“SANT’ AGATA” Testimonianze di guerra

Riguardata è una contrada Gessana dove poco più sopra nasce un casolare di campagna con terre e boschi estesi di proprietà di mio padre. Il suo racconto inizia in una notte di freddo inverno, quando regnavano miseria e guerra.

La sua storia cominciava così:

-“Faceva freddo quella notte, quella lontana notte del 21 Gennaio del 1944. I tedeschi pattugliavano, in quei giorni, dal paese fino all’ultima contrada, all’ultima casa, ràziando tutto quello che trovavano, portando via quel poco cibo rimasto alle famiglie già sfinite! Io a quell’epoca ero appena tornato dal fronte, avevo ottenuto un breve congedo per poter riabbracciare i miei fratelli un’ultima volta perchè malati di tubercolosi. Ero tornato a sostenerli visto che non avevano altri che me da quando siamo rimasti orfani di madre da piccoli! Sapevo che poco più su della nostra casa c’erano degli sfollati che provenivano dal paese vicino, TORRICELLA PELIGNA e più precisamente da una sua contrada “SANTA GIUSTA”. Erano scappati per nascondersi dalla guerra e dalle conseguenze che essa comportava! Avevano trovato momentaneamente rifugio in alcune cascine, stalle e pagliai di S. Agata, un monte che si affaccia sulle nostre piccole proprietà! Quella orribile notte, fummo svegliati improvvisamente dagli spari. Al buio ci alzammo impauriti, vestendoci e uscendo di casa alla svelta nonostante la malattia e il freddo e una volta fuori capimmo quello che stava succedendo. Da quel monte si alzavano lampi e fuochi di bombe a mano esplosi, si udivano spari di mitraglie, scoppi che ruppero echeggiando quel silenzio che c’era pochi attimi prima, trasformandolo in un incubo! Dissi ai miei fratelli di scappare, di lasciare la casa e nascondersi nelle campagne senza accendere fuochi o lumi, perché se si fossero accorti della nostra presenza sarebbero scesi a ammazzarci tutti! Li salutai con un abbraccio, sapendo che poteva essere l’ultimo. Piangendo mia sorella Felicetta mi chiese: “Dove vai? Non vieni con noi? Cosa vuoi fare da solo, ti uccideranno…” Ma ero già lontano, incamminandomi da loro senza voltarmi con il mio fucile da caccia e sole due cartucce in tasca! Sapevo di non poter fare niente e di non poter fermare i tedeschi, ma era il cuore mi diceva di andare immaginando solo minimamente quello che avrei trovato su quel colle! Salii su nei pressi di “Sande Pasine” e mi incamminai per le campagne cercando di nascondermi mimetizzandomi tra gli alberi e gli sterpi! C’era la luna piena quella notte, la sua luce si rifletteva sulla neve ghiacciata dal freddo, illuminando tutto sotto di se come se fosse giorno… Erano circa le cinque di mattina e più mi avvicinavo, più i rumori diventavano forti.

Sentivo spari, esplosioni e grida… Grida di gente disperata, bruciata nelle case dai fuochi appiccati dopo che li avevano cosparsi di benzina; ero così vicino che né sentivo l’odore misto a quello di carne bruciata… Lì ebbi paura, veramente paura. Non feci un fiato, rimasi nascosto piangendo, consapevole della mia impotenza, aspettando che tutto finisse, come se la fine fosse una liberazione dal dolore! Quelle grida strazianti, quegli spari, quelle luci di fuochi e quell’odore acre di fumo aspro che si alzava e arrivava fino a me, mi tuonavano dentro fino a lacerarmi l’anima… Il mio corpo tremava, per il freddo mi dicevo… ma a farmi tremare era ben altro! Sapevo che quel rifugio era abitato in maggioranza da donne, vecchi e bambini e questo pensiero fece sentire il loro dolore sulla mia carne e pensavo con le lacrime che mi rigavano il viso: “Come può un essere umano fare tanto male ad un suo simile con tanta ferocia? A dei piccoli innocenti indifesi senza alcun rimorso… DIO aiutali, cosa stai facendo ora? Come puoi permettere tutto questo? Aiutali!” Piano piano gli spari diminuirono ed insieme ad essi ogni suono, ogni lamento… Le prime luci dell’alba incominciarono a schiarire l’orizzonte; sentii i motori delle loro jeep insieme al loro accento straniero, che si allontanavano… aspettai… e aspettai ancora, fino a sentire solo lo scoppiettare delle ultime fiamme! Continuando a tremare mi alzai incamminandomi su per i pochi metri che mi separavano dall’”orrore”… Incontrai per prima i corpi di chi aveva cercato una via di fuga, raggiunti alle spalle da raffiche di mitra… Continuai a salire. Nelle braci quasi spente, c’erano resti di corpi bruciati… Mi coprii il viso con il fazzoletto per evitare di respirare quel fumo scuro, denso e acre, nero, che si alzava nel cielo. Insieme ai corpi privi di vita c’erano anche quelli dei pochi animali, bruciati insieme a loro. Dalle porte aperte di una stalla vidi una bimba inginocchiata con il viso nascosto nelle mani, rivolto all’angolo dei muri come a nascondersi da quei colpi alla schiena che l’avevano uccisa! Poco distante, la madre e i suoi fratelli… Ebbi un malore e impotente corsi, cercai di scappare ma i miei occhi si posarono su un colore… Sul rosso del loro sangue che macchiava la bianca neve gelida, evaporando come una leggerissima nebbia che, alle luci di quell’alba, salutava la luna piena che spariva nel giorno. Caddi a terra in ginocchio in un pianto dirotto, posai quella piccola arma che avevo stretto con rabbia tra le mani, gridando, chiamando con la speranza che una voce mi rispondesse a rompere quel silenzio! Rassegnato di morte, tornai a cercare i miei fratelli. Vedendomi arrivare ci abbracciammo tutti insieme in un unico grande abbraccio… Con pianti e grida senza una parola su quello che era successo. Dopo pochi mesi, due di loro mi avrebbero lasciato per sempre morendo di malattia. Quella notte di luna piena non la scorderò mai… E’ come un timbro che ha segnato in rosso la mia mente, ogni cellula… E mi lega ancora di più a questo posto e a quel tempo! “
– Mio padre terminava sempre così questo suo racconto, con le lacrime che gli riempivano gli occhi… Spesso da bambina mi portava a Sant’ Agata, adesso oasi verde con vista ravvicinata della Maiella madre! Stavamo lì, insieme ad ascoltare il silenzio sacro del luogo. Guardavo il suo volto sereno con un lieve sorriso, appena accennato e lo sguardo lucido. Capivo che la sua mente era altrove, lontana… ed io, sua complice, sapevo dove andava in quei momenti…