Alba Venditti

Racconti e Poesie


Mattia combatte le paure

C’era una volta, in una terra lontana, un bellissimo castello dalle alte torri. Vicino al castello era nato un piccolo villaggio tranquillo, dove tutti vivevano in pace e in armonia con la natura che lo circondava. In quel villaggio, in una piccola casa vicino alla piazza principale del paese, era cresciuto un bambino che si chiamava Mattia affetto da sclerodermia ed aveva sette anni. Mattia era un bambino simpatico e vivace, amava correre per i prati vicino al castello inseguendo le farfalle e giocare con la sua migliore amica di nome Betty quando il suo respiro era meno affannoso per una bronchite asmatica che ogni tanto gli prendeva nelle giornate più umide. A volte Mattia era un po’ triste e pensieroso perché aveva molta paura della malattia che non lo facesse diventare grande come il papà: il suo esempio di vita. Lui aveva anche paura della foresta nera, non osava mai avvicinarsi a quel labirinto buio di rami, alberi e foglie. Un brutto giorno una sentinella che era di guardia al castello corse al villaggio con una bruttissima notizia: un terribile mago stava minacciando il villaggio e si aggirava per la foresta minaccioso, armato di un terribile bastone magico con un orribile teschio incastonato da cui scagliava magie molto potenti. Tutti gli abitanti erano molto spaventati. L’anziano più saggio del villaggio disse subito che i più valorosi guerrieri dovevano difendere il castello e il suo villaggio. Molti soldati partirono armati fino ai denti , ma uscirono tutti sconfitti dalla foresta nera. Il mago era spaventoso, fortissimo e viveva in una grotta buia, attorniata da piante e animali spaventosi. Mattia ascoltava questi racconti tremando come una foglia. Visto che il suo villaggio era in pericolo Mattia decise che doveva fare qualcosa per riuscire a sconfiggere la sua paura ed entrare nella foresta. Si recò dal vecchio saggio, che viveva in una grande sala del castello, ornata da splendidi arazzi, e gli chiese dei consigli per non avere paura di quelli terribili piante che sembrava potessero avvolgerti in un istante. “Hai paura di quelle piante perché non sai che in realtà sono semplici alberi come quelli sotto i quali giochi ogni giorno. Sono molto vicine fra loro, creano un tetto sopra la tua testa e questo rende buia la foresta, ma non c’è albero di cui aver paura!”; rispose il vecchio saggio e aggiunse: Ricorda che si ha paura solo di ciò che non si conosce”. Il giorno dopo Mattia si sentì pronto ad affrontare la nuova sfida dopo aver chiesto alla sua mamma quali erano le medicine per la sclerodermia da prendere per portarsi appresso nello zaino. Attraversò il grande prato, fino a che il castello non divenne piccolissimo alle sue spalle e entrò nella foresta. Vide i grossi rami che si avvolgevano attorno a lui e che pian piano lo coprirono totalmente. Era buio, ma sapeva che attorno a lui c’erano solo semplici piante. A un tratto, si accorse che la foresta era popolata da tanti, tantissimi animaletti che prima non aveva mai notato: c’erano degli animali neri che volavano veloci, altri con otto gambe, altri pelosi e attaccati ai rami. Tutti sembravano guardare Mattia e la paura della foresta tornò a farsi sentire. Si fermò e capì che non poteva più andare avanti e corse a casa il più velocemente possibile! Lui arrivò però a casa con il respiro troppo affannoso e la madre allora, gli fece fare lo spray per fargli calmare l’affanno e gli fece una puntura di cortisone per farlo riprendere. Mattia rimase chiuso in casa per tre giorni prima di decidersi a reagire e nel frattempo, si riposò. A Mattia nei giorni di riposo il dito anulare gli diventò all’improvviso viola e nero, ma lui non aveva sbattuto da nessuna parte e chiamò la madre che stava in cucina. La madre, visto lo strano evento, portò il figlio Mattia dal medico curante che le riferì che purtroppo, era un effetto secondario della malattia della sclerodermia che però, si poteva curare con medicine appropriate che lui prescrisse. La mamma non voleva allarmare suo figlio e scherzando disse a Mattia: “Il tuo dito anulare è più vergognoso degli altri e perciò è diventato rosso dalla timidezza. Devi dire al tuo dito di essere più coraggioso.” Mattia rispose alla mamma: “Come faccio a dirlo al mio dito anulare che non sa parlare?” La mamma replicò a Mattia: “Anche la carezza sul tuo dito è una forma di dialogo che lui capirà”. Il dito di Mattia, dopo alcune ore, rispose alla carezze del piccolo, con la guarigione. Quanto voleva aiutare anche il suo villaggio Mattia e per farlo avrebbe