Alessandra Doni - Poesie

Ossessiva oppressione

 

Gelido vuoto

risata di scherno

sottintesi crudeli

fin dentro l’anima

sfigurata,

La mia essenza perduta.

Son un cumulo di rabbia

ormai,  di grida inascoltate

tra le pareti desertiche

isolata e additata folle

profeta di sventure.

La violenza ingoiata

non è stata mai vista,

mai creduta, mai riscattata,

mai liberata.

La ferita scavata

per anni

dal branco osceno

occulto

mi ha per sempre smarrito

su connotati sconosciuti.

Non sarò forse

mai più me stessa,

sfinita da anonime

insistenti incursioni.

La violenza evoca

fantasmi crudeli.


Bo  Marzo

 

Il   cinghiale albino fa capolino

nelle praterie sconfinate di sogno

e ghirlande di fiori s’intrecciano

di bellezza a distanza

tra rocce ed acque,

trafitti i draghi di simboli

arcani entro nelle vertigini

di forme e spirali a me note.

Le possenti Veneri Madri

sdraiate col coppo di saggezza

mi presero per mano,

l’antica zavorra può essere

estinta; non sapevo di voi

nobili signori e dame dotte

di misteri e inaudita apertura

in epoche di roghi; fui liberata

dal peso di memorie oppresse,

ispirata al canto del  sacro

bosco; tornata nell’ordinario

mondo ancor più distanti  

pallidi e deformi gli sciocchi  

e disonesti volti noto delle

maligne marionette.

Piango lacrime di sangue

e sale dall’anima strizzata,

trasparente e raffinata,

mai compresa o confortata

dai menzogneri

lontani e vicini.


Ballata al femminile

 

 

Bambina spaurita in viaggio

verso un assurdo percorso

insostenibile di notti insonni

e promesse disattese mi trovai,

sentire d’angoscia e pianto

infantile, umidi occhi di terra

e numi tutelari, un pugno di mosche

tra visioni ingenue e beate.

Bella addormentata nel bosco,

il Principe mi svegliò brusco

mentre passavo radiosa l’ago d’argento

nella mia tela notturna;

vergogna, scandalo e censura

la parola al femminile sul desiderio.

Marini   abissi verde blu mi avvolsero,

dopo innumerevoli morti amante

e amata mai: sulle carovane ardite

le mani di cristallo giunte,

commossa di melodia e mistero,

antico canto gaelico implorai

sulle sparse isole. Possesso,

colomba agonizzante profanata

sull’altare una volta dal miraggio  

sedotta ed   uccisa.

Donne che mi consultate,

nel dì della festa delle sorgenti

e delle fontane io nacqui.

Vestali del focolare private,

alla ruota dei miei tarocchi

numerose venite: lancinanti

lamenti senza   lui levate,

involucro –noce   e seme

incandescente. Donne

che mi consultate,

risalite, risalite,

fino all’ultimo picco innevato.

Celeste e bianca,

nacqui di nuovo.,

con la sferza di ghiaccio

e di fuoco sul viso,

e l’immensa occulta

dolcezza   della Dea

nessuno nota nel mio cuore

stanco e pallido barlume

dell’antico fuoco sacro.


 

 Ofelia

 

Dimmi Ofelia,

quali sono le emozioni estreme

e la follia che si rispecchiano

nel tuo animo coperto

di fiori, gli ultimi donati.

 

Parla, Ofelia,

dell’acquatica amarezza

in cui tutte le donne

annegano, scivola

nell’oblio che ti destinano

ogni volta.

 

Fuori, banchettano : i gorgheggi

le ruote, i pavoni in amore;

dentro : le umide mura,

lise lenzuola frugate;

la gelida folata mi porta

via rannicchiata; anche

Colibrì Azzurra, l’ultima

Dea Azteca scomparve

nella tenerezza ripiegata

della sua chioma corvina,

sotto gli zoccoli dei cavalli

di fuoco.


Paesaggi perduti   dell’anima

 

Le ultime stelle tremule

ed i neri alberi ancora imbevuti

di notte segnano la via

in lontananza. E la dolcezza

forse di un addio resterà

incatenata alle montagne complici.

 

E so che il rosso-arancio

all’alba incendiato mi ripara,

così proseguo nel mio cammino.

E dove sono, distante, ma sorretta,

gente comune non l’intende;

Se in pace il mondo mi fa felice.

 

Non oserò turbare il raccoglimento

e sfiorare la fronte teatro

delle mie ombre cinesi;

e passo le dita tra le cime

velate dell’estate sottile,

nella radura-culla

smeraldo acceso, sul lago

dove mi ha sorpreso

un lembo sconosciuto

di un’  anima –  arcobaleno .

