AMORE

 

Da secoli lui abbraccia la sua compagna 

e di notte si nasconde in lei,

da secoli è così 

per il sole e la montagna.


 

SIGNORA

 

Cammina austera,

negli occhi ha due stelle

mentre sulle calze belle

si allunga una smagliatura.



FRAGOLE E LIMONI

 

“Non sono la prima, né l’unica, né l’ultima”. 

Questa frase mi scorreva nel cervello così spontaneamente da sembrare non averla pensata io: era come se qualcuno me la stesse suggerendo in quel preciso istante in cui accendevo quel veleno tra le mie dita.

Aspettavo con pazienza seduta tra il bonsai e la cesta marrone, dove avevo conservato la terra buona per piantumare le fragole e i limoni.

Mi piaceva prendermi cura delle piante, sotterrare i semi, aspettare con pazienza, andarle a trovare ogni giorno sul balcone, con la speranza di vedere sbucare una fogliolina, vederla crescere e sapere che in parte è stato merito mio. Questo mi legittimava a parlare con loro, a salutarle al mattino, ad accarezzare le foglie come si fa con le guance dei bambini…Le sentivo mie creature da accudire e da coccolare…appagavano in me quel desiderio di maternità rimasto sopito, sospeso nel limbo tra l’attesa e la negazione. 

L’attesa di essere ciò che avevo sognato da anni, ciò per cui mi ero preparata da sempre: la trepida attesa di sentire muoversi dentro di me un battito, un respiro… l’iter per preparare l’accoglienza alla nuova vita: un abito bianco di tulle e merletti, una chiesa, una cerimonia, una casa…Preparare tutto per chi ancora deve arrivare…Per anni ho vissuto nell’attesa: un costante e attento monitoraggio del ciclo, una cameretta che sembrava il set di un cartone animato … La prospettiva di una vita che gira intorno a una testolina profumata di talco. E questo continuava per un anno…due anni….cinque anni…dieci anni…Più il tempo passava e più si smorzava l’entusiasmo e i nervi cominciavano a cedere … La cosa strana è che nonostante tutto la mia caparbietà non cedeva! Desideravo essere madre. Lo avevo confidato a un’amica, un anno dopo il mio matrimonio: “Voglio 100 figli” le dissi ridendo mentre camminavamo insieme verso la scuola dove lavoravamo entrambe. Lei ne aveva 5 e la vedevo bellissima!

Lo avevo detto a lui quasi contemporaneamente, parlando del lavoro, avevo chiosato: ”Se ho un figlio lascio il lavoro, voglio esserci sempre”. Mi faccio tenerezza oggi a ripensarci…Ma non sarebbe stato possibile, non solo perché il figlio non c’è mai stato ma anche perché i miei genitori mi avevano insegnato a non dipendere economicamente da qualcuno e avevano investito tempo e denaro sul mio futuro, frutto sì dei miei sacrifici ma soprattutto dei loro. 

E così l’attesa pian piano si svuotava della sorpresa per lasciare il posto alla consapevolezza di cercare aiuto prima che l’orologio biologico scocchi la “mezzanotte”.

Notti intere trascorse alla tastiera del pc: iniziavo da Google. Quei colori primari del logo, quella grafica inconfondibile mi accendevano la speranza di trovare una via, non sapevo di preciso cosa ma digitando una parola mi comparivano una decina di link e poi ancora man mano che arrivavo in fondo fino a cliccare “Avanti” accanto ai numeri delle pagine.

E così parole come “nascita, parto, gravidanza” erano il punto di partenza che poi si sarebbe diramato in altre vie, un po’ come Dante fa dire a Caronte “ …Per altra via, per altri porti /verrai a piaggia, non qui…”

E io seguii altre vie, altri porti che mi condussero a scelte determinate, senza tentennamenti, senza “se” e senza “ma”.  

“Non sono la prima, né l’unica, né l’ultima” pensavo. E questo mi dava la motivazione a prendermi cura del mio corpo per sottoporlo a visite mediche, a chiedere permessi al lavoro per affrontare intere giornate fuori casa, fuori città per dare forma al mio progetto di vita.

Il primo tentativo fu salutato con entusiasmo, come quello di chi comincia un viaggio perché sa che al di là del mare c’è un lavoro, c’è una casa: c’è la sua vita.

Ricordo ancora l’attesa nella sala che profumava di pulito, i camici bianchi dei medici, la gentilezza della dottoressa Valeria. Lei era alta, bionda, sempre sorridente, parlava molto ma mai a sproposito. Aveva sempre una parola gentile per tutti. Il suo studio era un po’ piccolo ma a me sembrava una reggia…Durante la visita mi aveva insegnato come mettere le mani, un gesto forse banale ma a me dava sicurezza e lo ripetevo ogni volta che ci tornavo. Stavo attenta a scegliere le calze, le scarpe, il vestito ( mai pantaloni, perché erano imbarazzanti da togliere). Salivo sul lettino e mi distendevo supina, le mani sotto i glutei e lo sguardo al soffitto…non guardavo mai, mi faceva impressione anche se non provavo né dolore né fastidio. Dopo la visita mi ricomponevo, mi rivestivo e ascoltavo attenta le sue parole. Lei era molto delicata…anche quando mi chiedeva l’età e poi tra se e se mormorava:  “Ah…ho capito” 

E capivo anch’io: capivo che ero al limite, che era tardi, che il mio orologio biologico avanzava inesorabilmente…Capivo che dovevo combattere contro il tempo e contro l’endometriosi.