dovuto sconfiggere la paura di quegli animaletti che sembravano fissarlo e della sclerodermia, malattia con cui doveva imparare a conviverci come fosse una vicina. Tornò dal vecchio saggio che lo accolse ancora una volta a braccia aperte, al centro della grande stanza del castello. “Cosa posso fare , vecchio saggio, per sconfiggere questa nuova paura delle bestioline?”, gli chiese il bimbo. “Hai paura di quelle bestioline perché non sai che sono animali semplici che si vogliono bene e che anche loro a volte sono felici, a volte sono tristi, a volte si divertono e a volte hanno anche loro il batticuore. Non c’è animale di cui aver paura!” affermò l’anziano e aggiunse: “Ricorda che si ha paura solo di ciò che non si conosce”. “Ma io non so se riuscirò a non avere paura!”esclamò Mattia pensieroso. “E allora continua il tuo cammino con un’amica al tuo fianco, gli amici ci servono perché ci aiutano a ricordare quello che sappiamo anche nei momenti più duri, quando lo dimentichiamo!”. Mattia tornò al suo villaggio e corse da Betty, la sua amica. “Betty, preparati che dobbiamo partire, andiamo nella foresta!” Mattia e Betty partirono verso la nuova sfida. Attraversarono il prato e entrarono nella foresta e anche quando si fece buia, il bimbo non sentiva la paura perché sapeva di essere circondato da alberi più avanti notò tutti gli abitanti della foresta, ma non aveva paura: erano solo animali, con il loro carico di sentimenti, proprio come i suoi. Il bimbo arrivò presto nel cuore della foresta e davanti a sé vide un orribile teschio gigante con davanti un guerriero con l’armatura e la spada alto due metri: era all’entrata della grotta del terribile mago. Mattia sentì crescere la paura e non bastò, per sconfiggerla, avere la sua amica che lo confortava con belle parole al suo fianco: corse verso il villaggio il più veloce possibile mentre l’amica lo seguiva a breve distanza. Mattia cominciò ad avere un po’ di affanno e si fermò per fare il suo spray di Ventolin e riprendere fiato, ma poi si riprese. La sua amica Betty si era preoccupata ma lui le disse: “Tranquilla, è tutto passato. Per favore, non dire nulla a mia madre.”. Si recò ancora dal vecchio saggio al castello per chiedere nuovi consigli. Lui gli consigliò stavolta, di portare degli amuleti con sé contro quel soldato con l’armatura gigante davanti al teschio gigante perché ne aveva molta paura essendo superstizioso, ma di tornare lì sempre in compagnia di Betty. Mattia così fece insieme a Betty e arrivato, dopo il solito percorso nel bosco, davanti alla grotta buia del mago quel soldato gigante davanti all’orribile teschio gigante, visti gli amuleti subito scappò lasciando il mago senza protezione. Mattia gridò: “Hurrà, il soldato è scappato; ora l’entrata è libera”. Il mago uscì arrabbiato dalla caverna e disse a Mattia: “Cosa hai fatto al mio soldato gigante? E’ la prima volta che si comporta in questo strano modo”. Mattia rispose: “Non lo sai che il tuo soldato non sopporta gli amuleti corni, ecc. come questi che ho ora io? “ Il mago rimase sorpreso e poi, voleva fare trasformare Mattia e la sua amica Betty in funghi belli, ma velenosi così nessuno li avrebbe potuti aiutare”. Mattia capì le intenzioni del mago e disse coraggioso: “Se tu ci trasformi a entrambi, dal bosco tramite gli uccelli, gli alberi con cui ho fatto amicizia al paese arriverà la notizia che il tuo soldato gigante è un gran fifone e tutti di te rideranno. Perderai per sempre la tua credibilità”. Il mago riconobbe di essere stato veramente sconfitto da due ingenui giovani e anche se a malincuore, si rinchiuse a testa bassa nella sua grotta buia e non si fece più vedere da nessuno. Finalmente, il piccolo villaggio di Mattia e Betty tornò a essere tranquillo come prima. Il vecchio saggio del castello si complimentò con Mattia perché era riuscito a superare molte paure e gli disse: “Ora sei pronto per essere un futuro adulto”. A Mattia restava ancora da combattere un’altra battaglia quella con la sclerodermia (un po’ più sconosciuta poiché rara), ma con l’aiuto prezioso della sua famiglia ce l’avrebbe potuta fare. Mattia aveva per la testa mille progetti da compiere che non aveva intenzione di non portare a termine e riprese, come suo solito, a rincorrere le farfalle nei prati insieme alla sua amica d’avventura Betty. Il suo motto era di non arrendersi mai!!! Mattia diventò infatti, un bel ragazzo e anche un padre di famiglia che inseguiva sempre i suoi progetti che imparò a convivere con gli alti e i bassi della sua strana malattia, come fosse ogni tanto una sua vicina che ospitava.

