Alessandra Stella - Poesie

Vittima

 

Il coraggio della vittima

sta nel saper perdonare,

senza sapere,

chi fa di lui

carne da mandare

al macello.

È un ruolo infame

quello di chi,

subendo, sorregge

un peso immane:

è mastice tra la gente,

seppur esule costretto

da clientele ingrate;

è l’ombra di chiunque

o un film premiato;

specchio di un se stesso

rifiutato;

treppiede per gli errori,

verità pericolosa;

martire colpevole

di vita difettosa.

Non è per sempre,

resiste fino al sacrificio

quando, finalmente libero,

avrà trovato sostituto.


 

Inverno

 

Sono di nuovo sola

a combattere i miei inverni.

Tu mi hai donato

piogge e maestrale perché

sei arcangelo dell’indifferenza

mandato ad insegnarmi

come s’iberna il cuore.

Ma io sono guerriera

in questa lotta che cita

solo me tra i caduti.

Le pene

non troveranno anestetico,

patisco la mia caparbietà

e non ho pietà per me stessa,

per questo, non

mi distinguo da voi.

Siete spietati,

seviziate la mia anima

e lasciate la carcassa

ai futuri predatori, ma

siete sempre voi le

sanguisughe della vita.

Io mi dispero perché

vorrei significar qualcosa,

ma l’illusione ha

la vita d’una farfalla

e, se riapro gli occhi,

torno a toccare i niente

che ho tatuati sulle braccia.

Il mio amore è come

un fiume la cui acqua

torna alla sorgente, spesso

sogna di estuari,

ma dal letto scorge

sponde invalicabili che lo

indirizzano ancora verso

se stesso.

Nessun luccio a sguazzar dentro,

così,

poco dopo aver calato gli ami,

ritirate le canne e andate

via a cercare

torrenti migliori.


 

Fiordalisi

 

Ho sempre pensato

non esistessero gli adulti,

ma solo bambini con indosso

strati e strati di tute rigide

ogni anno più grandi.

E la conferma alla mia teoria

l’ho avuta dal dolore.

Il dolore è come una fessura

attraverso la quale

scopriamo d’essere innocenti.

Ci accomuna tutti e,

oltre quella crepa,

nascondiamo morbidezza.

L’incompresa, demonizzata e

perseguitata morbidezza

ha necessitato scudo;

noi abbiamo risposto

avvolgendoci in sfoglie chimiche

e velenose.

Esistono due modi

per fronteggiare questa verità:

ce ne si vergogna,

ed è così che nascono

odio e intolleranza;

oppure, si muore

di sensibilità.

I sensibili sono i codardi del

popolo,

gli eroi delle minoranze e

i martiri dell’onestà

perché non mettono toppe

sulle scuciture dell’armatura.

Camminano in pericolo, ma

funzionano da specchio

entro cui i più

si riflettono in segreto.

Devono morire

affinché gli altri vadano avanti;

morire metaforicamente,

spegnersi e non

porre più interrogativi;

cessare d’esser lume ai rischi,

lasciare i naviganti

sperimentare la deriva.

I sensibili sono bambini

che inventano giochi e poi

li abbandonano, restando

a guardare gli altri divertirsi.

Sono, prematuramente, grandi

in attesa d’essere raggiunti,

consapevoli quelle distanze

non possano trovare riduzioni.

E, quindi,

sono solitudini accettate;

fiori annaffiati dalla nostalgia.

Germogliano bellezza,

sfrontata perché satura di rabbia

che, nascosta, si proietta

nel gesto di chi coglie e uccide

i fiordalisi e la purezza.


 

Come si fugge?

 

Io lo so che attorno a me

nulla può cambiare.

Per prima cosa, Tu

che resti fuori dalle mie pareti

e in questa stanza

senza luce,

scura come le mie ossa,

polvere dopo incendi

e distruzioni,

resto sola a dialogare con me.

Sapessi che silenzi lasci

che sfondano le finestre

delle mattine

e perdurano anche all’ombra

di canzoni che vorrei

saper suonare.

Anche i sogni sono

calci nella testa,

non più fedeli rifugi

ma frammenti di ricordi

che avvelenano gli occhi.

Sono una preda in mezzo

a branchi di paure,

la prediletta di un re

che vuole renda a lui

le verità che ho perso.

Come si fugge?

Se ancora c’è del sano in me,

sono pronta a lapidarlo.

Lo so, Dio non offre redenzione

a chi affida la propria libertà

alle mani della sofferenza.

Che, allora, questo sia

il mio ultimo appello:

corri a salvarmi

sono ostaggio di una

sabotante mente,

paziente

in un manicomio

fai da te.

Non cerco assoluzione in altro,

sii solo la ragion per cui

dovrei risparmiare me stessa.



