Alessandra Paci - Poesie e Racconti

2 Novembre

Fiammelle oscillanti

scalpiccio lieve di passi

ti intravedo pallida

 

Ora ispirata

confidi alla Madre nostra                                                                                       

la lacerante pena 

 

Anch’io qui 

per una simile prece

sebbene lontano sia 

l’animo mio dal tuo dolore

 

Ma ognuno ha i propri morti

oggi viventi più che mai 

in noi e nella celeste Patria

 

Insolito giorno

sii pregno 

di festoni risalenti verso il Cielo

liberati da un salvifico canto di preghiere.


Cammino

Cammino

mani in tasca naso in aria

il volto investito da pungente aria invernale

L’occhio assapora luci dai tanti colori

che intermittenti 

fanno capolino da mille finestre 

chiamano sorridono invitano a restare 

e il desiderio è tale che il passo rallenta

La città si fa amica

raccolta e lucente nella nuova veste 

che ogni angolo ammanta di grazia

Uno squarcio improvviso si apre 

uno splendido spazio si svela 

algido nella purezza 

addolcito dall’odore di festa 

L’eco timida dei passi si acquieta

e tutti i sensi allertati gustano l’armonia

che lenta scende nell’anima.


Invisibile barriera

Barriera 

netta invisibile 

ostica separatrice

dell’anima tua dal mio sentire

 

Estraneo a me risulti

discosto

perduta occasione d’amore 

nonché perenne cagione di reciproci lampi

 

Soffri 

ma la volontà distratta

dalle ansie del vivere

frantuma ogni legame col mio essere

 

Così

un rimpianto duro a morire 

stilla il sogno

di un avvolgente e tenero altro. 


Nascita

Langue l’anima

anelante di schiudersi al mondo

ma si arresta schiva

esitante di riuscire ad illuminare il foglio

 

Tumulto interiore scorgi lo scoglio 

che sfociar ti vieta

e il tentativo vano si argini

per non sfasciar il mio sentire  

          

Avvolgo lo spazio

e in crisalide muto la mente

affinché la percezione 

alle radici dell’anima penetri

 

E sento fluire un fiume senza ostacoli…

travolge il foglio bianco.


Turbolenze

Passaggio intenso intessuto

da scie d’aria che si scontrano con altre 

in flussi contrastanti

Turbolenta dinamica di molecole

che vortica intorno a nuclei 

e rende le menti inquiete 

incapaci di trattenere i pensieri

che si scompongono e si perdono                      

Sfarfallio di tentativi

per esercitare consapevole volontà

in equilibrio precario mai raggiunto.

 

Posta nel mezzo 

ella per contrasto è statica 

fra percezioni che dilagano 

che turbinano assaltano 

che escono dalla mente e rientrano

per assurgere a forme di concretezza vitale     

Poi il fluire incorporeo del silenzioso clangore 

si consolida si acquieta 

ed ella riesce ad udirne il mormorio

a tracciarlo 

a leggerlo 

a ripensarlo.


Umili

Umili fragili gentili 

spuntano aggraziati dal suolo

come un tempo

Nel giardino devastato 

accatastato rimosso dai lavori

loro ugualmente sorridono 

ad un tenero cuore

dolci piccoli fiori di campo.


Al cimitero

   Salivo i gradini che portano all’uscita e pensavo a come era bizzarro il caso. Provenivo dall’ossarino di Gaetano Pippinoro, detto Gaetà, un uomo semplice, privo, per estrazione e per propensione personale, di quella attenzione all’aspetto, necessaria o almeno gradita nella vita sociale. Non che difettasse della necessaria igiene, no, non era questo, ma delle cure estetiche che avrebbero alleviato, in parte, agli aspetti che la natura non benevola gli aveva fornito.

Vedendo l’ossarino si percepiva con immediatezza la precisa corrispondenza fra questo e Gaetà. Gli elementi posti sulla superficie del piccolo marmo erano stati posizionati dal marmista senza alcun garbo, in assenza della preoccupazione estetica dei vuoti e dei pieni disarmonici che si sarebbero potuti creare. Tanto questa casuale conformità colpiva che anche una prece tardava a giungere e, per contrasto, mi veniva alla mente un altro ossarino. 