 


 

Le mie stelle

Nella galassia infinita dei miei pensieri,
quante stelle brillano di luce propria nella mia vita.
Se penso a loro con forte intensità,
mi arriva un calore e quell’energia celeste
che così leggera mi veste,
da portarmi nella stessa direzione
con l’attrazione gravitazionale.
Che sensazione bella ed eccezionale!
Le mie stelle giganti e nane
hanno tanti colori: bianco, giallo, rosso e blu,
sono favolose costellazioni lassù
e non ci si stanca mai del dejavu.
Che fusione unica e spettacolare
avviene poi, nel mio vivere.
Anche le mie stelle diventate
“ vecchie e cadenti”
scendono a terra scoppiettanti di gioia,
per far brillare ovunque, la mia forza d’animo
e conservare vive le cose belle
come i fiori dell’universo.

 


 

Il grano e la trebbiatrice

Nei campi coltivati preparati al raccolto
a fine giugno, con la falce in pugno,
si va a mietere il grano
ed è un lavoro di mano
di uomini, donne e bambini
in versione contadini.
Anche i buoi bendati, poveri malcapitati,
separavano, guidati dall’umano,
la spiga dal chicco di grano.
Era un lavoro gravoso
per i buoi senza mai riposo.
I contadini stanchi per i lavori stressanti,
mangiavano a mezzogiorno
panini con contorno,
seduti all’ombra delle querce
e i buoi finalmente,
venivano rifocillati ed anche abbeverati.
Il grano veniva battuto dagli operai sull’aia:
le spighe diventavano dei fasciati covoni
appoggiati nei campi dai loro padroni.
I chicchi diventeranno poi farina bianca
che nella cucina oggi mai manca
per gustose frittelle e buona pizza o pane
e le nostre vite sono ora più sane.
In quest’antica raccolta di grano,
assai faticosa sotto il sole cocente,
c’è stata un svolta imponente
con la macchina trebbiatrice
che ripulisce i covoni di spighe
ordinati nel campo, raccogliendoli in un lampo.
Nelle fasi del grano è “il chicco”
il protagonista di spicco
che dopo il suo capolavoro: la farina
rende la vita di ogni umano d’oro
come era il suo colore prima.