Egemonia di una non-risposta

Parole protese verso una semantica di senso,

pensieri distesi lungo le rive mentali del creare.

Giochi disillusi di persone che hanno compreso il naufragio di non senso che costantemente le attanaglia.

Esseri timorosi di scoprire che il proprio “IO” altro non sia che un flusso di condizionamenti e congetture.

Profumo di libertà che sospinge ogni essere al vuoto,

a quella dimensione in cui ogni cosa è azzerata e priva di connotazione sensata.

Arte per la vita, per donare ad essa un barlume di giustificazione esistenziale,

mezzo necessario alla sopravvivenza,

al progredire di ogni giorno,

nel quotidiano fenomeno dell’illusione senza fondo.

Viaggio impertinente è questa vita che scalfisce anche il più robusto dei teatranti.

Ad essa ci si arriva senza chiedere permesso e in sordina si scompare,

nel buio cosmico di un universo penetrato da un silenzio assordante.

Luce imperitura diverrà un giorno la scoperta di noi,

sarà un’abbagliante affermazione mai provata ma costantemente ricercata.


Amore perdutamente reiterato

Ricordi assillanti,

gesti protesi verso la presenza assenza.

Tu eri un atomo che gravitava attorno al mio nucleo,

improvvisamente diventasti il fulcro in cui tutto si concentrò.

Bastò un sorriso e la mia anima si prostrò al tuo essere,

si fuse nel concetto di “NOI” e da quel momento ne fui inglobato.

Amore risuona ancora come una parola solo nostra,

il cui senso viene carpito solo dalle nostre essenze,

motivi che rimbalzano su note di unisono e compenetrazione necessaria.

Tu eri la mia alba,

il sole necessario che rischiarava le fosche giornate di Novembre,

poi improvvisamente eclissasti in una macabra danza di ombre senza fondo.


Trittico

Domenica mattina,

urlo soffocato volto alla rassegnazione.

Ricordi in divenire si cullano tragicamente verso la parte di me che rifuggo atrocemente.

Dicono che il dolore abbia un punto di arrivo,

una meta da cui possa esserci poi un nuovo inizio,

io sento solo un infinito baratro che tocca le corde profonde del mai concluso.

Certi  giorni mi sento così,

nessun contatto esistenziale mi conduce verso un approdo,

il navigare è privo di riferimenti spaziali,

un infinito “IO”di solipsistica deposizione spazio temporale.

Le farfalle dovrebbero vivere di più,

questo è un fardello insostenibile,

gli esseri umani dovrebbero empaticamente sovvertire il loro progredire egoico verso il nulla dichiarato.

Ciò che conta, alla fine, è sempre e solo questo: tu, io e le farfalle.