Vittima
Il coraggio della vittima
sta nel saper perdonare,
senza sapere,
chi fa di lui
carne da mandare
al macello.
È un ruolo infame
quello di chi,
subendo, sorregge
un peso immane:
è mastice tra la gente,
seppur esule costretto
da clientele ingrate;
è l’ombra di chiunque
o un film premiato;
specchio di un se stesso
rifiutato;
treppiede per gli errori,
verità pericolosa;
martire colpevole
di vita difettosa.
Non è per sempre,
resiste fino al sacrificio
quando, finalmente libero,
avrà trovato sostituto.
Inverno
Sono di nuovo sola
a combattere i miei inverni.
Tu mi hai donato
piogge e maestrale perché
sei arcangelo dell’indifferenza
mandato ad insegnarmi
come s’iberna il cuore.
Ma io sono guerriera
in questa lotta che cita
solo me tra i caduti.
Le pene
non troveranno anestetico,
patisco la mia caparbietà
e non ho pietà per me stessa,
per questo, non
mi distinguo da voi.
Siete spietati,
seviziate la mia anima
e lasciate la carcassa
ai futuri predatori, ma
siete sempre voi le
sanguisughe della vita.
Io mi dispero perché
vorrei significar qualcosa,
ma l’illusione ha
la vita d’una farfalla
e, se riapro gli occhi,
torno a toccare i niente
che ho tatuati sulle braccia.
Il mio amore è come
un fiume la cui acqua
torna alla sorgente, spesso
sogna di estuari,
ma dal letto scorge
sponde invalicabili che lo
indirizzano ancora verso
se stesso.
Nessun luccio a sguazzar dentro,
così,
poco dopo aver calato gli ami,
ritirate le canne e andate
via a cercare
torrenti migliori.
Fiordalisi
Ho sempre pensato
non esistessero gli adulti,
ma solo bambini con indosso
strati e strati di tute rigide
ogni anno più grandi.
E la conferma alla mia teoria
l’ho avuta dal dolore.
Il dolore è come una fessura
attraverso la quale
scopriamo d’essere innocenti.
Ci accomuna tutti e,
oltre quella crepa,
nascondiamo morbidezza.
L’incompresa, demonizzata e
perseguitata morbidezza
ha necessitato scudo;
noi abbiamo risposto
avvolgendoci in sfoglie chimiche
e velenose.
Esistono due modi
per fronteggiare questa verità:
ce ne si vergogna,
ed è così che nascono
odio e intolleranza;
oppure, si muore
di sensibilità.
I sensibili sono i codardi del
popolo,
gli eroi delle minoranze e
i martiri dell’onestà
perché non mettono toppe
sulle scuciture dell’armatura.
Camminano in pericolo, ma
funzionano da specchio
entro cui i più
si riflettono in segreto.
Devono morire
affinché gli altri vadano avanti;
morire metaforicamente,
spegnersi e non
porre più interrogativi;
cessare d’esser lume ai rischi,
lasciare i naviganti
sperimentare la deriva.
I sensibili sono bambini
che inventano giochi e poi
li abbandonano, restando
a guardare gli altri divertirsi.
Sono, prematuramente, grandi
in attesa d’essere raggiunti,
consapevoli quelle distanze
non possano trovare riduzioni.
E, quindi,
sono solitudini accettate;
fiori annaffiati dalla nostalgia.
Germogliano bellezza,
sfrontata perché satura di rabbia
che, nascosta, si proietta
nel gesto di chi coglie e uccide
i fiordalisi e la purezza.
Come si fugge?
Io lo so che attorno a me
nulla può cambiare.
Per prima cosa, Tu
che resti fuori dalle mie pareti
e in questa stanza
senza luce,
scura come le mie ossa,
polvere dopo incendi
e distruzioni,
resto sola a dialogare con me.
Sapessi che silenzi lasci
che sfondano le finestre
delle mattine
e perdurano anche all’ombra
di canzoni che vorrei
saper suonare.
Anche i sogni sono
calci nella testa,
non più fedeli rifugi
ma frammenti di ricordi
che avvelenano gli occhi.
Sono una preda in mezzo
a branchi di paure,
la prediletta di un re
che vuole renda a lui
le verità che ho perso.
Come si fugge?
Se ancora c’è del sano in me,
sono pronta a lapidarlo.
Lo so, Dio non offre redenzione
a chi affida la propria libertà
alle mani della sofferenza.
Che, allora, questo sia
il mio ultimo appello:
corri a salvarmi
sono ostaggio di una
sabotante mente,
paziente
in un manicomio
fai da te.
Non cerco assoluzione in altro,
sii solo la ragion per cui
dovrei risparmiare me stessa.