Stavolta il defunto era Giovanni Parenti, un uomo compito, curato nell’espressione della propria personalità e nell’aspetto fisico, sempre tirato a lucido. Da vivo era stato scambiato più di una volta per un maresciallo in borghese tanto era diritto nella figura. A tale persona quale lapide sarebbe stata posta? I figli avevano discusso alquanto, poi deciso, ma al momento della commessa, non più convinti, avevano modificato l’ordine e, ciò nonostante, erano rimasti col dubbio. Quando andarono a visitare l’ossarino rimasero ammutoliti; era un capolavoro di armonia. Il marmista doveva aver considerato attentamente gli spazi disponibili distribuendoli con  sobrietà. A questo si aggiungevano le calde tonalità bronzee delle lettere lievemente stilizzate. Il signor Giovanni meglio non avrebbe potuto desiderare: era rivolto verso una gradevole vista collinare con una lapide tanto a lui adeguata.

 

Ma… che dire di Gaetano Pippinoro… egli, dalla sua nuova residenza, apprezzava lo stile utilizzato dal marmista per la sua tomba o riteneva il caso una entità maligna che gli avesse giocato un brutto tiro nei confronti dei posteri?

Mentre mi allontanavo andavo riflettendo ai casi curiosi della vita e… della morte, che cristallizza senza pietà la memoria del defunto e quanto gli è appartenuto. Avvertivo l’ironia beffarda della casualità e con rammarico pensavo a Gaetà e all’infelice marmista.


 

I tre

   Nessuno avrebbe potuto conciliarli data la loro evidente differenza di carattere. Eppure erano, loro malgrado, legati e sebbene cercassero di non far ricorso nella quotidianità a questa unione, indiretta ben inteso, ogni tanto le occasioni  richiedevano che si incontrassero e si parlassero. Quante volte a lei, sentendo una frase di uno dei due, veniva di pensare cosa avrebbe risposto l’altro se fosse stato presente e i commenti o le affermazioni erano quasi sempre opposti, ribadendo quanto il mondo fosse da loro vissuto da due diverse angolature.

Fra alti e bassi e cioè fra periodi di contenuta empatia e antipatia il tempo trascorreva ed ecco davanti a lei si era fatta strada un’altra figura maschile. E così ora erano tre che ballavano nella sua vita, alternandosi nelle circostaze, ognuno con i suoi umori e pretese. Il terzo possedeva una personalità singolare, intermedia fra le due figure precedenti, amabile e a lei più somigliante. Infatti malgrado le inevitabili normali discordanze esistenti fra esseri umani, quasi mai ella aveva sentito la necessità di un intervallo nei loro rapporti, come con frequenza, aveva percepito nei confronti degli altri due. Cosa farci? Pur con tutta la pazienza che metteva a disposizione, spesso, il suo esaurimento giungeva prima del necessario.

L’ultimo sopraggiunto viveva le altre due figure maschili in maniera differente. E come poteva essere diversamente dal momento che i rapporti con lei, sebbene di uguale amichevole natura, erano nei tre di forza diversa. I contrasti, con colui che aveva stabilito col femminile rapporti più profondi, erano contenuti giacché il terzo, che era più giovane e di buon senso, non li rimarcava. Ma certo anche qui la pazienza trovava un ambiente adatto per esercitarsi. L’altro, il secondo, era allegro e disponibile ad assumere comportamenti piacevoli e temporalmente brevi, tali che, la sua presenza era considerata poco incisiva.

 

Ora lei stava pensando a loro, con piacevolezza, senza rammarico. Li vedeva curiosamente come in un quadro impressionista, avanzare cangianti, confondersi in una luce dorata che li frammentava e li ricomponeva. Uno scenario che coglieva l’essenza della loro vitalità e che rappresentava pure molto di sé. Ormai, erano da lungo tempo allacciati, fratelli quasi, e il loro mondo fatto di idee e progetti l’avvolgeva  spingendola a rispondere con slancio e dinamismo propri della gioventù e intrecciando la propria visione della realtà con la loro.

 

Con l’intuito del suo genere, però, ella andava percependo che solo la figura maschile che avesse posseduto in sé la ricchezza complessiva delle loro personalità avrebbe potuto, un giorno, sperare di ricevere un suo sguardo di interesse e, spontaneamente, avvertì che era giunto il momento temuto e che il richiamo alla vita la obbligava ad un’unica scelta, la partenza.


Percorsi

   Emma non poteva esimersi dal rivolgere la propria attenzione agli aspetti intimi della vita e nel suo scrivere riportava la quotidianità con gli affetti che la riempivano. Confrontava i suoi scritti con quelli dei colleghi del giornale femminile a cui collaborava, anche loro impegnati, in parallelo, in altre pubblicazioni. Emma ne vedeva la differenza sostanziale. Marco, per esempio, nei suoi racconti si soffermava sui sentimenti dei personaggi, ma di passaggio, velocemente, per giungere ad affrontare ampiamente gli aspetti del lavoro e della società. Ella ne aveva parlato alcune volte con la caporedattrice, ma erano giunte allo stesso eterno nodo esistenziale. La donna vive una dimensione della vita, da sempre, in cui gli affetti e il loro ambito sono i pilastri della sua esistenza. Che fare? A Emma questa faccia della realtà piaceva, si sentiva di accettare appieno la sua natura femminile, ma avvertiva pure la necessità di uscire dai confini per spaziare e osservare il mondo nella sua interezza.