Uscita da quell’ambiente dovevo prendere l’autobus per tornare, perché spesso andavo da sola. Passeggiavo per avere tutto il tempo per pensare, per riflettere…anche se la decisione l’avevo presa già.

E così mi sembrava un dolce peso quello dei dosaggi ormonali, mi sentivo privilegiata quando mi veniva detto che dovevo star tranquilla e contavo i giorni e i mesi pensando:” Fra un po’ lo diro’ a tutti”

Ho peccato di eccessiva sicurezza…ero così piena di aspettative che non riuscivo a ragionare… ma ci pensò ben altro a riportarmi a terra, dopo i miei voli pindarici.

Il giorno fissato per la conclusione del percorso: ricordo i calzari, la cuffia, le luci della sala operatoria: ero così emozionata…poi cominciò a girarmi la testa, leopardiana sensazione: “il naufragar m’è dolce in questo mar”

Al mio risveglio non ho nemmeno avuto il beneficio del dubbio, perché il medico si avvicinò e, senza dire una parola, ci siamo intesi…non l’ho fatto apposta ma mi è scesa una lacrima…e poi un’altra e un’altra ancora…c’era lui lì con me: gli ho chiesto scusa ma ancora oggi non ricordo alcuna risposta da parte sua…

Mi sentivo svuotata, inutile…ma era nulla al confronto dello stato d’animo che avrei provato tornata a casa…Come una fenice ero risorta, riprendendo la mia normale vita, lavorando, cucinando, leggendo, frequentando le amiche che, in quel periodo, manco a farlo apposta, mi telefonavano per annunciarmi raggianti la loro maternità…e cosa ne sapevano loro di me?

Il mondo non poteva fermarsi…ma io mi fermavo: mi fermavo a piangere sul divano, a gridare dopo essermi assicurata di aver pigiato bene il tasto rosso del telefonino.

Non ero sola, mi sentivo sola. 

Ma come quando un bambino si lascia piangere per un capriccio, perché prima o poi smetterà, così io piangevo e gridavo da sola, anche se non da sola.

E in effetti come i bambini a cui non si dà retta, ho smesso.

Ho aperto l’armadio, ho indossato il vestito più audace e sono uscita.

Tutto questo moltiplicato per tre volte: l’attesa rinnovata, la speranza alimentata e la delusione cocente alla fine.

Fine…Basta: lui non voleva più andare avanti e per me è stato come sganciare una bomba …ho provato una stretta allo stomaco, un dolore muto, un’incapacità di reagire che mi ha annichilito e mi ha portata all’assenza.

Ma non sono la prima, né l’unica né l’ultima.

“La vita va avanti e io la seguivo…la seguo anzi: la precedo”.

Sorridevo a queste frasi che mi scorrevano nel cervello così spontaneamente da sembrare non averle pensate io: era come se qualcuno me le stesse suggerendo in quel preciso istante in cui spegnevo quel veleno tra le mie dita.

E così mi sono alzata da terra, da quell’angusto angolo tra bonsai e la cesta marrone, dove avevo conservato la terra buona per piantumare le fragole e i limoni.


SIGNORA

 

Cammina austera,

negli occhi ha due stelle

mentre sulle calze belle

si allunga una smagliatura.


CRESCERE

 

Le scarpe slacciate

in cerca di libertà,

i gesti omologati che nascondono emozioni

appena nate, non capite

dalle nuove generazioni,

perché nessuno dà loro da leggere il manuale delle istruzioni.


NEGATA

 

Filastrocca con un filo di voce,

canta di due madri il dolore atroce;

canta di una la propria figlia amata,

con il nome Kore era stata chiamata!

Per soli sei mesi l’avrebbe avuta con sé,

per altri sei era solo di un re!

La voce materna per tutta la vallata

chiama ancora la propria figlia amata.

Canta di un’altra un figlio desiderato, 

per mesi e per anni lo aveva cercato

sia con l’amore che con la cura adeguata,

la sua voce materna non era bastata…

ma più dolorosa dell’ultima iniezione

è stato indurla a rinunciare all’adozione…

Si è chiusa dapprima in un pianto accorato,

la sua voce materna il suo nome ha urlato!

Ora non sente, 

non prova più niente…

Le è rimasto solo un filo di voce

e una filastrocca che narra un dolore atroce. 


MAGGIO

L’albero spoglio
continua a fiorire
per un raggio di sole
che lo sa illuminare.
E nascono gemme
sui rami stupiti
che sembrano esplodere
in un canto d’amore.


MAGIA NOTTURNA

Si ergono tanto solenni
le montagne,
di giorno,
quanto,
di notte,
si umiliano
inghiottite dal buio
per lasciare, come sospese nel vuoto,
le luci dei casolari che accolgono nel grembo.


LA BALLATA DELLA NOTTE

E giunge la notte
da tutti invocata.
La notte temuta,
la notte amata.
E giunge come casa
per chi non ha tetto
ed è un grande letto
per chi non riposa.
La notte madre,
la notte matrona,
la notte padrona
di tutti i segreti.
E’ come uno scrigno
pieno di luci,
pieno di voci,
per chi lo sa aprire,
per chi sa vedere dentro le persone,
per chi sa scrutare in un’altra dimensione
e impara ad amare
e a capire tutti:
volgari, inetti,
furbi e arroganti,
perché tutti quanti
abbiamo un cuore
e mille paure da seppellire.
E ci avvolge la notte
col suo canto,
ci protegge col suo manto.
La notte madre,
la notte matrona,
la notte padrona
di tutti i segreti.