Per Eco

 

Eco sarà il tuo nome,

figlia mia.

Come nel mito di Ovidio.

Non farti ingannare,

amore mio,

quando ti diranno che

tua madre,

scegliendoti il nome,

più che un augurio ti ha

donato una condanna.

Lascia che ti spieghi.

È vero, Eco è punizione;

Eco è mutilazione degli istinti;

Eco è rifiuto e sofferenza.

Tu, però, non farti ingannare.

Perché Eco è anche passione;

Eco è tenerezza;

Eco è amore.

Eco è specchio per le parole.

Tutti in te cercheranno e

troveranno se stessi.

Sarai verità del verbo.

Farai bene, farai male.

Sarai custode dei segreti e

li restituirai puri ed intatti.

Rivelerai l’essenza degli animi e,

sebbene troveranno difficile

accettare la tua onestà, tutti

ti invocheranno nel vuoto

e nella solitudine.

E tu

ci sarai.



Tu affondi nel mio petto lame su lame

 

Tu affondi nel mio petto

lame su lame,

mi sfiori e poi trafiggi

con l’odio nascosto

per anni. Mai mi riservi

l’amore che, forse,

è un dono troppo grande

da meritare. Io sono

sporca e malata,

non mi è concesso più

neanche un tentativo

di salvezza.

Sono perduta, ma c’è

di buono che, da ora,

non vi sarà più nulla

da attendere. Più nulla

da sperare.

Solo vita.



Ed io muoio della cura

 

Straziati sono i miei occhi

dal nostro ultimo incontro,

stacanovisti, tentano di

non lasciarti scomparire.

La tua immagine non può

resistere al tempo che, feroce,

smantella i salotti in cui

brindano i ricordi.

Guerra e autunno incombono

e gli squarci sul mio corpo,

che ancora ti dedico, mettono

a rischio la mia sopravvivenza.

Racimolo le forze

per poter soffiare sulla polvere

che s’è posata sul pavimento

del mio cuore

quando sei partito. Che tornino

i sentimenti a riscaldare

le mie ossa di marmo gelido

e addolciscano il palato,

attraversandolo a cavallo

di verbi d’amore,

il cui destinatario non

potrai essere tu.

L’idea tu sia sostituibile

mi lega a te ancor più

dello stesso affetto che provo,

confinandomi al girone degli ipocriti

poiché piango ciò che mi

impegno ad annientare.

Dovrò pur guarire, dicono.

Ed io muoio della cura.


 

Amori invalidi

 

Dici da me sboccino

solo parole sinistre,

quindi, voglio mostrarti

la parte di me che è ancora

irrorata dalla tenerezza.

Rileggevo le parole tue

del primo giorno, quando

la curiosità permetteva l’atto.

Eri come un terremoto

sotto ai piedi

forte, potente, invincibile;

ogni tua espressione era

uno spicchio di te

da cui abbeverarmi.

Smaniavi per un incontro

e quanta rabbia sento al

solo pensare le fatiche di poi

per rivedere quei tuoi occhi.

Quanto poco tempo è servito

perché io scivolassi

nel tuo tranello, ma

non mi pento; mi ci

abbandonerei daccapo

e ricomincerei, consapevole

dei tormenti che m’hai dato.

Sei aria,

puro ossigeno nella mia vita,

che è fatta di singhiozzi, e che tu

rendevi flusso lineare.

Dignità perdonami, ma non hai

ruolo in questa messinscena

devastante. Io voglio

mostrarmi per tutto ciò che sono:

una bambina adulta

in cerca d’un padre che la ami.

Tra mille amori invalidi

tu sei il più bello di tutti

perché,

così, per caso

illuminavi il cielo.


 

Rettile

 

Ed io desidero il sole anche di notte

con incerti passi vado in cerca del perdono.

Come rettile il mio sangue gela

non posso vivere all’ombra delle ore.

 

Lento, il ticchettio del rubinetto

che le gocce perde come me le strade.

Nessuno a stringere i suoi pomelli,

nessuno a stringermi tra i suoi gioielli.

 

Si piange, è vero, nei ritardi per i dubbi, ma

ha più gusto la frenesia del poi che si fa ora.

Impostori sono i maledetti della perfezione

che mai scompongono i minuti in emozione.


 

Stanze vuote

 

Stanze vuote ch’io affollo di paure

scellerate compagnie stordiscono gli istinti

la corata ormai s’intossica con calici d’angoscia.

 

La sicurezza tremola e con lei la vita mia.

Temo l’obbrobrio, lo scorgo: è il mio riflesso

temo di veder nei tuoi occhi lo spavento.

 

È tutto marcio. Strappate via le macchie, ma

cosa rimarrebbe se fosse un’avaria diffusa?

Solo tarli, pelle rosicchiata e assai indifesa.