Per Eco
Eco sarà il tuo nome,
figlia mia.
Come nel mito di Ovidio.
Non farti ingannare,
amore mio,
quando ti diranno che
tua madre,
scegliendoti il nome,
più che un augurio ti ha
donato una condanna.
Lascia che ti spieghi.
È vero, Eco è punizione;
Eco è mutilazione degli istinti;
Eco è rifiuto e sofferenza.
Tu, però, non farti ingannare.
Perché Eco è anche passione;
Eco è tenerezza;
Eco è amore.
Eco è specchio per le parole.
Tutti in te cercheranno e
troveranno se stessi.
Sarai verità del verbo.
Farai bene, farai male.
Sarai custode dei segreti e
li restituirai puri ed intatti.
Rivelerai l’essenza degli animi e,
sebbene troveranno difficile
accettare la tua onestà, tutti
ti invocheranno nel vuoto
e nella solitudine.
E tu
ci sarai.
Tu affondi nel mio petto lame su lame
Tu affondi nel mio petto
lame su lame,
mi sfiori e poi trafiggi
con l’odio nascosto
per anni. Mai mi riservi
l’amore che, forse,
è un dono troppo grande
da meritare. Io sono
sporca e malata,
non mi è concesso più
neanche un tentativo
di salvezza.
Sono perduta, ma c’è
di buono che, da ora,
non vi sarà più nulla
da attendere. Più nulla
da sperare.
Solo vita.
Ed io muoio della cura
Straziati sono i miei occhi
dal nostro ultimo incontro,
stacanovisti, tentano di
non lasciarti scomparire.
La tua immagine non può
resistere al tempo che, feroce,
smantella i salotti in cui
brindano i ricordi.
Guerra e autunno incombono
e gli squarci sul mio corpo,
che ancora ti dedico, mettono
a rischio la mia sopravvivenza.
Racimolo le forze
per poter soffiare sulla polvere
che s’è posata sul pavimento
del mio cuore
quando sei partito. Che tornino
i sentimenti a riscaldare
le mie ossa di marmo gelido
e addolciscano il palato,
attraversandolo a cavallo
di verbi d’amore,
il cui destinatario non
potrai essere tu.
L’idea tu sia sostituibile
mi lega a te ancor più
dello stesso affetto che provo,
confinandomi al girone degli ipocriti
poiché piango ciò che mi
impegno ad annientare.
Dovrò pur guarire, dicono.
Ed io muoio della cura.
Amori invalidi
Dici da me sboccino
solo parole sinistre,
quindi, voglio mostrarti
la parte di me che è ancora
irrorata dalla tenerezza.
Rileggevo le parole tue
del primo giorno, quando
la curiosità permetteva l’atto.
Eri come un terremoto
sotto ai piedi
forte, potente, invincibile;
ogni tua espressione era
uno spicchio di te
da cui abbeverarmi.
Smaniavi per un incontro
e quanta rabbia sento al
solo pensare le fatiche di poi
per rivedere quei tuoi occhi.
Quanto poco tempo è servito
perché io scivolassi
nel tuo tranello, ma
non mi pento; mi ci
abbandonerei daccapo
e ricomincerei, consapevole
dei tormenti che m’hai dato.
Sei aria,
puro ossigeno nella mia vita,
che è fatta di singhiozzi, e che tu
rendevi flusso lineare.
Dignità perdonami, ma non hai
ruolo in questa messinscena
devastante. Io voglio
mostrarmi per tutto ciò che sono:
una bambina adulta
in cerca d’un padre che la ami.
Tra mille amori invalidi
tu sei il più bello di tutti
perché,
così, per caso
illuminavi il cielo.
Rettile
Ed io desidero il sole anche di notte
con incerti passi vado in cerca del perdono.
Come rettile il mio sangue gela
non posso vivere all’ombra delle ore.
Lento, il ticchettio del rubinetto
che le gocce perde come me le strade.
Nessuno a stringere i suoi pomelli,
nessuno a stringermi tra i suoi gioielli.
Si piange, è vero, nei ritardi per i dubbi, ma
ha più gusto la frenesia del poi che si fa ora.
Impostori sono i maledetti della perfezione
che mai scompongono i minuti in emozione.
Stanze vuote
Stanze vuote ch’io affollo di paure
scellerate compagnie stordiscono gli istinti
la corata ormai s’intossica con calici d’angoscia.
La sicurezza tremola e con lei la vita mia.
Temo l’obbrobrio, lo scorgo: è il mio riflesso
temo di veder nei tuoi occhi lo spavento.
È tutto marcio. Strappate via le macchie, ma
cosa rimarrebbe se fosse un’avaria diffusa?
Solo tarli, pelle rosicchiata e assai indifesa.