersi all’interno di quel bar, poco affollato, con le sedie rosse.
Il ghiaccio all’interno del bicchiere si mosse producendo un leggero tintinnio, e Giuseppe spostò lo sguardo dal fumo al bicchiere,  ora la sua attenzione era tutta per le bollicine che dal fondo del bicchiere si staccavano driblavano i vari ostacoli, ghiaccio e limone, e si liberavano in superficie con un leggero scoppiettio,  era strano,  riusciva a sentirlo, c’era silenzio intorno,  alzò lo sguardo e notò che, Elisa, era in silenzio lo guardava fisso, i suoi occhi marrone chiaro, erano adirati avrebbero potuto uccidere se solo fossero armati, il respiro di lei era corto, come dopo una corsa.
Lo guardò a lungo, Elisa sapeva ora che l’attenzione di Giuseppe era tutta per lei, così glielo disse e le parole lo colpirono in pieno viso, erano come lame lanciate, facendolo sbiancare,  facendolo quasi cadere dalla sedia, dopo di che lei si alzò, bevve l’ultimo sorso di bevanda dal suo bicchiere,  gli girò le spalle e si allontanò da lui, come il fumo di quella sigaretta, si distaccó per non farvi più ritorno.
Immobile colpito nel profondo, una sberla avrebbe fatto sicuramente meno male, ma nulla poteva fare la situazione era caduta scivolata, e lei si era appena voltata per andar via, la figura snella di Elisa si stava allontanando, i suoi capelli rossi e lunghi dondolavano sopra le spalle ad ogni passo, la vide mentre metteva gli occhiali da sole e usciva da quella porta , e dalla sua vita, era quello che voleva lo desiderava da tanto, e ora era lei ad aver messo il punto a quella storia, ma sotto quel punto vi era una virgola, non era definitivo e lui non poteva lasciar correre, non poteva come uomo ignorare la situazione, non poteva essere così egoista, lui sapeva che la cosa giusta era correrle dietro. Prese il portafogli lasciò una banconota da venti sul tavolino del bar e uscì di corsa, la insegui, la prese per il polso e la fece voltare, la guardò negli occhi, e le promise che sarebbe cambiato, sarebbe stato un uomo migliore, un amante impeccabile, ma sopratutto un padre per quella creatura che inerme giaceva nel ventre di lei.


 

METROPOLITANA

Era una pagina voltata da tempo, dimenticata, almeno questo Alberto continuava a sostenere, e lo dimostrava il fatto che di ragazze ultimamente ne stava frequentando, l’ultima ieri sera,  una certa Vanessa alta bionda e snella, ma c’era qualcosa che non lo convinceva, non riusciva a spiegarselo neanche lui. Era perfetta fisicamente, e anche molto intelligente,  lei avvocato affermato, lavorava per un importante studio a Milano, tra i clienti nomi illustri del mondo dello spettacolo. La serata era stata perfetta, cena al ristorante ” la vecchia Milano”  antipasti primi e secondi a base di pesce, il più buono che si potesse trovare nei vari locali, la conversazione non era stata alquanto banale, anzi avevano buttato le basi per un nuovo incontro,  ma in cuor suo, Alberto sapeva che non avrebbe dato un’altra opportunità a Vanessa, le mancava qualcosa e non sapeva neanche lui realmente cosa.
Il convoglio delle metropolitana, si avvicinava alla banchina sferragliando,  i passeggeri erano dietro la linea gialla, tracciata sul pavimento, Alberto si ritrovò le porte della metrò proprio davanti alla sua posizione, fece scendere i passeggeri arrivati a destinazione e si apprestò a salire, non vi erano posti liberi, così rimase in piedi e si aggrappó al tubo sopra la sua testa.
La musica, nelle cuffie del telefono, gli teneva compagnia durante il tragitto, ma all’improvviso un profumo arrivò al suo naso, un profumo, ricco di ricordi, di emozioni, un profumo che fece accelerare il suo cuore, si guardò in giro per cercare chi lo avesse, cercò tra la gente, ma il suo sguardo non guardava realmente, era alla ricerca del capello rosso, dei capelli lisci fino alle spalle dei suoi occhi azzurro mare, era una pagina voltata, continuava a ripetersi, ma bastava un profumo,e il suo che il suo stomaco andava in subbuglio,  il cuore accellerava immancabilmente,  che i suoi occhi vedevano ovunque il suo viso.
La proprietaria del profumo, sul convoglio metropolitano, quel mercoledì alle ore 15 era un’anziana signora, indossava fiera il suo cappotto rosso, molto natalizio, le spalle incurvate dagli anni, gli occhi acquosi.  Il cuore di Alberto riprese il suo regolare battito, annusó affondo l’aria, come ad immagazzinare l’aria, perché si era una pagina voltata ma  bastava un colpo di vento profumato a riportarlo in dietro e a travolgerlo come un fiume in piena.
Un lieve sorriso all’anziana signora, ignara del turbinio di emozioni provocate, le porte si aprirono e Alberto scese dal convoglio alla sua fermata,all’aria aperta, allegro, perché le pagine voltate per quanto male possono averci fatto, dopo tanto tempo, ci lasciano un sorriso ricco di bei ricordi, ma  l’amaro in bocca per ciò che è perso e non vi è più.


 

SALA D’ATTESA

Le pareti, un tempo bianche, erano ormai grigie impolverate e in alcuni punti nere, necessitavano di una mano di bianco nuovo fresco anche per ridare lucentezza a quel tugurio, chiamato sala d’attesa. 
Un neon vicino alla porta d’ingresso del medico sfarfallava,  proiettando lampi di luce a intermittenza regolare, e il gas all’interno della lampada sfregolava ad ogni mancata accensione.
Le sedie vicino alle pareti avevano sicuramente visto tempi migliori, in piedi non si sa per quale tipo di miracolo, alcune sfondate,  altre senza imbottitura, ma tutte avevano in comune l’essere malferme sui quattro piedi.
La maniglia della porta, sotto la luce insicura, si abbassò con un leggero rumore, e la porta si aprì con un cigolio sinistro. Era la sala d’attesa del medico, ma sembrava una scenografia estrapolata da un film horror. 
L’infermiera che si affacciò,  era l’apoteosi della situazione,  più anziana dello sporco sulle pareti, più sfatta delle sedie presenti in sala, i capelli tinti di grigio avevano una ricrescita di almeno un centimetro, il viso raggrinzito e magro era tirato, come se sotto la folta e trascurata chioma avesse delle enormi mollette che le tiravano la pelle facendola aderire alle ossa del cranio, gli occhiali, una vecchia e antiquata montatura, avevano delle lenti spesse come fondi di bottiglia deformandole gli occhi,  ingigantento quel marrone acquoso, di occhi che nella vita hanno versato tutte le loro lacrime.
Il rossetto sulle labbra consunte,  di un rosso acceso, sbavato e finito pure sugli incisivi.
Caraccollante esce dalla dalla porta si guarda in giro, mette a fuoco e indicandomi, un breve sorriso e con voce dolce mi di dice : ” vieni caro, tocca a te”
Mi avvio a passo incerto verso il mio destino, la porta, quella dell’inferno era appena stata aperta e ne era uscita un’anziana signora, e io come una mansueta pecorella l’ho seguita affidandole il mio destino.