 

Emma non lavorava più per il giornale. Era infatti in attesa di chiarire con se stessa alcuni aspetti che da anni tendevano a risalire sempre più verso la coscienza. <<Chissà quanto tempo ci impiegherò>> si diceva talvolta, frustrata dall’incertezza sul lavoro da intraprendere, da quali esigenze professionali soddisfare, verso quali orizzonti rivolgersi.

A ben vedere Emma era affetta da una innata insicurezza. Già da bambina si poneva di fronte alle scelte con grande perplessità come non riuscisse ad avvertire alcuno stimolo, desiderio o dovere per intraprendere un percorso o l’altro. Questa situazione si era protratta nel corso degli anni divenendo talvolta un vero ostacolo alla vita. Questa immobilità la stava bloccando anche ora: era riuscita a realizzare la difficile scelta di dimettersi dal giornale, criticata aspramente da amici e colleghi, ed ora si trovava nel pantano in cui ogni via di uscita le sembrava preclusa. 

Spesso pensava a quando lavorava per il giornale, di come ci fosse stato un periodo in cui la sua mente si fosse fissata sulla scrittura femminile e come questo aspetto le fosse sembrato di fondamentale importanza. Il licenziamento era stato il tentativo di uscire da quell’ambito chiuso. Ma ora, invischiata, si rendeva conto che non bastava; solo la determinazione le avrebbe permesso di seguire una dopo l’altra le strade che l’avrebbero portata a spaziare nel mondo circostante. Ma… dove l’avrebbe trovata? 

Negli ultimi mesi si andava facendo strada nella sua mente la convinzione che il percorso intrapreso non era adatto alla sua natura, quasi fosse stato un passo troppo lungo per le capacità che essa possedeva. Nel contempo non ne era totalmente certa sapendo come il suo carattere insicuro tendesse a limitarla dandole la convinzione di essere inadatta.

 

Cosa sia successo ad Emma nessuno lo sa, neppure lei: certo sono passati diversi anni, anni di sofferenza, ma anche di forte partecipazione, da parte di amici ed ex colleghi, al suo dramma. Ha abbandonato la scrittura, troppe ansie, troppi dubbi ad essa legati. Ha lasciato andare piano piano ogni tentativo forzato di ampliamenti; ha con grandi difficoltà permesso che le cose si risolvessero da sole, casualmente o meno, che prendessero la loro strada. Così ha respirato, all’inizio un solo filo di aria, poi i suoi polmoni si sono riempiti di vita e più che allentava l’attenzione e più si sentiva slegata dalle corde che l’avevano fissata alla palude.

Ed ecco che Emma è uscita dal pantano, sempre più leggera ed ha imboccato le strade che le si sono presentate, ora sì con il desiderio di percorrerle per quello che le possono offrire. Ora sì che l’attraggono o la rifiutano con i loro odori e le loro luci; ora sì che si sente rinata a nuova vita. Ora sì che può realizzare i desideri di un tempo.


Ully

Ully, dolce creatura, dal volto morbido e dagli occhi di cerbiatta, la tua immagine, per sempre fissata in questa foto, supera i confini della tua esistenza. 

Essa svela l’intesa felice stabilita fra voi e gli sguardi rivelatori parlano all’osservatore e lo addolorano al pensiero che questa unione appartenga ormai al passato.

Senza preavviso, nella serenità più completa, si è verificato il dramma. Inaspettato, inspiegabile, non avvertito da te che ne sei stata coinvolta nel sonno mentre quietamente riposavi.

 

Quel che è accaduto poi è, nel suo doloroso caos, la sequela di eventi che rende il fatto privato un evento pubblico, in mano ad estranei che svolgono un lavoro. Il dolore personale, se è possibile, va allora contenuto, velato, protetto e al quale si può tornare liberamente solo più tardi, in piena solitudine.

 

Ti rivedo e sembri viva nella tua grazia, nel modo sognante di essere, nel distacco dalla quotidianità, dai vincoli pratici e, leggera nell’accogliere i doni della vita, andavi sbocciando come un fiore che dischiude i suoi petali se sfiorato dai raggi solari. Il tuo animo fragile e sensibile si esprimeva nella fraternità con cui accudivi i più deboli, nell’attenzione che ponevi nel curarti e nell’adornarti, nonchè nel bisogno di una religiosità quieta.