 

Ascolto l’acqua nivea

in movimento ed il sogno

  mi scorre accanto,

profilo scolpito di stupore.

E mi vedo dolcemente adagiata

sulle lastre verde-azzurro

di pastello levigato,

stretta nell’abbraccio

della roccia a strati.


 

 Sola

 

sconosciuti sguardi

giudicanti

e impossibile

è il rifugio;

incrinata esistenza

da colpi occulti

e sordide inferenze.

Grido di stelle

piangenti

sotto la coltre

di ovvietà insistente,

nutrita di sciocchezze.

mi sfugge ogni presa,

non ho appartenenze.

Non un punto a cui

aggrapparmi,

Vuoto, vuota,

tutti i vincoli spezzati,

aereo pulviscolo

in assenza di gravità.

Languidamente liquida

mi lascio scorrere inutile

nel solco sterile e vano.

Lo strazio d’abbandono:

passo e le acque si richiudono

su di me; tromba,

oboe stonato

e ridicoli carmi solitari.

Le falene intorpidite

della mia sera immobile

ricacciate nell’insondabile

dirupo, sussulto impercettibile.


 

 Solenni ipocrisie

 

Radiosità    negata

ed illuminazioni perdute

tra atti crudeli e

giudizi odiosi;

arcobaleni e ponti spezzati.

Le parole strozzate eco

di monotonia ripetitiva:

non affratellano

violenza, scherno

ed irrisione.

Le complicità amicali

sono ricordi sbiaditi

di un tempo felice.

 

Occulti giochi

complicità derisorie

disgustose reti

di sottobosco;

amici degli amici

e vischiose mercanzie

di anime e corpi.

Ovali scure menti

allungate sul trono,

ombrose dominanti

insulse e viziose

perverse ironie.

Alberi, montagne sacre

contaminate:

magica luna

ed il volto di Madre Terra

riemersa dai mari

non scorgo,

nella campana di vetro

graffio le pareti

distolta dal

tempio violato

e rattrappita

nel cuore ferito.

Al tempio del sole

alla terrazza sullo smeraldo

prego la libertà

dalla beffa oscena.


 

Toscana

 

 

Terra mia sommersa  ti penso,

declivi armoniosi e cipressi,

filigrana di marmo candido,

florida arte, dolce lingua fluida.

Altri giovani ad uno ad uno

passano soli il mio calvario.

La brina intaglia pioppi allungati

per le lande distese: io spendo

il mio amore altrove.

I campi di girasole reclinano

tra i marroni ondulati

nello scialle violaceo

in lontananza

verso il mare  cangiante

gonfio di tenerezza.

 

Montagne amare

mi nascondete lo sguardo

agli spazi lucenti,

la scia sulle onde vive,

il brio delle genti;

vaste, immobili fissità,

vuote di profondità

mutevoli;

il cielo non scende rapido

sulla superficie tiepida,

posando il ventre arcuato

della luna piena


Ultima estate a Meduno

 

Chiarità specchio e placida

di contorni lisci e levigati

ritaglia il vento dell’ultima

estate, mentre tenere ed intense

incido le sue parole nella mia

nicchia di vetro senza accesso

allo sguardo altrui. Dal rosso

vivo al viola si anima il mio corpo

a ritmi regolari e piani.

Passo le mani su uno scampolo

di firmamento pensato,

forse compreso.

Stella , culla di dolcezza cosmica,

pianto commosso, ianua

spalancata su galassie

di affetti concatenati;

stella pianista sull’oceano

e soffio d’infinito ammutolito .

Immota, il mondo  mi giunge come pallida eco

e mi celo a me stessa, smarrita.

E la nebbia acquarello

Dalla pianura a scacchi

Granturco-avana

Sulle case squadrate

Sotto i lucernai

Confonde il mio pianto asciutto

Alla pietraia ingrigita;

le foglie verso Pordenone

son tutte marrone spento,

veneta mestizia.


PROCIDA: CAPTO L’AMORE

 

Capto amore dai papaveri a strisce

Rosse senza fine, dal grano,

dalle nuvole, dai cipressi, dai colli,

dal volo dei gabbiani intrecciato,

le lacrime sui prati e le zolle

odorose sparse. E il mio scempio

fu compreso; si spreca una vita

esiliata dai cuori. Ed il solco

s’accresce, vivaio di parole,

di forme, paesaggi e colori.

A  Procida azzurri è il Maestrale,

roccia selvaggia scavata come

in Capadocia; la scatola dei ricordi

si fa argento e spuma di solitudine.

Il cuore di poeta si scioglie

sferzato dalle corde di violino

delle canne e la macchia d’agavi,

aloe e verde brillante stride.

I segreti tasti mormorano

la nostalgia  e l’eco lontano

di un sentire che intenso fu.